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20 giugno 2024

Parlare di politica?

 Si può parlare di politica in un contesto sportivo? Una domanda che nasce dall'attualità, cioè dalle prese di posizione di alcuni calciatori francesi, da  Mbappé a Thuram, in vista delle imminenti elezioni in Francia, ma anche come al solito da fatti personali. Uno dei nostri primi ricordi, negli spogliatoi del campo Kennedy (periferia ovest di Milano, ça va sans dire), era un cartello pieno di raccomandazioni igieniche, con l'aggiunta significativa di "È vietato parlare di politica". Non era una raccomandazione ideologica, ma banalmente un modo per prevenire litigi in quello che era un centro sportivo pubblico. Era ed è così ancora oggi in tanti club privati, dove gli iscritti non hanno voglia di avvelenarsi in quelle due ore anche se poi magari litigano per una decisione del VAR o per l'importanza storica da attribuire a Barella. L'idea di fondo, valida (o non valida) da Mbappé all'ultimo degli amatori, è che ci sono contesti in cui agli altri frega zero delle tue idee politiche.

Come prevedibile destra contro Mbappé e Thuram, peraltro piuttosto tiepidi nella loro presa di posizione (Mbappé è addirittura macroniano, mentre Thuram è costretto dal padre a fare quello intelligente), e sinistra a favore nel nome della libertà di espressione (e se Deschamps avesse dichiarato il suo sostegno a Zemmour?). E microcensure quasi dappertutto, con la FIGC e altre federazioni che cercano di prevenire le domande di questo tipo, riuscendoci benissimo visto che molti inviati sono per loro natura embedded. L'unica cosa che non si può censurare è il nazionalismo, diversamente le nazionali non esisterebbero. Ma la domanda di fondo non cambia: si può parlare di politica sfruttando la propria popolarità derivante da sport o spettacolo?

La risposta più diffusa è un no, soprattutto nel calcio visto che club e procuratori ammaestrano i giocatori in questo senso. Può valere il sì per posizioni molto generiche (nessuno è contro la pace) o per slogan vuoti come quello sul cambiamento climatico, e se proprio uno non si sa mordere la lingua può al massimo dire qualcosa di progressista, se non di sinistra. Lo citiamo spesso come esempio di giornalismo e quindi lo ricitiamo: perché quel servizio del Guerin Sportivo del 1976, con le preferenze politiche giocatore per giocatore (non erano congetture, il 90% degli interpellati rispose), oggi non sarebbe possibile? Eppure chi prova a chiedere c'è sempre, in tanti in questi anni ci hanno provato. La nostra personale risposta al sondaggio è un grosso sì, non è che sulle politiche francesi il parere di Scamacca valga di meno di quello di un trapper. Al di là del fatto che lo sportivo agonista sia naturalmente di destra, anzi per certi versi sia un sintesi di quelle che molti da un po' (il primo a farlo ci sembra sia stato Bersani) definiscono 'le destre', proprio per forma mentale.


12 giugno 2024

McEnroe o Swiatek?

 John McEnroe o Iga Świątek? O meglio: le donne si devono truccare per piacere di più agli uomini? Una battuta di McEnroe durante il Roland Garros ("Si sarebbe truccata la Lancome l'avesse pagata un po' di più?") è diventata fonte di polemica, con il più talentuoso tennista di tutti i tempi nei panni mediatici del maschilista becero e la numero 1 del mondo, testimonial della Lancome (infatti le sue foto da truccata non mancano, fuori dal campo), che ha lasciato rispondere altri per lei. Ma al di là del giornalisticamente corretto, che ovviamente è dalla parte della campionessa polacca, ci sono anche le persone reali e noi nella realtà quotidiana non conosciamo una sola donna adulta che non si trucchi. Di più: ne conosciamo anche qualcuna che si trucca solo per far piacere al marito-fidanzato-compagno o possibile tale.

Magari in poche si truccano per giocare a tennis (ma di sicuro nessuna si strucca per andare in palestra, anzi), senza contare il fatto che la maggioranza usa un trucco così leggero da far pensare agli uomini inesperti, poco interessati alla materia e non criptogay che i visi che vediamo siano tutti frutto della natura. Un po' come quando diciamo, in sintesi, "Le ragazze di oggi sono tutte fighe mentre ai nostri tempi no". Ed invece dietro al trucco femminile, qui per un attimo siamo seri, c'è molto di più che una serie di prodotti impressionante, dal fondotinta alla cipria, dal rossetto al mascara a mille altre cose con varianti oltre la follia, come il mascara che stimola la crescita delle ciglia. Un investimento di soldi, di tempo, di speranze, per attirare l'attenzione di uno magari più interessato al futuro di Sarri o di Zaniolo.

Facile dire e scrivere che una donna dovrebbe piacere soprattutto a sé stessa, ma se al mondo fossimo soli o sole probabilmente staremmo sul divano con la tuta acetata della Legea (modello massaggiatore del Casarano o carcerato in carriera) a guardare film anni Ottanta mangiando tonnellate di Pizza Ristorante della Cameo: stiamo evidentemente descrivendo il Paradiso. Qui invece siamo animali sociali e più diciamo di bastare a noi stessi più in realtà cerchiamo di attirare l'attenzione. Ma in concreto a una figlia, nel 2024, diremmo di truccarsi? Dietro al trucco c'è di più: millenni di storia, di sudditanza nei confronti della cultura maschile (le donne musulmane si truccano come le altre, su Vanity Fair abbiamo addirittura letto di cosmetica halal), di condizionamenti sociali. McEnroe o Swiatek?


05 giugno 2024

Per chi votare alle Europee 2024


Per chi votare alle Europee 2024? In questo fine settimana, sabato 8 giugno dalle 15 alle 23 e domenica 9 giugno dalle 7 alle 23, in Italia si voterà per il il rinnovo dei nostri, si fa per dire, 76 parlamentari europei e confessiamo che, pur essendo da sempre interessati alla politica, sentiamo queste elezioni ancora meno di quanto sentiamo gli Europei di calcio. Eppure quello europeo è da sempre un voto ideologico, quindi in teoria dovrebbe scaldare di più rispetto agli altri dove contano le alleanze, le convenienze e le mitiche 'persone'. Inoltre i leader dei principali partiti, dalla Meloni alla Schlein a Conte, ma anche di quelli minori, hanno fatto a gara nell'usare i toni più duri, quelli più da titolo. Niente, siamo scarichi e forse anche bolsi (presto proporremo il bolsometro).

Detto questo, proponiamo il nostro solito sondaggio, con voto segreto anche se il bello è dichiararlo e discuterne, in questo spazio dove commenteremo previsioni, svolgimento, exit poll e risultati reali di queste elezioni che in ogni caso avranno riflessi anche sulla politica italiana, ricordando lo sbarramento del 4% dei voti validi espressi, che mette diversi partiti sul filo delll'esclusione. Nel 2019 stravinse la Lega, con il 34,26% dei voti, davanti al PD in tandem con Siamo Europei (cioè Calenda) con il 22,74. A seguire i 5 Stelle con il 17,06, Forza Italia con l'8,78, Fratelli d'Italia con il 6,44. Sotto il 4%, paradossalmente ma non troppo, due partiti con Europa nel nome, come +Europa (3,11% insieme a una specie di movimento dei sindaci) ed Europa Verde, cioè i Verdi di Bonelli. L'ultimo partito-alleanza sopra l'1%, ci perdonino gli altri se non li citiamo, la Sinistra di Fratoianni con l'1,75%, dove c'era dentro un po' di tutto (anche i resti dell'indimenticata lista Tsipras, purtroppo non Tsitsipas).

Venendo all'attualità, bisogna dire che i partiti sono rimasti più o meno quelli e che quindi un confronto con cinque anni fa, pur in un'Italia profondamente diversa (primo governo Conte, alleanza 5 Stelle-Lega), ci può stare. L'ultimo sondaggio IPSOS, pubblicato sul Corriere della Sera, dice Fratelli d'Italia 26,5%, PD 22,5%, 5 Stelle 15,4%, Forza Italia 9,2%, Lega 8,6%, Alleanza Verdi Sinistra 4,6%, Stati Uniti d'Europa (cioè vari movimenti, soprattutto +Europa e Italia Viva) 4,1%, Azione 3,6%, Libertà (vari gruppi, ma soprattutto il Sud chiama Nord di Cateno De Luca) al 2% e Pace Terra Dignità (vari gruppi, con Santoro frontman) all'1,9%. Proponiamo anche il controsondaggio: per chi non votereste mai? Ma in concreto, per chi votare alle Europee 2024? La nostra serietà è dimostrata dal fatto che non proponiamo l'opzione De Zerbi, un cui movimento supererebbe facilmente il 4%.

28 maggio 2024

C'è troppa frociaggine?

 C'è troppa frociaggine? Una domanda che trae spunto dalla battuta di Papa Francesco detta ai vescovi, riferendosi alla eccessiva quantità di omosessuali presente nei seminari. Una battuta che nel mondo del politicamente e giornalisticamente corretto, di solito accodato acriticamente al Papa, ha scatenato reazioni, è il caso di dirlo, da checche isteriche. Anche perché si dovrebbe scrivere ciò che si è scritto di Vannacci... Al di fuori della battuta e dello scoop di Dagospia, copiato a denti stretti dai vaticanisti embedded (ma non da quelli televisivi, sempre in estasi tipo Bernadette), la posizione del Papa, oltre che della Chiesa Cattolica, sull'omosessualità era già nota: non è un crimine e nemmeno un comportamento che meriti discriminazioni, ma certo non deve essere promossa, favorita o anche solo accettata culturalmente dalla Chiesa.

L'evidenza dice che fra i sacerdoti la percentuale di gay sia superiore che fra gli operai e gli impiegati, ma lo si potrebbe dire per molti altri mondi, anche al femminile. Per certi versi, ma questo valeva soprattutto nel passato, il sacerdozio a volte fungeva da copertura. Ma al di là della Chiesa, le cui posizioni influenzano sempre meno persone, ci sono due discorsi enorme da fare e che noi con la consueta superficialità liquidiamo in due righe. Il primo è quello di marketing: come può, con l'Islam che avanza (vorremmo dire alle porte, ma purtroppo sono già entrati), il Papa ghettizzare i fedeli, o anche soltanto gli aspiranti sacerdoti, di vari orientamenti sessuali? L'unica vera arma dei cristiani contro l'Islam è quella della tolleranza: la libertà contro il peggio del peggio. Sempre in tema di marketing, la linea pro-gay dovrebbe essere obbligatoria per una destra libertaria, modello Wilders, che però in Italia ha sempre avuto poca fortuna.

Il secondo discorso è ancora più ampio e riguarda la società in generale. Con l'allarme lanciato tanti anni fa dalla scomparsa Ida Magli, che fece scalpore attaccando la femminilizzazione della società, della scuola ed in definitiva anche degli uomini occidentali. E ancora prima, a fine anni Ottanta, i saggi della più famosa antropologa italiana erano diventati pop evidenziando l'omosessualità latente che sta alla base della società non soltanto occidentale. Latente, appunto, perché dal punto sessuale e sociale l'omosessualità è sterile e la sua diffusione oltre certe percentuali è tipica delle civiltà in declino. La nostra domanda è riferita al qui e adesso, nell'Italia del 2024: c'è troppa frociaggine in giro?


23 maggio 2024

Redditometro sì o no?

 Redditometro sì o no? Giorgia Meloni ha detto no, sospendendo il decreto del viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, varato il 7 maggio e pubblicato lunedì sulla Gazzetta Ufficiale (che non è quella di Marotta). Decreto che fra le altre volte riportava in vita appunto il redditometro, strumento fiscale con una storia di oltre mezzo secolo, iniziata nel 1973 con Visentini (non quello del golpe di Sappada) e proseguita fra stop e reintroduzioni, con situazioni quasi incredibili, visto che fu Berlusconi nel 2010 a riportarlo in vita. Riformato da Renzi, è stato di fatto sospeso dal secondo governo Conte per un motivo tecnico mai davvero chiarito (traduzione: anche i 5 Stelle contano sui voti di chi lavora in nero), con il decreto attuativo che è stato rimandato fino ai giorni nostri ed all'iniziativa di Leo, da non confondersi con il più noto Edoardo, presenza fissa nel cinema romano, pardon italiano.

Che cos'è il redditometro? È uno strumento di accertamento del reddito, che ricostruisce o presume il reddito attraverso l'analisi di una serie di spese. Semplice, no? Non tanto, perché dipende da quali spese si prendono in considerazione. Ville, barche, auto di lusso? Oppure quasi tutte le spese tracciabili, come indicato nel redditometro adesso sospeso, dagli abbonamenti alla pay-tv ai viaggi aerei? Va detto che molte delle spese elencate sarebbero detraibili (cioè sottraibili dall'imposta lorda) o deducibili (cioè sottraibili dal reddito complessivo), ma è evidente che per chi è un evasore totale di un certo tipo il vantaggio fiscale vero è quello di non dichiarare niente.

La battaglia politica sul redditometro è scontata: da una parte Lega e Forza Italia che dicono di tutelare libertà e privacy (quindi l'evasione, in pratica), condizionando Fratelli d'Italia che non vuole perdere quel tipo di voto, dall'altra i 5 Stelle che sono forti al Sud dove il nero è dominante (il doppio che al Nord, secondo la CGIL) ed il PD che attacca la destra ma non gli italiani ladri, che sono il vero problema anche per questioni più gravi come la tragedia epocale del Superbonus edilizio. Redditometro sì o no, dunque? La nostra posizione non è sfumata, visto che siamo circondati da persone con ISEE taroccato che ci passano davanti, al di là dell'IRPEF che ricade tutta sulle spalle di chi la paga. Se il finanziere vede che siamo abbonati a DAZN cosa ce ne frega?

stefano@indiscreto.net


21 maggio 2024

Taxi o Uber?

 Taxi o Uber? Nel giorno dello sciopero dei taxi, che potrebbe essere replicato a breve, proponiamo un Di qua o di là che già avevamo proposto dieci anni fa (come passa il tempo...) ai tempi in cui sembrava che Uber Pop potesse davvero essere il futuro, o comunque un'alternativa al classico taxi. Non tanto per una questione di prezzi quanto, banalmente, perché molto spesso i taxi non sono abbastanza per reggere la richiesta che in molte città italiane sta esplodendo, per diversi motivi: boom di turisti nel post-Covid, minor numero di persone (soprattutto giovani) che guidano o con patente di guida, maggior numero di anziani soli, tante limitazioni green alla circolazione e al parcheggio delle auto private.

La versione di Uber attualmente esistente in Italia non è quell'Uber Pop (che in estrema sintesi permetteva a chiunque di fare il tassista, senza licenza), ma Uber Black, che in sostanza è soltanto un modo diverso per prenotare gli NCC (Noleggio con conducente), la cui attività è soggetta a licenza e ad una serie di regolamentazioni. In ogni caso stiamo parlando di un numero ancora insufficiente di auto (saremo sfortunati, ma da qualche mese stiamo facendo code galattiche anche senza eventi particolari) e comunque con prezzi che ne sconsigliano l'uso frequente, almeno a chi ha un reddito normale o non può scaricare fiscalmente la spesa.

La nostra domanda in dieci anni non ha quindi perso di attualità, anzi. Banalmente basterebbe che i comuni concedessero più licenze, resistendo alle proteste dei tassisti, che la loro licenza l'hanno ereditata o pagata (a Milano vale sui 180.000 euro, un amico ha da poco fatto l'investimento), ma permettendo agli utenti di servirsi di un servizio in qualche modo regolato. La realtà dice però altro e quindi il derby è come al solito fra la conservazione del piccolo mondo antico ed il turbocapitalismo, declinato in un destra-sinistra deteriore (nell'immaginario collettivo tassista mediamente evasore di destra, cliente mediamente fighetto di sinistra), con il cittadino medio, quello attento ai 10 euro, a sfidare le insidie dei mezzi pubblici notturni. Taxi o Uber? Più direttamente: qualunque persona che abbia la patente deve poter fare il tassista?


15 maggio 2024

Rovazzi o Sala?

 Fabio Rovazzi o Beppe Sala? Un Di qua o di là che dimostra come sia arrivato il momento di lasciare Milano ed aprire un chiringuito in un paese CONCACAF, se soltanto non fosse una cazzata da limoncello-time. La vicenda è nota: il cantante-influencer per lanciare la sua nuova canzone, Maranza,  ha fatto una diretta Instagram durante cui lo smartphone gli è stato rubato da un maranza presunto vero. Maranza nella nuova accezione (maghrebino più zanza), quello con la tuta ed il borsello a tracolla, non più il generico tamarro di periferia dei nostri tempi. Una scenetta rilanciata da molti follower di Rovazzi e ripresa da tanti giornalisti e commentatori, soprattutto di destra, felici di vedere confermate le proprie tesi anche da un fake quasi palese.

In breve la verità è venuta fuori e così la canzone di Rovazzi e di Il Pagante (Giravo in Corso Como/Si è avvicinato un uomo/Mi ha chiesto una Marlboro e l’orologio/Non so che ore sono/In tasca sento un vuoto/Mi hanno pullappato (mi hanno derubato)/ Con una moto/ Ora ho un sogno solo/Vorrei diventare come uno di loro/Un maranza) ha avuto una pubblicità gratuita grazie alle reazioni stizzite, queste da sinistra, dell'assessore Pierfrancesco Maran ("Ma che bella trovata Rovazzi! Anche noi milanesi potremmo avere un’idea divertente di marketing nel farti causa per danni di immagine e simulazione di reato") e del sindaco Beppe Sala ("Qual è l’esempio che diamo ai nostri figli? Fai il furbo, mettiti in evidenza e sarai premiato con fama e soldi? È un esempio tristissimo. Mi auguro che Rovazzi ci ripensi perché fare il figo davanti a una cosa del genere è una cosa che non funziona").

La cosa sconcertante è che sia Rovazzi sia i politici locali si sono concentrati sull'aspetto mediatico della vicenda e non sulla sostanza. A Milano è davvero  più probabile, rispetto a qualche anno fa, che qualcuno ti rubi il telefono o faccia anche di peggio? Giudicate voi, come dicevano ai tempi di Telepiù. Sia Rovazzi sia Sala, in modi diversi, minimizzano la questione della microcriminalità, ormai con protagonisti quasi tutti stranieri o peggio ancora nuovi italiani: Rovazzi ne parla in maniera ironica in una canzone piena di citazioni anni Novanta e di prese per il culo nei confronti dei trapper di oggi, Sala non ne parla proprio (e quando a usare l'ironia è stato lui, come con la Milano-Gotham City dei Club Dogo, la cosa gli è venuta male), ed al di là dei reati sempre più ragazzi, senza nemmeno la scusa della periferia e del disagio, si comportano come maranza. Rovazzi o Sala?

stefano@indiscreto.net

 


12 maggio 2024

Nemo o Vannacci?

 Nemo o Vannacci? La vittoria del cantante svizzero all'Eurovision 2024 si presta ad un Di qua o di là più politico che musicale. E del resto tutti guardiamo l'Eurovision Song Contest per l'evento in sé stesso e per le discussioni collegate, non certo perché siamo in astinenza da tamarrate pop con l'aggravante del'inglese che domina e che quindi rende intercambiabili quasi tutti. La The Code di Nemo sarebbe potuta essere in gara per la Svezia come per la Germania, per l'Estonia come per l'Irlanda. Il tifo, perché di questo si sta parlando, è quindi quasi sempre pro o contro una bandiera, un popolo, un'idea, una posizione politica.

Clamoroso il caso di Israele, che le giurie per così dire di qualità hanno collocato al dodicesimo posto e che il televoto (soltanto la Croazia ha raccolto più consensi popolari) ha trascinato al quinto: evidentemente il cittadino medio non coincide con il fuoricorso o il liceale con la kefiah, con i giornalisti e i professori (non la totalità, ma una minoranza rumorosa) che rimpiangono la propria gioventù. E così canzoni già poco trascinanti, spesso prive di un vero pubblico anche in patria (non è il caso di Angelina Mango, la cui canzone è anch'essa tamarrissima, da giostrina, ma almeno ha un mercato), assumono importanza per altro, dai travestimenti ai presunti messaggi.

Il messaggio di Nemo, presentatosi sul palco di Malmö in gonnellino e pelliccetta rosa, riguarda l'accettazione, la propria e quella degli altri, di una identità sessuale non binaria. Un messaggio non gradito e soprattutto indifferente a molti telespettatori, con il generale Vannacci che ha sintetizzato questo stato d'animo commentando l'Eurovision: "Il mondo al contrario è sempre più nauseante".  Il tema non è ovviamente l'identità sessuale non binaria: al di fuori del popolo di Twitter di questo tema non frega niente a nessuno, né pro né contro. Il tema è il fatto che tutta una serie di idee venga data per scontata, silenziando chi la pensa diversamente. Nemo o Vannacci?

stefano@indiscreto.net


03 maggio 2024

Maionchi o Ferro?

 Mara Maionchi o Tiziano Ferro? Lo scopritore o il talento scoperto? Chi ha fatto del bene o chi l'ha ricevuto? Volendo puntare in alto: genitori o figli? Il litigio mediatico fra la discografica ed il cantante fornisce l'assist alla Kroos per un Di qua o di là che ci riguarda tutti. Perché non è che la Maionchi abbia accusato Ferro di qualcosa di particolare, ma ha soltanto espresso il dispiacere per essere da lui poco considerata, anche soltanto per gli auguri natalizi. Dal suo lato il cantante, lanciato della Maionchi e dal marito Alberto Salerno con Xdono nel 2001, che anticipò Rosso Relativo e tutto il resto, sottolinea che invece negli anni ha più volte espresso apprezzamento per la donna che lo ha lanciato.

In mezzo c'è la durezza della vita. Si smettono di sentire amici, familiari, conoscenti, persone che hanno fatto qualcosa per noi, non per scelta ma perché travolti dalla quotidianità, in certi casi anche perché si è cambiati e non si possono riproporre gli stessi rapporti, con le stesse parole. Quanto è imbarazzante e doloroso sentire una vecchia zia, anche soltanto per gli auguri? O uno che ha fatto il servizio militare con te e con il quale hai condiviso segreti mai condivisi con altri? Poi al di là dei silenzi nel caso Maionchi-Ferro sono volate parole anche pesanti, con il cantante che ha accusato la sua scopritrice di avergli consigliato, per motivi di marketing discografico, sia di dimagrire sia di nascondere la propria omosessualità. Non è che lo abbia costretto: è Ferro che ha trovato conveniente andare avanti per anni, nelle canzoni e nelle interviste, a fare l'etero o comunque a lasciare nel dubbio.

La gratitudine e l'ingratitudine generano quindi un Di qua o di là che speriamo sia divisivo. Del resto quasi tutti, nella nostra miseria, siamo stati da entrambe le parti della barricata: quelli che hanno fatto del bene, magari anche per tornaconto personale ma comunque scegliendo una persona invece che un'altra, e quelli che l'hanno ricevuto, pur non avendo qualità nettamente superiori alla concorrenza. Un sondaggio anche personale, con dentro la rabbia per tante parole non dette e non ascoltate. Maionchi o Ferro?


26 aprile 2024

Numero chiuso a medicina


Numero chiuso a medicina? Una domanda che interessa anche chi non è un medico, né ambisce a diventarlo, visto che tutti prima o poi del medico abbiamo bisogno. Lo spunto ovviamente arriva dalla riforma che dovrebbe partire nel 2025, voluta un po' da tutte le parti politiche e quindi poco presente nel dibattito nonostante sia un tema che tocca direttamente la vita vera. Nella sostanza, decreti legislativi permettendo, sarà libera l'iscrizione al primo anno di medicina, di odontoiatria e di veterinaria senza bisogno del test di ammissione.

Non si tratta in ogni caso del ritorno all'Italia di una volta, in cui tutti potevano arrivare alla laurea in medicina, visto che lo sbarramento ci sarà lo stesso. Soltanto avverrà alla fine del primo semestre, con modalità ancora da chiarire: gli esami fatti di sicuro, forse anche un test o un esame ulteriore. Gli scartati dopo questo primo semestre avranno la possibilità di tenere buoni gli esami passando ad un altro corso di laurea (ovviamente non scienze della comunicazione o storia medioevale) che all'inizio avranno indicato come seconda scelta. Tutto un po' vago, ma il principio è chiaro: in qualche modo il numero dei medici va limitato.

Poi ci siamo noi del bar preoccupati per il futuro di Klopp, che un giorno sì e l'altro anche leggiamo che mancano medici e soprattutto medici e pediatri di famiglia, cosa che del resto si può verificare anche di persona quando uno va in pensione e si è costretti a trovarne un altro nuovo. Per numero di medici ogni 100.000 abitanti l'Italia è quattordicesima in Europa, anche se il vero problema non è quantitativo ma che alcune specializzazioni rimangano scoperte nonostante i posti vacanti a disposizione. Del resto perché uno, anche con il fuoco sacro della medicina, dovrebbe studiare mille anni per farsi spaccare la testa dai parenti di un delinquente al pronto soccorso?

Un Di qua o di là politicamente trasversale, quindi, che una volta tanto ci vede semi-competenti avendo vissuto da vicino il percorso di tanti medici (a partire dalla moglie) fra concorsi e trasferimenti di ogni tipo. Di sicuro medicina non è una facoltà come le altre, perché già dal secondo anno prevede una qualche forma di presenza in ospedale. Se già è insostenibile il codazzo attuale, con il professore-barone seguito da cinquanta studenti, cosa potrebbe succedere (e cosa succedeva una volta, in epoca Guido Tersilli) con l'accesso libero?

Lo stesso collo di bottiglia della specializzazione, con i posti quadruplicati nel post Covid, nel corso degli anni dovrebbe essere superato. Se poi uno non ha voglia di passare la vita a fare ricette e ad ascoltare le lamentele della vecchina catarrosa, ma ambisce a diventare un grande cardiochirurgo, non ci si può fare niente e non è nemmeno questione di soldi. Un argomento a favore del numero aperto è che aumentando il numero dei medici, formati più o meno bene, aumentano anche le probabilità di coprire i posti meno ambiti. Detto questo, chiediamo ai competenti: numero chiuso a medicina? Siamo molto combattuti: la razionalità direbbe numero chiuso, ma certe prese di posizione dei medici ricordano quelle dei tassisti.

Giornalisti sportivi i più odiati


Come mai i giornalisti sportivi in Italia sono in testa a tutte le classifiche dei social network relative alle interazioni? La risposta è banale: il tifo, di chi li legge/guarda ma anche il loro. Meno banale è dare una dimensione quantitativa al fenomeno che vede Fabrizio Biasin come primo giornalista d'Italia per interazioni, davanti a Gianluca Di Marzio. Per questo ci ha incuriosito l'articolo di Claudio Plazzotta appena letto su Italia Oggi, che ha citato una ricerca di The Fool, una società di consulenti digitali, che ha analizzato i profili social di Biasin (Libero), Guido Vaciago (direttore di Tuttosport), Giovanni Capuano (Radio24), Lia Capizzi (RaiSport) e Sandro Sabatini (Mediaset).

Tutti giornalisti che lavorano in televisione o hanno comunque una visibilità televisiva, che evidentemente favorisce il traffico. Nelle stagioni 2022-23 e 2023-24 i loro tagging su X sono stati complessivamente 1,5 milioni e di questi ben il 40% ha sentiment negativo, cioè insulti o hate speech in senso stretto. Una statistica che dice molto a chi, come noi, segue soltanto personaggi che si stimano o comunque apprezzano, oltre ad account neutri. Se reputo uno scarso o in malafede non mi viene in mente di sprecare nemmeno un secondo per lui. Che vita hanno quelli, quasi la metà del totale, che seguono un giornalista, non si dice un politico o un VIP vero, per insultarlo?

Ma ci piace anche ribaltare il discorso: che vita ha un giornalista che sta sui social network per farsi insultare? Intendiamo consapevolmente, perché poi l'insulto arriva per ogni tipo di opinione, da Israele-Hamas alla difesa sul pick and roll. Il giochino ha due facce: essere insultati non piace a nessuno, ma scrivere o dire qualcosa di volutamente provocatorio è la strada più semplice per attirare interazioni. Poi 'provocatorio' a volte non è nemmeno il contenuto dei post, ma la squadra con cui si viene identificati e che viene scelta a monte come pubblico target. Il mistero nel mistero è poi il guadagno: anche con centinaia di migliaia di follower reali (tutti da dimostrare) la monetizzazione diretta dalle piattaforme è modesta, semmai i grandi numeri possono essere messi sul tavolo delle trattative per i gettoni di presenza.

25 aprile 2024

Vannacci o Salis?


Roberto Vannacci
 o Ilaria Salis? Per il 25 aprile, in attesa del ritorno di Budrieri (spoiler: del tutto indifferente allo scudetto dell'Inter, come del resto a qualsiasi altro stimolo sportivo, politico o sessuale), abbiamo voglia di un bel Di qua o di là divisivo. E chi meglio dei due più discussi candidati per le prossime Europee? Il generale autore di Il mondo al contrario scenderà in campo per la Lega di Salvini, l'attivista per l'Alleanza Verdi e Sinistra di Bonelli e Fratoianni. Differenti le loro motivazioni: Vannacci forse davvero pensa ad una carriera politica mentre la Salis punta soprattutto ad evitare il carcere in Ungheria.

Veniamo al punto: chi fra Vannacci e Salis porterà di più in termini di voti? Ricordiamo che la Lega secondo un sondaggio di YouTrend che abbiamo letto sull'Ansa varrebbe il 7,7% dei voti, mentre AVS il 4,4%, con una soglia di sbarramento che alle Europee è del 4. La domanda sul reale peso elettorale dei candidati vale anche per gli altri non politici di professione in corsa, da Lucia Annunziata al capitano Ultimo a Tridico, che a questo giro ci sembrano comunque molti meno del solito. Bruxelles è un buon parcheggio per politici di primo e secondo piano, magari costretti a riciclarsi per il limite ai mandati, oggi non si molla niente.

Nonostante i pochi precedenti di successo, abbiamo sempre guardato con simpatia ai candidati della cosiddetta società civile: persone che di solito hanno avuto successo nelle rispettive professioni (anche spaccare le teste agli avversari politici a suo modo lo è) e che comunque esistono, anche mediaticamente, a prescindere dal seggio in parlamento. La realtà dice che raramente hanno spostato qualcosa, una volta eletti, e che ancora più raramente abbiano portato voti 'prima'. Stringere mani e ascoltare lamentele non è per tutti. Per questo i casi Vannacci e Salis ci incuriosiscono, perché siamo sicuri che entrambi porteranno ai rispettivi partiti un numero significativo di voti di opinione, che poi sono quelli che alle Europee contano. Chi farà meglio? Vannacci o Salis?

Come al solito diciamo la nostra e votiamo (solo per questo sondaggio, nella realtà non lo faremmo mai) Salis: la spinta mediatica del generale si è un po' spenta, pur essendo purtroppo sempre di attualità i temi da lui lanciati, mentre la Salis può dare grande visibilità ad AVS, che rischia di andare sotto il 4%. Speriamo sia chiaro lo spirito del sondaggio, che non riguarda le nostre preferenze politiche: fra l'altro sia Lega (coming soon un nuovo partito del Nord, o al limite una Lega delle origini senza Salvini) sia AVS (coming soon un vero partito ambientalista) se rimangono così ci sembrano avviate verso la scomparsa.

16 aprile 2024

Amadeus ha fatto bene?

 Amadeus ha fatto bene a lasciare la RAI, per andare a Discovery? Una domanda che si stanno facendo in tanti, tranne ovviamente quelli che si occupano di cose serie (non noi, quindi). Una domanda che non ha natura strettamente finanziaria, anche se a Discovery, quindi il Nove come canale di punta in Italia, guadagnerà molto di più di quanto prendesse alla RAI, pur conducendo Sanremo e Affari tuoi. Se vogliamo porla in un altro modo: a 61 anni e mezzo, avendo raggiunto con Sanremo il top nella sua professione (cioè Sanremo e alcuni dei principali show di Rai 1), perché andare a fare più o meno le stesse cose in un canale meno visto?

È come se uno fosse l'allenatore dell'Inter, facciamo un esempio caro ad Amadeus che ha chiamato suo figlio José in onore di Mourinho, e per qualche divergenza con Marotta andasse a non diciamo in Arabia ma nella Fiorentina, convinto da Commisso che gli ha promesso più libertà di manovra e meno ingerenze nella scelta dei giocatori. Poi non sono chiari i dettagli dell'offerta della RAI ad Amadeus, per non dire delle pressioni per avere questo o quell'ospite, probabile causa del suo divorzio da Lucio Presta avvenuto prima del suo quinto ed ultimo (per ora) Sanremo da conduttore e direttore artistico.

Il passato insegna qualsiasi cosa, ci sono stati casi di personaggi RAI che fuori dalla RAI hanno trovato una seconda giovinezza (Amadeus ha 61 anni e mezzo), come Mike Bongiorno, e di altri che hanno fallito come Pippo Baudo, però mai si trattava di questioni politiche. Perché la vicenda di Amadeus è diventata politica come poche altre, forse suo malgrado. Certo se Amadeus lascerà una traccia al Nove, con il botto (nel 2025 scade il contratto di Sanremo con la RAI), con qualche idea revival (solo lui potrebbe far risorgere televisivamente il Festivalbar) o con qualche progetto totalmente nuovo, avrà vinto lui. Diversamente leggeremo articoli del genere 'È la squadra a creare il campione', buoni per tutti i settori. Amadeus ha fatto bene?


11 aprile 2024

L'alcol andrebbe proibito?


L'alcol fa male? Di più: andrebbe proibito? Non l'alcol in grandi quantità, tutti sanno che distrugge la propria vita e quella degli altri. Ma proprio gli alcolici bevuti in maniera normale o comunque moderata. Lo spunto per questo Di qua o di là divisivo al massimo, un tabù nell'Italia delle presunte eccellenze del territorio (non produciamo più acciaio, ma abbiamo la pizza con il cornicione alto: in caso di guerra ci difenderemo con quello), arriva dalle recenti iniziative in Belgio, che metteranno di fatto l'alcol sullo stesso piano del fumo: non proibito ma sconsigliato, comunque non promosso. Ma anche da un vento culturale che è cambiato: soltanto qualche anno  fa Antonella Viola, uno dei tanti mostri mediatici creati dall'era Covid,  e nemmeno il peggiore (Galli e Burioni hors categorie come il Tourmalet), non avrebbe potuto dire, ed essere anche presa sul serio, che anche un bicchiere ogni tanto fa male.

Insomma, se ne può parlare senza fare i medici di Google ed elencare gli effetti negativi dell'alcol, anche in modica quantità, con la birra che per il suo ruolo sociale può in certi casi fare peggio dei superalcolici. Ma il punto non è secondo noi medico-scientifico, bensì politico: è evidente che proibire o scoraggiare l'uso degli alcolici, non si dice l'abuso, porterebbe ad un numero minore di malattie (e quindi di costi per la collettività) e a meno morti e feriti sulle strade, per non dire di violenze familiari e non. Che l'alcol in qualche modo alteri i comportamenti è ovvio. Ma siamo pronti ad accettare l'ennesima proibizione-imposizione, sempre per un presunto 'nostro bene'?

Non è una domanda retorica, perché proprio l'era Covid ha dimostrato che gente come Conte e Speranza, non si dice Hitler o Stalin, può imporre qualsiasi cosa ad una popolazione conformista, informata da media pecoronissimi, che subito interiorizza cosa è 'giusto' e cosa è 'sbagliato'. Questo, ripetiamo, al di là del merito delle questioni specifiche, che nel caso dell'alcol divide anche noi stessi: personalmente beviamo un bicchiere di qualcosa di alcolico quasi ogni giorno, o meglio, ogni sera, ma siamo convinti che dalla proibizione totale dell'alcol la società avrebbe soltanto benefici. E del resto il proibizionismo negli Stati Uniti dal 1920 al 1933 aveva obbiettivi sociali, non medici e tanto meno etici. Di qua o di là complesso, in cui si intersecano diversi piani, anche quello religioso visto che seriamente qualcuno propone di inserire festività islamiche nel calendario: proibire l'alcol, in prospettiva, o no?

08 aprile 2024

Il ciclismo è lo sport più pericoloso?


Il ciclismo è lo sport più pericoloso del mondo? Intendiamo il ciclismo inteso come sport, quindi senza contare gli incidenti che avvengono nella vita quotidiana sulle strade. Non ci ricordiamo infatti una stagione in cui così tanti pesi massimi (Vingegaard, Evenepoel, Roglic, Van Aert) sono stati vittime di cadute rovinose, come stop che condizioneranno il resto della loro stagione. È chiaro che la domanda ci è venuta dopo quanto accaduto nel Giro dei Paesi Baschi, ma in generale circa il 10% dei corridori di primo livello è in questo momento fermo a causa di incidenti di corsa, quindi senza contare incidenti in allenamento.

Detto che molte strade fanno schifo a prescindere dal fatto che ci si vada a 60 all'ora in bici, ad esempio l'incidente di Vingegaard pare sia dipeso da radici, rimane il fatto che le bici da corsa siano sempre più rigide e leggere, con telai più piccoli, e che nella sostanza il corridore pur andando al limite (Evenepoel quando si è trovato davanti Tesfatsion stava andando a 78 chilometri orari) su strade non troppo diverse da quelle di mezzo secolo fa sia di fatto protetto dal solo casco. Da ricordare che già nel 2023 gli incidenti in gara erano aumentati del 24% rispetto all'anno precedente...

La nostra domanda ai competenti è quindi semplice, visto che gli incidenti in strada pur essendo sempre tanti (nel 2023 in Italia 197 i ciclisti morti) sono in calo: il ciclismo è lo sport più pericoloso per la propria incolumità personale? Quale è quindi lo sport più pericoloso da praticare a livello agonisti o amatoriale con qualche velleità? Da ricordare che i pericoli non sono soltanto le cadute in strada, discorso che ovviamente riguarda soltanto il ciclismo, ma anche infarti e traumi violenti.

Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...