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18 giugno 2024

Diretta o differita?

 Ci siamo mai chiesti cosa significhi la trasmissione in diretta di un evento sportivo? Gli scommettitori e i tifosi senz'altro lo hanno fatto. In teoria la diretta dovrebbe essere la possibilità, per lo spettatore, di vedere l’azione ‘dal vivo’ quindi nel momento in cui accade come se si trovasse – o quasi – allo stadio. Nella realtà questo non è tecnicamente possibile e ancora meno lo è quando si assiste a un evento con le piattaforme di streaming. Con le latenze della DAZN e dell'Amazon Prime Video della situazione che sono troppo dipendenti dai vari processi di codifica, così come dalla connessione. Insomma, spesso va di lusso quando i secondi di ritardo rispetto alla realtà sono dai 15 ai 20. 


Quanto appare sullo schermo è comunque in differita, per motivi prettamente tecnici ed il buffering è un male necessario: 30 secondi sono pur sempre meno dei 3 minuti di differita con cui nella Polonia comunista (o meglio, nella Polonia sotto la minaccia sovietica, perché Jaruzelski non aveva il profilo del dittatore comunista ed infatti il suo primo pensiero era evitare un'invasione da parte dell'URSS) venivano mandate in onda le partite della nazionale per nascondere gli striscioni pro Solidarnosc. Tornando a noi, il cuore della questione è semplice: nel mondo del 2024 accettiamo di essere in ritardo di qualche decina di secondi?

Nella maggioranza dei casi non si direbbe, visto che per chi scommette e per chi è tifoso è impensabile non sapere subito, in stile radio, cosa stia succedendo, attraverso notifiche web o, appunto, la vecchia radio. Ogni tanto per mettere alla pari le televisioni si sente parlare di ritardare il segnale del DTT o del satellite, in modo almeno di ovviare al problema dell'esultanza del vicino. Ci sembra una soluzione simile a quella di chi vorrebbe tornare nel tennis alle racchette di legno, ma ha una sua logica. Ci teniamo per la fine il vero problema e cioè che non riusciamo più a vedere lo sport in differita, sia pure di poco. Non resistiamo alla tentazione di 'mandare avanti' per essere alla pari almeno con gli altri telespettatori. Non riusciamo a non sapere il risultato, noi che centellinavamo partite NBA con una settimana di ritardo.


04 giugno 2024

The Rossellinis

 Fra le tante cose che ci siamo segnati di vedere su RaiPlay, secondo la prima legge dello streaming (passi più più tempo a cercare cose da guardare che a guardarle), finalmente ne abbiamo vista una: The Rossellinis, il film del 2020 di Alessandro Rossellini che è riduttivo definire documentario. Perché se il filo conduttore è la storia della famiglia Rossellini, schiacciata dal mito di Roma città aperta, il racconto ha il passo di una commedia che si mescola a tragedia, con protagonista proprio il regista. In questo caso, diversamente dal nonno, con un solo film nel curriculum: questo. Arrivato dopo una vita piena di episodi poco edificanti, dalla droga alle continue richieste di soldi alla zia Isabella, raccontati senza farsi sconti.

Ed il fascino del film sta proprio qui: la durezza estrema con cui viene raccontata una famiglia allargatissima che oggi ai più giovani dice poco ma che per almeno tre decenni ha alimentato le cronache e i pettegolezzi. Una durezza sfociata in scelte di vita anche estreme, condivisa dai sei figli di Roberto Rossellini (uno di questi, Renzo, è il padre di Alessandro), dalle ex mogli e dai troppi parenti. Al punto che paradossalmente la persona più normale di tutti sembra Ingrid Bergman, che per amore scelse di mettersi in stand-by a Hollywood e girare per qualche anno bruttissimi film in Italia, lottando per recuperare i figli che le erano stati tolti con una sentenza che oggi sarebbe incredibile.

Alessandro Rossellini va in giro per il mondo, dalla Svezia al Qatar a New York, ad ascoltare il punto di vista di tutti e a farsi trattare male da tutti, con lo spettatore che vista la sua sgradevolezza ostentata fa naturalmente il tifo per chi lo tratta male. Senza dubbio la capofamiglia è Isabella, l'unica capace di accettare la luce riflessa dei genitori (lei è una dei tre figli, su sei, di Rossellini avuti con la Bergman) e quindi di sfruttarla, mentre gli altri hanno tutti in qualche modo provato a smarcarsi. Su tutti Robertino, ex stella del jet-set e noto a noi popolo bue per il suo fidanzamento con Carolina di Monaco, che vive appartato in Svezia nella vecchia e bellissima casa della madre, che in un'intervista (non in The Rossellinis, anche se esprime gli stessi concetti) disse una volta: "Meglio essere spettatori intelligenti che cattivi registi o attori".


27 maggio 2024

Le vallette di Mike Bongiorno


I 100 anni della nascita di Mike Bongiorno, nato il 26 maggio 1924, hanno giustamente ispirato tanti ricordi visto che Mike è stato un personaggio fondamentale per la cultura del nostro paese: se quasi tutti gli italiani parlano più o meno la stessa lingua il merito è anche suo, trovatosi al posto giusto nel momento giusto ma anche bravo nel creare uno stile né troppo alto, e quindi respingente, né troppo basso, tipo molta televisione di adesso rivolta ai subnormali. Ma non vogliamo fare gli storici della mutua e nemmeno il copia e incolla, quindi proponiamo un sondaggio che nel wokissimo 2024 in pochi oserebbero proporre: qual è stata la nostra valletta di Mike Bongiorno preferita?

Domanda maschilista soltanto in apparenza, perché per motivi anagrafici Mike era un uomo di altri tempi, ma le sue vallette non erano mai volgari e quasi tutte sono state donne di forte personalità, una personalità che spesso sono riuscite ad esprimere anche in televisione nonostante lui concedesse poco spazio (a chiunque, a prescindere dal sesso). Senza contare che le parole, anche quando erano poche, e i comportamenti di queste ragazze sono stati spesso più commentati di quelli del loro mentore. Facciamo in ogni caso fatica a considerare il ruolo di valletta di Mike più degradante di quello di Filippa Lagerback da Fazio o di quelli, peggio ancora, di tante telegiornaliste o intervistatrici, soprattutto sportive, le cui uniche skill sono tette e gambe (meglio quelle di niente, sia chiaro).

L'elenco che proponiamo è per forza di cose parziale, da tante che sono state le trasmissioni presentate da Mike Bongiorno: Lascia o raddoppia?, La ruota della fortuna, Telemike, Rischiatutto, Pentatlon, Bis, Superflash, Campanile sera, I sogni nel cassetto e mille altri, senza dimenticare gli 11 Festival di Sanremo di tempi in cui la valletta non veniva definita co-conduttrice (con Mike ricordiamo, fra le altre, Sylva Koscina, Maria Giovanna Elmi e Anna Maria Rizzoli). Il nostro voto è generazionale, come quasi sempre accade, e fra i nostri primi ricordi televisivi c'è Rischiatutto visto sul Brionvega in bianco e nero. Sabina Ciuffini forever, con Susanna Messaggio e Paola Barale subito dietro.

stefano@indiscreto.net

23 maggio 2024

Quanto costa DAZN


Quanto costa DAZN? Sui 25 euro al mese, a fare i furbi. 9 euro se interessa soltanto la pallacanestro. Purtroppo questo non è un post pubblicitario né una marchetta, ma banalmente la domanda che ci facciamo ogni fine campionato di Serie A, con davanti tre mesi di nulla calcistico a livello di club. Certo si può mettere l'abbonamento in pausa per due mesi, ma siamo così pigri che non l'abbiamo ancora fatto. E conoscendoci prevediamo le bestemmie quando il 6 giugno da PayPal scopriremo di avere pagato il solito 40,99 euro mensile (ma perché non il 39,99 scritto sul sito?) per l'abbonamento Standard, cioè quello che consente di utilizzare due dispositivi in contemporanea ma soltanto se collegati alla stessa rete.

Poi nella nostra famiglia nessuno, a parte noi, guarderebbe Udinese-Empoli (come abbiamo fatto) o Varese-Scafati di basket (fatto anche questo), ma i due dispositivi sono comunque una possibilità. Va anche detto che legandosi per 12 mesi l'abbonamento costerebbe 34,99 al mese e che pagando 359 euro in un'unica soluzione si scenderebbe di fatto 29,99 euro mensili. DAZN Plus, che consentirebbe di guardare in contemporanea da due reti diverse (quindi in pratica di condividere un abbonamento, anche se formalmente non è così) costa invece 59,99 euro al mese, che con il pagamento in un'unica soluzione, 599 euro, verrebbe a costare 49,9 euro. Ecco quindi da dove nascono i 25 euro a testa (di cazzo).

Per chi fosse interessato soltanto alla pallacanestro (Serie A e coppe europeee) e a quella poca NFL che ormai fanno per chi non compra il Pass, c'è DAZN Start a 8,99 euro al mese. Un prezzo, quest'ultimo, quasi uguale al 9,99 euro al mese per avere tutto (calcio compreso) che pagavamo nel 2019, quando ci abbonammo per la prima volta. Sapete come la pensiamo sul prezzo dei beni e dei servizi non di prima necessità: qualsiasi discussione sui prezzi è demagogica, il prezzo giusto è quello che uno è disposto a pagare. Non c'è un valore intrinseco nella Kelly di Hermés, da giustificare i 10.000 euro, così come non c'è alcun valore o prezzo indiscutibile per DAZN. La nostra domanda è più terra terra: per la stagione 2024-25 vi abbonerete a DAZN? Noi con la fragile giustificazione del lavoro lo faremo, ma se fossimo liberi ci basterebbe Sky Sport.

Poi il discorso filosofico è sempre lo stesso. Avendo avuto la fortuna, perché è stata una fortuna, di essere cresciuti in un'era analogica ancora ci rendiamo conto di quanto questi microabbonamenti e servizi, anche quelli gratuiti o presunti tali, divorino tempo e soprattutto attenzione. Che dal 2000 ad oggi è calata, nella media, da 12 a 8 secondi, in pratica di un terzo. Non è colpa di DAZN, ovviamente, anzi quando appare in video Diletta Leotta la concentrazione supera gli 8 secondi, ma del nostro atteggiamento, con un bisogno di essere sempre iperstimolati: perché anche quando leggiamo un libro diamo ogni tanto un'occhiata al telefono? Il fatto di rendercene conto è un'aggravante. Detto questo, stiamo per sbloccare Anime Generation.

stefano@indiscreto.net

22 maggio 2024

Conti o Amadeus?

 Carlo Conti o Amadeus? Carlo Conti condurrà l'edizione 2025 del Festival di Sanremo e anche quella 2026, adesso è ufficiale dopo che per settimane, dopo la firma di Amadeus per Discovery, il totonomi ha tirato fuori di tutto fino a una teorica finale fra la sicurezza data da Conti, come credibilità e come ascolti, e la relativa novità di Alessandro Cattelan o Stefano De Martino (il vero mistero italiano, altro che Mattei o Moro), a seconda che la RAI puntasse a buone critiche o al target di Amici. Alla fine ha prevalso la scelta più logica, visto che Conti nel nel triennio 2015-2016-2017 aveva rilanciato il Festival che con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto aveva toccato il punto più basso dell'era moderna: la serata finale del 2014 è la meno vista da quando esiste l'Auditel.

Carlo Conti che presenta Sanremo 205 e 2026, quindi, con la prevedibile overdose di comici e personaggi toscani (Panariello che imita Renato Zero, Ceccherini che dice 'topa' e 'si tromba', Pieraccioni che presenta il nuovo film), con la sua giustificata antipatia verso i rapper-trapper e con la sua idea, giusta, che occorrano ospiti internazionali che di professione facciano i cantanti, non attori bolsi che vengano a smarchettare. Ricordiamo che nei suoi tre Sanremo si sono visti fra gli altri Imagine Dragons, Spandau Ballet, Ed Sheeran, Elton John, Ricky Martin, Robbie Williams… Poi raramente i picchi di ascolto sono sulle canzoni, ma è un altro discorso.

Il nostro Di qua o di là è quindi semplice, come noi che ogni anno aspettiamo Sanremo per vivere la nostra settimana di follia pop: chi è il conduttore ideale di Sanremo? Quello al quale daremmo l'incarico se fossimo direttore generale della RAI... Carlo Conti o Amadeus? Proponiamo anche altri nomi che sono circolati e gettiamo subito la maschera: noi vorremmo Pippo Baudo, la valletta bionda e la valletta bruna, nessun ospite non musicale, il palcoscenico pieno di fiori perché nelle sue versioni recenti sembrava di essere a X Factor. Vorremmo vedere rispettata l'Italia che sogna Sanremo e non quella che lo disprezza ma trova utile farsi pubblicità di fronte a 15 milioni di telespettatori. Conti o Amadeus?


07 maggio 2024

Il giovane Berlusconi e la rivolta dei Puffi


Su Il Giovane Berlusconi abbiamo letto quasi soltanto critiche negative, ma a noi il documentario in tre parti appena visto su Netflix è piaciuto. Il lavoro di Simone Manetti ci sembra infatti staccarsi dalla quantità enorme di libri e ricordi video di Silvio Berlusconi che stanno uscendo, a quasi un anno dalla sua morte. Perché non è un'agiografia in senso stretto, anche se le interviste più importanti (Dell'Utri, Freccero, Dotti) sono di suoi collaboratori, sia pure diventati a un certo punto ex (Freccero e ovviamente Dotti), mentre alcuni fedelissimi (Confalonieri e Galliani) sono sembrati un po' bolliti. E perché il grande materiale video, scelto con cura, in un certo senso parla da solo: Raimondo Vianello che durante Pressing invita a votare Forza Italia è imbarazzante anche a trent'anni di distanza, vale più di mille pistolotti dell'Augias o del Giannini della situazione.

Insomma, lo consigliamo. Ma non ci importa di fare recensioni, quanto di ricordare un episodio citato nel documentario, che fece epoca: la cosiddetta 'Rivolta dei Puffi'. Molti conoscono o ricordano la storia principale, cioè la sospensione delle trasmissioni di Canale 5, Italia e Rete 4 in diverse regioni, tra il 13 ed il 16 ottobre 1984, per ordine di pretori che ritenevano illegale il mandare in simultanea (non in diretta, erano cassette mandate in onda alla stessa ora: il meccanismo della syndication, né più né meno) trasmissioni nelle varie regioni italiane. Craxi, allora presidente del Consiglio, fece in modo di ripristinare le trasmissioni con un decreto e qualche mese dopo blindò la sua iniziativa con quello che è ricordato come Decreto Berlusconi, reiterato fino a diventare legge.

In quei giorni convulsi dell'ottobre 1984 in molte città italiane ci furono manifestazioni, molte spinte da Berlusconi ma molte anche no, di persone che chiedevano di poter vedere di nuovo i tre canali sul loro televisore. Ma soprattutto i centralini della Rai e dei giornali furono intasati da ragazzini si lamentavano di non poter vedere i loro cartoni animati, in particolare i Puffi. Proteste ingigantite ad arte e non tutte genuine, come abbiamo detto (in stile marcia dei quarantamila), ma che in molti casi arrivavano dal profondo ed esprimevano sentimenti reali. Ovviamente sbeffeggiati da chi non capiva che stava nascendo, o forse era sempre esistita, una generazione fondamentalmente apolitica (e quindi di destra, secondo una certa visione), disposta a protestare per motivi che alla allora classe dirigente sembravano inconcepibili.



29 aprile 2024

Avvocato di difesa


Mickey Haller
 è come fama il secondo dei personaggi creati dalla fantasia di Michael Connelly ed è il protagonista di Avvocato di difesa, la serie Netflix arrivata alla seconda stagione e che fra poco ne avrà anche una terza. Il titolo originale, The Lincoln Lawyer, rende meglio l'idea perché nei romanzi l'auto (una Lincoln Navigator targata NTGUILTY) è centrale, non è un mezzo di trasporto, con tanto di autista, ma un modo di essere visto che è lì che l'avvocato Haller, che (nei libri) non ha uno studio fisico, prepara, anzi non prepara, i suoi casi sparsi nei tribunali di mezza California, con processi a cui si presenta un nanosecondo prima dell'inizio dell'udienza.

A chi ha visto l'omonimo film del 2011, con Haller che ha il volto di Matthew McConaughey mentre nella serie èManuel Garcia-Rulfo, diciamo che le storie della serie sono diverse ma che l'impostazione è uguale: clienti di Haller nella media sgradevoli, al di là della loro colpevolezza, ribaltamenti del vantaggio continui fra lui e la procura, casini suoi personali fra dipendenze ed una vita privata complicata, con due ex mogli con cui è sempre in contatto (Maggie, la nostra preferita perché siamo giustizialisti, è un pubblico ministero, Lorna la sua segretaria ma aspirante avvocato, oltre che moglie di Cisco, l'investigatore di Haller), una figlia adolescente, varie ed eventuali. Come al solito inutile il giochino delle differenze, possiamo chiuderla con il padre di Haller che nei libri è morto con lui piccolo mentre in televisione è una specie di consigliere-Super Io.

Perché dedicare 20 ore, in attesa della terza stagione, della propria vita a guardare questa serie? Perché il meccanismo narrativo è appassionante e non soltanto perché la base è di un genio come Connelly, al punto da far dimenticare le tasse woke da pagare: l'overdose di attori neri (che però hanno più senso nella Los Angeles di adesso che nell'Inghilterra dell'Ottocento), i cattivi che sono quasi sempre ricchi, la microcriminalità fatta passare per una fissazione del popolino, la polizia spesso sfottuta e di default violenta, spesso anche corrotta, i pistolotti che vengono fuori qua e là.

Perché non dedicare 20 ore della propria vita ad un serie che comunque è fra le più viste su Netflix? Quasi per gli stessi motivi per cui la si guarda: la sua assenza di pathos, la scarsa presenza di violenza o sesso, la sua semplicità che permette di stopparla e riprenderla, i suoi collaudati schemi da legal classico, con la prova decisiva che deve sempre arrivare e sai che più o meno alla fine sempre arriverà. Intrattenimento fatto bene, per dirla in poche parole, senza particolari guizzi. Festival del product placement, stando soltanto alle cose che abbiamo colto: davvero martellante quello di Uber, al livello del J&B nel cinema italiano anni Settanta. Va bene, siete californiani mentre da noi il POS non funziona mai (e non c'è Uber, soprattutto), ma non fatelo pesare.

16 aprile 2024

Amadeus ha fatto bene?

 Amadeus ha fatto bene a lasciare la RAI, per andare a Discovery? Una domanda che si stanno facendo in tanti, tranne ovviamente quelli che si occupano di cose serie (non noi, quindi). Una domanda che non ha natura strettamente finanziaria, anche se a Discovery, quindi il Nove come canale di punta in Italia, guadagnerà molto di più di quanto prendesse alla RAI, pur conducendo Sanremo e Affari tuoi. Se vogliamo porla in un altro modo: a 61 anni e mezzo, avendo raggiunto con Sanremo il top nella sua professione (cioè Sanremo e alcuni dei principali show di Rai 1), perché andare a fare più o meno le stesse cose in un canale meno visto?

È come se uno fosse l'allenatore dell'Inter, facciamo un esempio caro ad Amadeus che ha chiamato suo figlio José in onore di Mourinho, e per qualche divergenza con Marotta andasse a non diciamo in Arabia ma nella Fiorentina, convinto da Commisso che gli ha promesso più libertà di manovra e meno ingerenze nella scelta dei giocatori. Poi non sono chiari i dettagli dell'offerta della RAI ad Amadeus, per non dire delle pressioni per avere questo o quell'ospite, probabile causa del suo divorzio da Lucio Presta avvenuto prima del suo quinto ed ultimo (per ora) Sanremo da conduttore e direttore artistico.

Il passato insegna qualsiasi cosa, ci sono stati casi di personaggi RAI che fuori dalla RAI hanno trovato una seconda giovinezza (Amadeus ha 61 anni e mezzo), come Mike Bongiorno, e di altri che hanno fallito come Pippo Baudo, però mai si trattava di questioni politiche. Perché la vicenda di Amadeus è diventata politica come poche altre, forse suo malgrado. Certo se Amadeus lascerà una traccia al Nove, con il botto (nel 2025 scade il contratto di Sanremo con la RAI), con qualche idea revival (solo lui potrebbe far risorgere televisivamente il Festivalbar) o con qualche progetto totalmente nuovo, avrà vinto lui. Diversamente leggeremo articoli del genere 'È la squadra a creare il campione', buoni per tutti i settori. Amadeus ha fatto bene?


12 aprile 2024

Supersex

 La cosa migliore di Supersex è il titolo, per tutto ciò che evoca a partire dal leggendario fotoromanzo, di nascita francese ma editorialmente milanesissimo, su cui tutti i ragazzi della nostra generazione si sono formati e informati. Arrivare alla fine dei 7 episodi della serie sulla vita di Rocco Siffredi, disponibile su Netflix, è stato davvero faticoso nonostante l'ottimo materiale a disposizione: un personaggio notissimo ma poco raccontato al di là delle sue opere, il cinema porno che ha il suo fascino sia per chi lo ama sia per chi lo detesta, la provincia italiana degli anni Ottanta e Novanta, quel mondo della notte un po' squallido che sarebbe stato ridimensionato dall'ugualmente squallido web.

Per essere sintetici, come ci piace essere: Supersex non è brutto, ma è noioso. Capiamo l'esigenza produttiva si ammortizzare i costi e avere 7 ore di film invece che 2, ma a noi spettatori cosa importa? Sono interessanti le parti sulla gioventù in Abruzzo, in una Ortona dove gli zingari erano i maghrebini di oggi, in mezzo a vicende familiari per i Tano (vero cognome di Siffredi) molto tristi. Bello anche il racconto del rapporto del piccolo Rocco con il fratello Tommaso, idolo assoluto anche perché fidanzato con Lucia, la ragazza dei sogni di tutti. Un rapporto malato, che si trascina dal paese a Parigi, con i protagonisti ormai cresciuti ed interpretati da un credibile Alessandro Borghi (Rocco), da una seriosa Jasmine Trinca e da un Adriano Giannini bravo ma sempre oltre il confine dell'overacting.

Da Parigi in poi tutto si trascina, con qualche guizzo come l'incontro decisivo con Gabriel Pontello, appunto il Supersex dell'Ifix Tchen Tchen che tutti abbiamo amato, ma anche tante, troppe, macchiette. Da Schicchi a Moana Pozzi, dall'amico gay Franco Caracciolo al malavitoso Jean-Claude ai frequentatori di night e club privé, per non parlare di quelli di Pigalle. Non c'è nemmeno qualcosa di eccitante, solo una sfilata di corpi anonimi, ed è qui che volevamo arrivare: perché pur apprezzando i film porno fin dai tempi delle prime VHS, ci è sempre risultato incomprensibile il divismo del porno.

Quello maschile, etero o gay che sia, ma anche quello femminile. A qualcuno è mai fregato qualcosa del nome dell'attrice o del suo curriculum? Anzi, il volto noto spesso deprime, ammoscia. Qualche cinema porno in vita nostra l'abbiamo visto, soprattutto il Magenta di via Sanzio e il Tiziano di viale Cassiodoro a Milano, senza dimenticare il bellissimo Lyceum di Varese (ci abbiamo preso il caffè poco tempo fa, è diventato un bar per famiglie) ed i tanti che ci si trovava davanti all'improvviso, senza cercarli: cinque anni fa ci è capitato qualcosa del genere a Berna.

Ecco, a occhio allo 0% dei frequentatori fregava zero se ci fossero Ron Jeremy, John Holmes o Rocco Siffredi, percentuale che saliva all'1% nel caso della protagonista femminile. Eppure anche il porno è stato capace di creare un divismo, sia pure di Serie B, e Tano-Siffredi aveva ed ha qualcosa più degli altri: per questo è diventato un personaggio pop, apprezzato dalle donne ma anche dagli uomini abbonati a DAZN. Ha qualcosa più degli altri non come centimetri, ma come conflitti irrisolti, rabbia, malinconia. È qualcosa in più di uno stallone peccatore che l'amore per la moglie Rozsa ha redento. Occasione persa.

 


Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...