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20 giugno 2024

Parlare di politica?

 Si può parlare di politica in un contesto sportivo? Una domanda che nasce dall'attualità, cioè dalle prese di posizione di alcuni calciatori francesi, da  Mbappé a Thuram, in vista delle imminenti elezioni in Francia, ma anche come al solito da fatti personali. Uno dei nostri primi ricordi, negli spogliatoi del campo Kennedy (periferia ovest di Milano, ça va sans dire), era un cartello pieno di raccomandazioni igieniche, con l'aggiunta significativa di "È vietato parlare di politica". Non era una raccomandazione ideologica, ma banalmente un modo per prevenire litigi in quello che era un centro sportivo pubblico. Era ed è così ancora oggi in tanti club privati, dove gli iscritti non hanno voglia di avvelenarsi in quelle due ore anche se poi magari litigano per una decisione del VAR o per l'importanza storica da attribuire a Barella. L'idea di fondo, valida (o non valida) da Mbappé all'ultimo degli amatori, è che ci sono contesti in cui agli altri frega zero delle tue idee politiche.

Come prevedibile destra contro Mbappé e Thuram, peraltro piuttosto tiepidi nella loro presa di posizione (Mbappé è addirittura macroniano, mentre Thuram è costretto dal padre a fare quello intelligente), e sinistra a favore nel nome della libertà di espressione (e se Deschamps avesse dichiarato il suo sostegno a Zemmour?). E microcensure quasi dappertutto, con la FIGC e altre federazioni che cercano di prevenire le domande di questo tipo, riuscendoci benissimo visto che molti inviati sono per loro natura embedded. L'unica cosa che non si può censurare è il nazionalismo, diversamente le nazionali non esisterebbero. Ma la domanda di fondo non cambia: si può parlare di politica sfruttando la propria popolarità derivante da sport o spettacolo?

La risposta più diffusa è un no, soprattutto nel calcio visto che club e procuratori ammaestrano i giocatori in questo senso. Può valere il sì per posizioni molto generiche (nessuno è contro la pace) o per slogan vuoti come quello sul cambiamento climatico, e se proprio uno non si sa mordere la lingua può al massimo dire qualcosa di progressista, se non di sinistra. Lo citiamo spesso come esempio di giornalismo e quindi lo ricitiamo: perché quel servizio del Guerin Sportivo del 1976, con le preferenze politiche giocatore per giocatore (non erano congetture, il 90% degli interpellati rispose), oggi non sarebbe possibile? Eppure chi prova a chiedere c'è sempre, in tanti in questi anni ci hanno provato. La nostra personale risposta al sondaggio è un grosso sì, non è che sulle politiche francesi il parere di Scamacca valga di meno di quello di un trapper. Al di là del fatto che lo sportivo agonista sia naturalmente di destra, anzi per certi versi sia un sintesi di quelle che molti da un po' (il primo a farlo ci sembra sia stato Bersani) definiscono 'le destre', proprio per forma mentale.


18 giugno 2024

Diretta o differita?

 Ci siamo mai chiesti cosa significhi la trasmissione in diretta di un evento sportivo? Gli scommettitori e i tifosi senz'altro lo hanno fatto. In teoria la diretta dovrebbe essere la possibilità, per lo spettatore, di vedere l’azione ‘dal vivo’ quindi nel momento in cui accade come se si trovasse – o quasi – allo stadio. Nella realtà questo non è tecnicamente possibile e ancora meno lo è quando si assiste a un evento con le piattaforme di streaming. Con le latenze della DAZN e dell'Amazon Prime Video della situazione che sono troppo dipendenti dai vari processi di codifica, così come dalla connessione. Insomma, spesso va di lusso quando i secondi di ritardo rispetto alla realtà sono dai 15 ai 20. 


Quanto appare sullo schermo è comunque in differita, per motivi prettamente tecnici ed il buffering è un male necessario: 30 secondi sono pur sempre meno dei 3 minuti di differita con cui nella Polonia comunista (o meglio, nella Polonia sotto la minaccia sovietica, perché Jaruzelski non aveva il profilo del dittatore comunista ed infatti il suo primo pensiero era evitare un'invasione da parte dell'URSS) venivano mandate in onda le partite della nazionale per nascondere gli striscioni pro Solidarnosc. Tornando a noi, il cuore della questione è semplice: nel mondo del 2024 accettiamo di essere in ritardo di qualche decina di secondi?

Nella maggioranza dei casi non si direbbe, visto che per chi scommette e per chi è tifoso è impensabile non sapere subito, in stile radio, cosa stia succedendo, attraverso notifiche web o, appunto, la vecchia radio. Ogni tanto per mettere alla pari le televisioni si sente parlare di ritardare il segnale del DTT o del satellite, in modo almeno di ovviare al problema dell'esultanza del vicino. Ci sembra una soluzione simile a quella di chi vorrebbe tornare nel tennis alle racchette di legno, ma ha una sua logica. Ci teniamo per la fine il vero problema e cioè che non riusciamo più a vedere lo sport in differita, sia pure di poco. Non resistiamo alla tentazione di 'mandare avanti' per essere alla pari almeno con gli altri telespettatori. Non riusciamo a non sapere il risultato, noi che centellinavamo partite NBA con una settimana di ritardo.


Retequattro sponsor del Milan


Rete 4, o Retequattro come si scrive ai tempi, sponsor del Milan. Il 18 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri, l'annuncio ufficiale di una sponsorizzazione che fa pensare a Silvio Berlusconi. Ma il Milan è di Giussy Farina e rimarrà suo fino a quando ad inizio 1986 glielo scipperanno (in preparazione, grazie anche alla collaborazione di Mark Hateley, un libro di Indiscreto di quelli che faranno storia), mentre Retequattro è controllata dalla Mondadori (dove Berlusconi non è ancora entrato).

Giornata di grandi annunci, per un canale che per due anni ha davvero fatto concorrenza a Canale 5 con grandi personaggi (Tortora, Baudo, Biagi, Costanzo) ed una sfida a viso aperto (come dimenticare Dynasty contrapposto a Dallas?), visto che Liedholm, appena tornato al Milan, firma come opinionista di Caccia al 13. Tutto bello, però a fine agosto la Fininvest compra il 50% di Rete 4, che sta perdendo tanti soldi, in attesa di prendersela tutta, e Berlusconi decide di riposizionarla: non più rivale di Canale 5, con anche velleità giornalistiche, ma rete per un pubblico femminile di cultura medio-bassa.

E il Milan? La maglia con la scritta Retequattro si vedrà soltanto in qualche amichevole e prima del campionato sarà sostituita con quella marchiata Oscar Mondadori: non ha senso che un canale di telenovelas sponsorizzi una squadra di calcio. Milan-Retequattro diventerà una maglia per collezionisti e oggi vale sui 1.000 euro. Quanto al canale, in tempi recenti c'è stato il tentativo di riportarlo alle origini generaliste e giornalistiche del periodo Mondadori. Ecco, un tentativo.

04 giugno 2024

Marotta for president

Giuseppe Marotta presidente dell’Inter, non soltanto un meritato premio alla carriera visto che rimane amministratore delegato dell’area sportiva del club campione d’Italia anche nell’era di Oaktree, breve o lunga che sarà. Succede a Steven Zhang, diventando così il ventiduesimo (contando una volta sola Massimo Moratti, che lo è stato per due periodi) presidente della storia nerazzurra, con la prospettiva di continuare a governare l’Inter come fa dalla fine del 2018, anche se le logiche sono cambiate. Da una proprietà poco presente, che comunque ha sempre pompato soldi nell’Inter fino all’ultimo, ad una che gli starà con il fiato sul collo, visto che il consiglio è quasi totalmente targato Oaktree, e non è detto che ripiani ogni perdita pur avendo la cilindrata per farlo. Certo è che Marotta ha invertito una tendenza negativa, non soltanto a livello sportivo, e che questo è il punto più alto di quasi mezzo secolo di carriera. Il miglior dirigente calcistico italiano, in serie A1 (in A2 è Sartori), è lui e non da oggi. Ma nonoistante il doppio incarico di prestigio le mani saranno adesso meno libere.

Il licenziamento per giusta causa di Allegri, reso noto venerdì scorso, non era poi per una causa tanto giusta se sono bastati due giorni, la minaccia del tribunale ed un colloquio con Elkann per arrivare ad una transazione dall’importo ancora non ufficiale ma che di sicuro soddisfa l’allenatore ed il suo staff, lasciandogli le mani libere per prendere la differenza se ci sarà un’offerta stimolante. Non proprio una vittoria di Giuntoli, che comunque adesso costruirà il futuro con un allenatore di suo gusto.

Perché il Centro-Sud è quasi scomparso dalla Serie A? Considerando della stessa zona il Sassuolo retrocesso ed il Parma promosso, vanno giù Frosinone e Salernitana, su Como e Venezia. Nella sostanza nel campionato 2024-25 le squadre più settentrionali sopra Cagliari, Lecce e Napoli saranno le due romane. Situazione che unita al discorso sulle proprietà (salite tre straniere, scese tre italiane) e alle cinque lombarde si presta a mille analisi, anche se non ne faremo nessuna. Ricordiamo soltanto che fra le prime 20 città d’Italia per numero di abitanti ci sono Palermo (quinta), Bari (nona), Catania (decima), Messina (tredicesima) e Taranto (diciannovesima). E che di queste soltanto il Palermo, con il City Football Group, ha una proprietà ambiziosa anche se certo non manderà al Barbera né Guardiola né Haaland. Il Bari è prigioniero di De Laurentiis, che in caso di promozione lo perderebbe, le altre tre sono in C.


Il Chelsea dell’era Boehly è la società peggio gestita del mondo, in proporzione al budget a disposizione, ma con il contratto quinquennale di Enzo Maresca è riuscita stupire ancora. Beninteso: stiamo parlando di un ottimo allenatore, ancora relativamente giovane, con il bollino di qualità di Guardiola del quale è stato vice e del quale è quasi un clone anche fisicamente. Ma il senso di un contratto quinquennale sfugge ai più, ricordando come in meno di due anni il Chelsea sia riuscito a chiudere rovinosamente l’era Tuchel, a svenarsi per Potter, pagandolo come un grande calciatore, a richiamare Lampard per niente e a buttare altri soldi per il disastroso Pochettino. Certo non hanno un dirigente come Ivan Gazidis, da poco tornato in pista come presidente del Sain-Etienne a proprietà canadese.

03 giugno 2024

Ancelotti da sette

La quinta Champions League vinta da Carlo Ancelotti come allenatore, che va sommata alle due Coppa dei Campioni da giocatore, è stata la terza in ordine di sofferenza, ricordando i rigori con la Juventus a Manchester o il colpo di testa di Sergio Ramos al 90’ contro l’Atletico Madrid, e ha dimostrato che la quinta della Bundesliga, arrivata a 27 punti dal Bayer Leverkusen (a sua volta con una rosa di valore medio-alto, certo non stellare) può mettere sotto per metà partita il più grande club del mondo, pieno di campioni e bene allenato, usando le sue stesse armi, cioè lasciandogli l’iniziativa e ripartendo in massa. Poi nel secondo tempo il Real ha preso in mano la situazione e nessuno, dopo le tante occasioni fallite dal Borussia Dortmund nel primo tempo, avrebbe scommesso un euro sui tedeschi di Terzic. In mezzo alle celebrazioni la solita domanda, che possiamo dividere in due. Ancelotti avrebbe salvato l’Empoli? Nicola avrebbe condotto il Real alla sua quindicesima Champions? No. No. Non è vero che tutti gli allenatori sono uguali, perché in ogni contesto ci sono quelli bravi e quelli che non lo sono.

Il licenziamento per giusta causa, della Juventus nei confronti di Allegri, è qualcosa di clamoroso e di difficile da spiegare. Perché se si andrà in tribunale le chance del club di risparmiare i 18 milioni, questo il costo aziendale lordo, residui per Allegri e il suo staff sono pari a zero. Non è che un litigio, oltretutto privato (non ci si riferisce quindi al gesto fatto in campo dopo la finale di Coppa Italia), con il direttore sportivo, sia una giusta causa di licenziamento, altrimenti nessun allenatore esonerato avrebbe mai visto un euro. Ad un primo livello l’idea della Juventus è quella di chiedere 18 per ottenere, mettiamo, 6, insomma di arrivare a una transazione contando sulla voglia di Allegri di tornare ad allenare subito. Ad un secondo è un’altra picconata elkanniana sull’era di Andrea Agnelli, proprio negli stessi giorbi in cui si è consumata l’abiura definitiva della Superlega, con la riammissione nell’ECA adesso diretta da El-Khelaifi, improbabile paladino del calcio di tutti.

Quando finirà l’era De Laurentiis al Bari? Dopo la clamorosa vittoria-salvezza al Liberati contro la Ternana i tifosi del Bari continuano a chiedere un cambio di proprietà, che comunque per la legge attuale dovrebbe avvenire entro il 2028. La tigna nel mantenere due club di prestigio e con un bacino di utenza ampio (Bari è la nona città d’Italia per numero di abitanti), invece di mettere in piedi un serio progetto di seconda squadra come Juventus e Atalanta, si spiega soltanto con le previsioni di aumento enorme del valore dei brand sportivi nei prossimi anni (la stessa scommessa che in altra situazione ha strangolato Zhang). Vendere il Bari fra 3 anni sarà più conveniente, a meno che una promozione in A costringa ad accelerare l’operazione. In ogni caso a nessun tifoso piace sentirsi una seconda scelta o una seconda squadra (espressione usata qualche mese fa da De Laurentiis), vale anche quando la prima è il Real Madrid e quindi figuriamoci con il Napoli. Situazione che non può trascinarsi fino al 2028.

Battendo la Cremonese il Venezia è diventato la terza promossa in A insieme a Como e Parma. Tre club con una grande storia (ma quale club non ha una grande storia?) ed un presente gestito da stranieri: americani i capitali di Parma e Venezia, indonesiani quelli del Como. Questo significa che esattamente metà della Serie A 2024-2025 sarà formata da squadre controllate da persone o aziende non italiane. Una realtà che si presta a mille considerazioni, ma con due che superano le altre 998. La prima: gli imprenditori locali, o comunque italiani, di una certa cilindrata sono in proporzione meno rispetto a una volta, nell’economia in generale e non soltanto nel calcio. La seconda: il calcio italiano ha potenzialità ancora inesplorate, comunque un club italiano si compra meglio rispetto ad un pari rango inglese, ed inoltre può legarsi a discorsi turistici ed immobiliari inimmaginabili per qualsiasi altro paese: certo un pazzo può andare in vacanza a Ipswich o a Wolverhampton, ma non si tratta di turismo di massa.


Fuori Acerbi, fuori Scalvini. La sfortuna ha deciso al posto di Spalletti, così nei 26 per gli Europei a questo punto dovrebbe entrare Gatti. E togliamo il condizionale nel caso il c.t. voglia tentare di nuovo l’azzardo (per come la pensa lui) della difesa a tre, quindi con la necessità di avere in rosa sei difensori centrali. Domanda da bar cattivo: ma c’era bisogno che Gasperini giocasse con tutti i titolari una partita inutile come quella con la Fiorentina? La risposta è semplice. La partita non era inutile, perché al di là del fatto che l’Atalanta l’abbia persa c’erano da conquistare un terzo posto, eguagliando il suo miglior piozzamento di sempre (ottenuto altre tre volte, sempre con Gasperini) e quasi tre milioni di euro in più. Con un altro metro etico-sportivo l’Atalanta avrebbe dovuto allora perdere con il Torino e dare alla Roma la chance di conquistare il sesto posto italiano in Champions. Ma Gasperini prova sempre a giocare, per questo è antipatico a molti addetti ai lavori, come si è notato dai tanti complimenti a denti stretti per l’Europa League.

30 maggio 2024

Calcio all'italiano

La Fiorentina ha perso la sua seconda finale consecutiva di Conference League, aggiungendo una delusione sportiva alla normale amarezza di fine ciclo. Sì, perché con tutta probabilità l’era di Vincenzo Italiano finisce qui, con una partita giocata al di sotto del proprio standard, accettando il calcio scarno dell’Olympiacos, e con i suoi tanti giocatori offensivi invece in linea con il resto della stagione. Anche se per una volta non c’è molto da recrimonare: Terracciano ha fatto almeno tre parate vere, Tzolakis nessuna, in una partita bloccata come lo sono tante finali e dove solo sui tabellini le squadre di Mendlibar e Italiano erano a specchio con il 4-2-3-1. I greci pronti a verticalizzare in fase di ripartenza e a buttare la palla in mezzo all’area quando il giuco si è sviluppatro sulla fasce, i viola più padroni del campo anche se Mandragora e soprattutto Arthur si sono limitati al compitino. Arriviamo per milionesimi ad osservare che tanti mezzi giocatori offensivi non ne fanno uno vero e non c’è bisogno di vedere e rivedere gli errori di Belotti, Kouamé e Ikoné, la fumosità di Nico Gonzalez, Barak, e Nzola, senza contare Beltran che ha giocato pochi minuti. Il discorso sugli attaccanti non deve far dimenticare la cattiva fase difensiva mostrata dalla Fiorentina per tutta la stagione, al di là di Atene: in Serie fra le squadre della prima metà della classifica nettamente la peggiore.

Poi il calcio è il calcio e non occorre essere italiani per osservare che il gol di El Kaabi, straordinario bomber di coppa ma dai viola cancellato per quasi 120 minuti, sarebbe stato annullato da molti arbitri anche al netto del mitologico arbitraggio internazionale che consiglia di non fischiare ogni volta in cui c’è qualcuno per terra. Il risultato non è tutto ma il risultato dice che l’Olympiacos è la prima squadra greca a vincere una coppa europea in 65 anni di partecipazioni, con l’unica ad andarci vicino che era stato il Panathinaikos allenato dall’immenso Ferenc Puskas, finalista nella Coppa dei Campioni 1970-71 e piegato 2-0 a Wembley dal grande Ajax di Michels e Cruijff dopo una partita a tratti violentissima. Ovviamente il più grande risultato di un club greco rimane quello del Pana, ma questo non toglie meriti all’Olympiacos attuale, che giocando più o meno così aveva eliminato altre favorite come Fenerbahce e Aston Villa, e al suo bomber trentunenne che

fino alla scorsa stagione era stato ben lontano dal grande calcio: l’anno scorso di questi tempi giocava in Qatar. Quanto a Mendilibar, seconda coppa europea in due stagioni dopo l’Europa League dell’anno scorso con il Siviglia in finale sulla Roma di Mourinho. L’età, 63 anni, la filosofia di gioco, ed una lunghissima storia di esoneri con la fortuna (sia al Siviglia sia all’Olympiacos è entrato in carica due mesi prima della grande vittoria) arrivata alla fine, impediscono anche agli esterofili più spinti di chiamarlo maestro. Le sue squadre, almeno nella loro versione europea, sono come quelle italiane di una volta.

Tornando alla Fiorentina, quale futuro per la squadra di Commisso che ripartirà quindi di nuovo dalla Conference League? Per il dispiacere del Torino, con Cairo ieri neotifoso viola (e del resto non è nemmeno tifoso del Torino), che per 116 minuti ha pensato di avere agganciato il treno europeo. In attesa dell’ufficialità della ‘decision’ di Italiano, con Palladino primo candidato alla successione, e delle prime mosse di Pradé e del nuovo direttore tecnico, Roberto Goretti, che prende il posto di Burdisso, qualche considerazione sulla rosa si può già fare. Quasi impossibile che i tanti prestiti (Belotti, Faraoni, Maxime Lopez, Arthur) vengano rinnovati o trasformati in qualcosa d’altro. In bilico la posizione di Bonaventura, a meno che non accetti un ridimensionamento finanziario adesso che non è scattata la clausola per il rinnovo automatico. Di base Kouamé dovrebbe rimanere, ma non è detto, mentre lo svincolato Duncan non ha avuto segnali ed infatti è in contatto con più club. Molto mercato ha Nico Gonzalez, che ha un contratto fino al 2028, ed è probabile che parta anche Martinez Quarta in modo da non perderlo a zero l’anno prossimo. Il recupero con l’Atalanta sarà una delle partite più tristi della storia viola recente.

29 maggio 2024

Thiago Motta in carriera


 Bologna e il Bologna hanno preso davvero male l’addio di Thiago Motta. Con critiche, che ci possono stare, ed insulti che qualificano soprattutto chi li urla. Una situazione che costringe a ricordare che il prossimo allenatore della Juventus ha, dopo un anno non memorabile nelle giovanili del PSG, ha iniziato la carriera da allenatore di prima squadra nel 2019 con un esonero, dopo 10 partite, e che nessun tifoso del Genoa si è (giustamente) preoccupato per il suo futuro. Presa in mano la squadra da Andreazzoli a fine ottobre, non riuscì a festeggiare il Capodanno 2020 in panchina nonostante un buon inizio, vittoria con il Brescia ed onorevole sconfitta con la Juventus. Cacciato con la squadra ultima in classifica, che Preziosi affidò a Davide Nicola, che in quella stagione ricordata soprattutto per il Covid riuscì all’ultima giornata a strappare la permanenza in Serie A.

 

E lo stesso sarebbe accaduto anche a La Spezia, dopo un anno di disoccupazione, dove il predestinato (sulla fiducia, come molti predestinati) italo-brasiliano raccolse la difficile eredità di Italiano e fu più volte ad una partita dall’essere esonerato. E lo sarebbe stato prima di Natale, se non avesse vinto in trasferta contro il Napoli di Spalletti, senza fare un tiro in porta, grazie ad un autogol di testa Juan Jesus e ai miracoli di Provedel. Quella è stata la partita più importante della sua carriera di allenatore, subito dopo lo Spezia avrebbe cambiato marcia salvandosi brillantemente e Thiago Motta lo lasciò al momento giusto, senza avere niente in mano. Il resto è quasi storia di oggi, con il Bologna preso in mano a stagione iniziata, con l’aggravarsi delle condizioni di Mihajlovic, e tranquillo a centroclassifica, prima dell’exploit della stagione successiva, cioè questa.

 

Se invece di arrivare clamorosamente in Champions League, a 60 anni di distanza dall’ultima volta, fosse rimasto invischiato nella lotta per la retrocessione con un Bologna che ha giocatori pagati in totale circa 27 milioni di euro lordi (parliamo di ingaggi), meno di quelli delle retrocesse Sassuolo e Salernitana, in tanti avrebbero chiesto la sua testa. Insomma, è il solito discorso: il club e i tifosi pretendono di poter lasciare, se hanno opportunità migliori, ma non accettano di essere lasciati. Per fortuna non funziona così, nel calcio e nella vita, e chi ha potere contrattuale e immagine, come Thiago Motta in questo momento, fa benissimo a farsi rispettare perché la ruota gira. Chi gli augura di fare la fine di Maifredi, peraltro non una brutta fine, sta mettendo sul suo successore (con Italiano sarebbe proprio ruota che gira) al Bologna, senza Zirkzee e magari anche Calafiori, una pressione enorme. 

27 maggio 2024

Miracolo alla Nicola

 Il Frosinone è la terza retrocessa in Serie B, insieme a Sassuolo e Salernitana, ma al contrario delle due compagne di sventura ha poco da rimproverarsi anche se il modo in cui ha perso con l’Udinese, con l’Empoli che poi ha trovato nel recupero il gol salvezza, fa male. La cilindrata della squadra di Stirpe non era diversa da quella di Empoli e Udinese, o di altre già salve come Verona e Lecce, ma qualcuno doveva retrocedere e non è che un finale del genere cambi il giudizio su un progetto e su un allenatore come Di Francesco. Semmai l’impresa l’ha fatta l’Empoli, con una partita enorme e disperata contro una Roma di altra categoria ma con il morale basso per l’esclusione dalla Champions, trovando con Niang un gol storico in molti sensi. Anche in quello di poter giocare il quarto campionato di fila in Serie A, cosa mai riuscita al club da 33 anni magnificamente gestito da Fabrizio Corsi. Un’altra impresa per Davide Nicola, che per una volta nella vita meriterebbe una squadra dalle ambizioni superiori e presa in mano in estate, un’altra impresa di un Empoli senza santi in Paradiso e con un bacino d’utenza appassionato ma limitato. Una realtà non fa tragedie di fronte alla spesso inevitabile retrocessione e che continua a formare giovani per le nazionali, mentre altri ne parlano e basta. Salva anche l’Udinese, Cannavaro non aveva grandio referenze se non le glorie da calciatore, ma le sue chance se le è giocate alla grande in queste 5 partite.

 

L’Atalanta ha continuato ad onorare lo sport pur essendo già sicura del posto in Champions, asfaltando il Torino che per la Conference deve mercoledì tifare Fiorentina. Le demenziali regole UEFA avevano messo in mano a Gasperini il destino europeo della Roma, in più la Lega ci ha messo del suo non facendo giocare le partite in contemporanea. È chiaro che il cosiddetto ‘sistema’ avrebbe avuto convenienza ad avere un’Atalanta quinta, quindi con clamorosi 6 posti nella rinnovata Champions a 36 squadre, ma è evidente che di questo sistema l’Atalanta non fa parte: perché mettersi a fare favori, oltretutto antisportivi, che non verranno mai restituiti? 

 

Al di là degli incastri di calendario non c’è dubbio che la Roma abbia finito in calando una stagione stranissima, con cambi dirigenziali importanti ed un piazzamento da Europa League che veniva ottenuto anche in stagioni considerate disastrose. L’effetto De Rossi è un’invenzione giornalistica e nemmeno di tutti i giornalisti, ma soltanto di quelli che imputano a Mourinho tutti i mali del mondo. L’ex Capitan Futuro ha preso in mano la squadra il 16 gennaio, dopo la sconfitta con il Milan a San Siro, con una Roma nona, 3 punti sotto il Bologna e 4 sotto l’Atalanta. Adesso, complice il crollo del Napoli, ed il calo di Lazio e Fiorentina e Lazio, il piazzamento è migliorato ma questi punti di distacco sono diventati 6 e 5. De Rossi ha però di sicuro portato un clima migliore, dentro e intorno alla Roma, insieme a qualche cambiamento tattico. Complice un buon calendario ha migliorato subito la classifica, facendo bene in Europa League eliminando il Milan e uscendo in semifinale con il Bayer Leverkusen, ormai descritto come una specie di Real Madrid ma i cui ingaggi sono due terzi di quelli della Roma. Di sicuro De Rossi ha dimostrato di essere un allenatore, con in più il patrimonio di amore dei tifosi che arriva dalla sua storia, anche familiare. Ma dire che, paragonato a Mourinho, abbia spiegato calcio è un po’ esagerato. E non è un caso che la Roma degli ultimi anni sia quasi abbonata al sesto posto, a prescindere dalle circostanze, con l’ultima qualificazione Champions che risale ai tempi di Di Francesco, in un contesto molto diverso. 

 

Chiusura in tono minore per Leonardo Bonucci, a 37 anni, da riserva poco giocante nel Fenerbahce, al termine di una stagione iniziata litigando con la Juventus, visto che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimanere, proseguita con l’Union Berlino fra pochi alti e molti bassi, e chiusa in Turchia. Questo finale nulla toglie alla carriera di Bonucci, colonna della Juventus dominatrice degli anni Dieci e della Nazionale di Euro 2020, con 9 scudetti (il primo, dal punto di vista però solo statistico perché era un Primavera, quello assegnato all’Inter dopo Calciopoli) e tutto il resto. Non ha mai goduto della buona stampa del più furbo e uomo di calcio Chiellini, altra colonna di una Juventus che iniziò a vincere con Conte in panchina, ed in generale non è stato Scirea, ma è uno di quei difensori detestati dagli avversari che un tifoso vorrebbe sempre avere nella propria squadra. Troppa personalità per fare l’allenatore in un mondo di finti umili, magari ci sorprenderà come commentatore.  


20 maggio 2024

Zhang o Oaktree?

 Steven Zhang o Oaktree Capital Management? Scusate, come lo scorpione della favola non neghiamo la nostra natura e proponiamo un Di qua o di là sull'Inter, ma non soltanto sull'Inter, prima di sapere come andrà a finire e quindi per fare del semplice bar. In questo momento è difficile pensare che in tre ore Zhang trovi soldi che non ha trovato in tre anni in modo che la sua Grand Tower, la società lussemburghese che controlla l'Inter, non perda l'Inter stessa data in pegno a Oaktree per il finanziamento (a Grand Tower) di 275 milioni più interessi. Comunque vada a finire, una situazione che ha alimentato il festival del sedicente insider, come se fossero molte (e tutte italiane e presenti su Twitter, casualmente) le persone a conoscenza delle strategie di grandi società finanziarie o dei fondi sovrani.

Della vicenda ci incuriosisce soprattutto il mantra "Comunque vada, per l'Inter non cambierà niente". Ma è davvero così? Un fondo ha le stesse logiche di un proprietario sul piano personale alla canna del gas? No, non è lo stesso la risposta l'hanno già data, stando alla finestra per i prolungamenti, diverse persone da Simone Inzaghi in giù. Facile il confronto con il Milan di Elliott, che di fatto raccolse il Milan da uno scoglionato Berlusconi (che poi avrebbe messo quasi 200 milioni nel Monza), formalmente dal traghettatore Yonghong Li. L'ultimo Berlusconi, quello dal 2012 in poi, era meglio o peggio di Elliott? Non sono domande retoriche, infatti ogni tifoso ha una risposta diversa.

Il nostro Di qua o di là è quindi come al solito sempre un po' filosofico. Meglio un padrone, più o meno disposto a spendere (in 8 anni Suning ha messo nell'Inter circa 600 milioni, escludendo sponsorizzazioni della casa se no il totale sarebbe più alto), o un'entità quasi astratta come un fondo o un gruppo di investitori legati ad una gestione equilibrata? È puro bar, perché ormai nemmeno Zhang ha il controllo della situazione e quindi figuriamoci gli insider della mutua. Se foste, in realtà o teoricamente, tifosi dell'Inter: Zhang o Oaktree? Zhang o qualunque altro padrone, beninteso.


19 maggio 2024

Elkjaer al Verona


Una data fondamentale del calcio anni Ottanta è quella del 19 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri. Quando il Verona acquistò Preben Elkjær-Larsen, per tutti noi Elkjaer, dal Lokeren. Un colpo da un miliardo di lire, per il solo cartellino, arrivato pochi giorni dopo il dispiacere per avere perso Iorio alle buste con la Roma ed in un momento in cui sembrava che Galderisi potesse tornare alla Juventus. Quella sera Elkjaer fu anche straordinario protagonista nella vittoria della Danimarca sul Belgio all'Europeo, un torneo ad 8 squadre ben diverso dall'attuale formula 'cani e porci'. Al Belgio guidato da un diciottenne Scifo, sedotto e abbandonato da Bearzot, per qualificarsi alle semifinali sarebbe bastato un pareggio, ma in vantaggio per 2-0 si fece rimontare dalla nazionale di Piontek, con il 3-2 firmato proprio da Elkjaer con una grande azione personale in una partita che ci gustammo minuto per minuto ad Albisola, dove come da nostro costume scroccavamo le vacanze a casa degli amici e dove eravamo barricati in casa per un diverbio di uno del nostro gruppo con alcuni tamarri locali (ad Albisola!), un superclassico delle vacanze degli adolescenti milanesi e romani. Ma tornando a Elkjaer, i competenti e forse anche gli incompetenti sanno quanto sarebbe stato importante nello scudetto del Verona, nei 9 anni magici della Serie A, 1982-1991, 7 squadre diverse per 9 scudetti ed un hype, merito anche del Mondiale 1982, irripetibile.

17 maggio 2024

Allegri o Vaciago?

 Massimiliano Allegri o Guido Vaciago? L'ormai ex allenatore della Juventus o il direttore di Tuttosport? I fatti avvenuti all'Olimpico dopo la vittoria della Juve nella finale di Coppa Italia sono stati raccontati dalle parti in maniera un po' diversa, con Allegri che ha anche messo in mezzo (e visti i soldi in palio si capisce perché) l'avvocato, ma nella sostanza si può dire che un Allegri già alterato, dopo il lancio della giacca, le urla contro Maresca e i gesti contro Giuntoli, incrociando Vaciago lo abbia apostrofato in maniera poco simpatica ("Direttore di merda" secondo il giornalista, "Direttorino dei miei coglioni" secondo altre fonti), facendo seguire un invito ("Scrivi la verità sul tuo giornale, non quello che ti dice la società. Smettila di fare le marchette con la società") e una minaccia ("Guarda che so dove venire a prenderti. So dove aspettarti. Vengo e ti strappo tutte e due le orecchie. Vengo e ti picchio sul muso").

La causa dello sfogo di Allegri è evidente: da quasi due anni ritiene di essere il capro espiatorio ideale per i tifosi, per la nuova dirigenza che ormai tanto nuova non è, e per i giornalisti. Magari non tutti i giornalisti, visto che ce ne sono tanti che anche lo difendono acriticamente, senza contare quelli che amano Allegri come icona di un presunto calcio di una volta (all'opposto c'è chi ha il santino di De Zerbi, infatti Adani si è subito palesato sui social network). In altre parole, le nostre, Allegri ritiene di essere stato attaccato al di là dei suoi demeriti (ma ci sembra che Tuttosport sia il bersaglio sbagliato, se il problema è questo) e che tutto questo sia stato ispirato, o lasciato fare, da Elkann in giù, per liberarsi dell'ultimo simbolo dell'era di Andrea Agnelli. Con gli allenatori dei grandi club, non soltanto la Juventus, funziona così: padri della patria e fini strateghi fino a un minuto prima di essere trattati da incapaci e bolliti.

Da parte sua, Vaciago ha avuto buon gioco nell'invitare Allegri a raccontare queste fantomatiche verità nascoste. Che tutto sono tranne che nascoste: Allegri avrebbe avuto pochissime, quasi zero, possibilità di rimanere anche mantenendo il passo della prima parte della stagione, con il corto muso e tutto il resto. Ma al di là dell'episodio, che potrebbe avere effetti anche sulla transazione fra l'allenatore e la Juventus, a noi interessa il discorso generale: Allegri, diciamo l'Allegri degli ultimi anni, è stato criticato dai media al di là dei suoi demeriti? Allegri o Vaciago? Essendo una domanda semplice, come il calcio secondo Allegri, rinunciamo all'opzione De Zerbi che sarebbe quasi provocatoria.


16 maggio 2024

Maldini o Cardinale?

 Paolo Maldini o Gerry Cardinale? Non è un Di qua o di là scontato, perché non è scontato che un grande campione sia capace di gestire un club, anzi ci sono tanti esempi che dicono il contrario, e nemmeno che un manager sappia capire la specificità del calcio italiano, ed anche qui i casi negativi abbondano. Il pretesto è ovviamente la storia di censura denunciata da Alessandro Alciato riguardo alla sua intervista a Maldini per Radio Serie A, cioè la radio della Lega e nella testa di molti presidenti l'embrione della tivù della Lega stessa. Intervista in cui Maldini ha toccato vari temi, fra l'altro dicendo che non andrebbe mai in Italia a lavorare per una società diversa dal Milan, e in cui parlando dell'Inter (ma era evidente che stesse pensando alla sua ex squadra) ha sottolineato l'importanza della continuità nella struttura sportiva. Nostra traduzione grezza: Cardinale, hai fatto male a cacciarmi.

Intervista che noi abbiamo seguito su YouTube ma che a un certo punto è scomparsa per 24 ore, per poi ricomparire in seguito ad una telefonata di Maldini alla Lega. Episodio ricostruito da Alciato, che ha parlato di pressioni del Milan per non mandarla in onda, con il giornalista ex Sky, ora ad Amazon, che comunque in seguito a questo episodio ha interrotto la sua collaborazione con Radio Serie A. Insomma, ci sarebbe stato un tentativo di censura, peraltro mal riuscito, per evitare che le parole di Maldini fossero interpretate (come poi è stato da parte di chiunque le abbia ascoltate) come un attacco alla gestione attuale nel Milan, nel mirino anche di molti tifosi per cui l'aspetto sportivo viene prima dei bilanci. Parentesi: se un'intervista con toni pacati genera queste reazioni, cosa potrebbe essere in una tivù di lega la discussione su un caso da moviola?

Il Di qua o di là è quindi filosofico e va oltre Maldini, che nei suoi cinque anni da dirigente ha commesso errori ma anche fatto scelte eccellenti (a seconda del tipo di articolo si possono citare Giampaolo o Theo Hernandez), e Cardinale i cui obbiettivi finali nessuno in definitiva conosce se non per le briciole buttate lì ogni tanto dalla sua discutibile comunicazione. Il grande ex deve limitarsi a fare il tagliatore di nastri (tipo Zanetti, ma anche Antognoni o Totti quando venivano sopportati alla Fiorentina e alla Roma) e lasciar fare ai manager? Nulla impedisce al grande ex di studiare la gestione di una società e al manager di capire di calcio, ovviamente, però nella realtà dei fatti vediamo pochi dirigenti davvero bravi, anche in grandi club non soltanto italiani. Il calcio è troppo specifico anche all'interno dello sport. Ma rapportando tutto al presente e al Milan: Maldini o Cardinale?

stefano@indiscreto.net


14 maggio 2024

Forza Juve o Juve merda?

 Forza Juve o Juve merda? Purtroppo non siamo tornati nella nostra prima elementare, nella meravigliosa (anzi no) Italia del 1973, ma siamo soltanto rimasti colpiti da due fatti che a dispetto del titolo beceramente acchiappaclick (non siamo Proust e nemmeno Prost, viviamo di questo) ci offrono il pretesto per una riflessione seria, forse anche interessante. I due fatti sono ovviamente la risposta, urlata anche alla telecamera, di Sebastian Korda ai tifosi romani(sti) che lo avevano insultato per due ore durante il suo match con Cobolli, perché era avversario di Cobolli e perché fidanzato con la figlia di Nedved, e le frasi mormorate dalla bambina fiorentina prima di Fiorentina-Monza, accompagnando l'entrata in campo dei giocatori. Due fatti che a loro volta si presterebbero a un Di qua o di là, ma rimaniamo concentrati, non disuniamoci.

Il tema è sempre quello: perché oggi la Juventus è divisiva, a prescindere dai suoi rappresentanti e dai suoi risultati, più di quanto non sia l'altra squadra nelle città con derby di un certo livello (Inter-Milan, Roma-Lazio, Genoa-Sampdoria) o con rivalità regionali forti come potrebbero essere Bari-Lecce, Palermo-Catania, eccetera? Abbiamo scritto 'oggi' non a caso, perché nella citata Italia del 1973 ed anche in quella successiva non funzionava così. Le rivalità era generata dai derby o da antipatie di altro tipo, soprattutto personali: il compagno di banco o il collega antipatico erano il nemico, si tifava contro di loro e la loro squadra, non contro Zoff, Mazzola o Rivera. Non era un tifo migliore, beninteso, ma soltanto un tifo che aveva origine diversa.

Personalmente, riferendoci soltanto all'orticello della periferia ovest milanese, ai nostri tempi in genere tifava Juventus chi seguiva poco il calcio ma qualcosa doveva pur rispondere al terribile 'A che squadra tieni?'. Va da sé che quegli juventini d'epoca fossero poco divisivi, indifferenti anche di fronte ai vari 'La Juve ruba' dei tifosi della altre squadre, molto ambiti per completare le squadre dispari di interisti e milanisti. Ci sono varie teorie, ma secondo noi il cambiamento epocale come percezione sarebbe avvenuto con la Juventus di Moggi e Giraudo, parliamo quindi di trent'anni fa, ed è poi esploso ovviamente con Calciopoli e la benzina del web. Lì molti juventini si sono trasformati, generando anche figli di un certo tipo (quelli che allo Stadium gridano 'merda' ai rinvii del portiere avversario, ad esempio), ma molti sono anche rimasti distaccati come ai bei tempi. Va da sé che sia cambiato anche l'antijuventinismo: da invidia per una squadra forte e potente ad un livore assoluto, quasi antropologico, con tanto di giornalisti specializzati. Forza Juve o Juve merda? Korda o la bambina di Firenze?

stefano@indiscreto.net


06 maggio 2024

Menotti o Bilardo?


Cesar Luis Menotti o Carlos Bilardo? La morte dell'allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978 riapre l'eterno confronto con quello dell'Argentina campione nel 1986. Menottismo contro bilardismo: più dichiarazioni ideologiche che realtà concrete, vista l'importanza che Menotti dava alla preparazione fisica e alla difesa, che infatti non toccava quasi mai. Però sia in Argentina sia in Italia questi due grandi tecnici sono sempre stati visti in contrapposizione, anche per le differenti epoche di cui sono stati involontarie icone: Menotti del regime militare, Bilardo del ritorno alla democrazia.

La loro storia è simile: coetanei, entrambi nati nel 1938, entrambi calciatori che l'Albiceleste l'hanno sfiorata (ma la carriera di club del regista Bilardo è stata nettamente meglio di quella dell'enganche Menotti), entrambi uomini di cultura ed in questo senso alieni rispetto al calcio dell'epoca e di oggi, entrambi campioni del mondo, entrambi con una lunga, nel caso di Menotti lunghissima, carriera nei club vincendo pochissimo (di fatto un Metropolitano per ognuno), e venendo spesso contestati.  Ed entrambi con una storia segnata dal rapporto con Maradona.

Che Menotti fece esordire sedicenne in nazionale, salvo poi non convocarlo per il Mondiale in casa (fu uno degli ultimi tre scartati per arrivare a 22) e pentirsene, impostando su di lui il quadriennio successivo, mentre Bilardo si affidò totalmente a lui, in maniera non troppo diversa da quanto ha fatto Scaloni con Messi. Certo Maradona, con la ferita del 1978 che non si era mai davvero rimarginata, ha sempre avuto più calore (ricambiato) nei confronti di Bilardo ed anche in questo caso, con epoche vicine, i confronti sono difficili perché l'Argentina 1978 aveva un livello medio dei singoli molto più alto. In ogni caso i due non si sono mai amati e non hanno mai perso l'occasione per criticare il rivale: adesso Menotti non lo può più fare, e Bilardo purtroppo non è in grande forma. Menotti o Bilardo?

23 aprile 2024

Inter di Inzaghi o Inter di Mourinho?


Quale è stata la migliore Inter della storia recente, quella di Simone Inzaghi o quella di José Mourinho? Per storia recente intendiamo quella con la televisione a colori, dopo un periodo sperimentale partita davvero soltanto all'inizio del 1977: non che prima non esistessero il mondo e la Serie A, ma quello che c'era prima non l'abbiamo vissuto in diretta. La nostra fedeltà alla Settimana Enigmistica, il giornale perfetto, ci permette di citare Polibio e la sua idea di storia fondata su testimonianze dirette, quindi in ogni caso scritta da contemporanei o quasi rispetto ai personaggi e alle vicende raccontati.

Veniamo al punto. Dopo il primo scudetto di Inzaghi, sesto allenatore a vincerlo negli ultimi sei campionati (altra domanda per i competenti: cosa vorrà dire?), i paragoni storici si sprecano e chi non ha argomenti si mette a copiare da Wikipedia. Hai vinto di più, quindi sei più bravo: Horry meglio di Barkley. Noi banalmente ci chiediamo quale Inter moderna abbia giocato meglio a calcio, dove meglio significa proprio meglio, cioè la maggior differenza fra ciò che si fa in attacco e ciò che si subisce in difesa. Non significa vincere o aver vinto, perché magari si è trovato in quella stagione uno più forte, ma aver lavorato bene sì.

Concorrenziali con le squadre di Inzaghi e Mourinho secondo noi soltanto quelle di Mancini e, per la serie 'anche se non hanno vinto', quelle di Castagner e Spalletti. Però magari qualcuno si è divertito con Trapattoni, Mazzarri o Bersellini. Il nostro 'Di qua o di là' non è quindi rivolto ai tifosi, a cui (nella media, esclusi ovviamente i presenti) basta vincere anche tirando in porta un decimo rispetto all'avversario ("Squadra cinica, concreta, spietata": siamo cresciuti con questo giornalismo, da qualcuno rimpianto e mai morto, basta vedere come viene sbeffeggiato chi gioca meglio e perde, cosa che nel calcio è possibile), ma ai competenti, ai fantomatici appassionati del prodotto Serie A. Quale Inter vista con i nostri occhi, dal vivo o in televisione, ha giocato il calcio migliore?

20 aprile 2024

L'Europeo di Orlandini


Quante difese eroiche di una squadra italiana abbiamo visto? Quella del 20 aprile 1994 a Montpellier, esattamente 30 anni fa, diede alla Under 21 di Cesare Maldini il secondo dei suoi tre titoli europei consecutivi, grazie al gol nei supplementari di Pierluigi Orlandini, ai tempi all'Atalanta. Davanti a Matarrese e ad un Sacchi schifato gli azzurri fecero le barricate contro il Portogallo di Figo e Rui Costa, non pizza e fichi, allenata da Nelo Vingada, un quasi-maestro che poi nel terzo mondo qualcosa avrebbe vinto. Quell'Italia aveva Toldo in porta, dietro a Panucci, poi Colonnese, Cannavaro e Cherubini marcatori a uomo, anzi a donna (per citare uno storico Maurizio Mosca), Muzzi e Benny Carbone a fare i tornanti, Berretta, Scarchilli e Marcolin di fatto davanti alla difesa e Pippo Inzaghi 40 metri più avanti, disperso. Non siamo così folli da riguardare la partita, ma ci ricordiamo che il Portogallo dominò fra parate enormi di Toldo, pali e mille situazioni risolte da una difesa da Italia, nel bene e nel male. Verso la fine dei 90' l'esperto Maldini si fece beffe di noi del bar giocando senza punte: fuori Inzaghi, dentro appunto Orlandini che di sinistro azzeccò il tiro della vita. Avrebbe avuto poi una buona carriera, anche se inferiore al potenziale, ma noi ce lo ricordiamo soprattutto per quella notte.

19 aprile 2024

Trapattoni al Bayern

 Trapattoni al Bayern Monaco. Che un allenatore italiano di primo piano vada ad allenare all'estero oggi non è una notizia ma il 19 aprile 1994, esattamente 30 anni fa, lo era. Un annuncio fatto da Trapattoni stesso quasi al termine della sua seconda vita juventina, meno fortunata della precedente e comunque con meno risultati di quanto una squadra con Baggio (Roberto, ma anche Dino), Vialli, Peruzzi, Conte, Köhler, Möller, eccetera, avesse fatto sperare. Per convincerlo ad accettare andarono personalmente a casa sua Beckenbauer, Rummenigge e Hoeness, e non ci misero molto perché Trapattoni riteneva di avere tanto da dimostrare a chi lo riteneva bollito per età (sembrava vecchissimo, ma aveva soltanto 55 anni: adesso a questa età si è ancora predestinati con il maglioncino attillato) e tipo di calcio. In quel primo anno a Monaco Trapattoni avrebbe fatto disastri in Bundesliga mentre in Champions si sarebbe spinto fino alla semifinale, battuto dall'Ajax di Van Gaal. In Germania sarebbe andata meglio qualche anno dopo, ma rimane il fatto che Trapattoni al Bayern abbia segnato per gli allenatori italiani un prima e un dopo. Il suo calcio poteva non piacere, ma contro il Manchester City non avrebbe giocato troppo diversamente dal Real Madrid di Ancelotti.


Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...