30 aprile 2024

Tutta la vita con i Ricchi e Poveri

Ma non tutta la vita dei Ricchi e Poveri è il vero brano vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo? Probabilmente no, ma classificatosi appena alla ventunesima posizione ha scalato le graduatorie che oggi forse contano di più, ossia quelle degli ascolti in streaming. Quelle del pubblico giovane (o presunto tale), giocandosela alla pari con i vari trapper e similia oltre che con la trionfatrice Angelina Mango. Un successo, quello di Ma non tutta la vita e dei Ricchi e Poveri, premiato con il disco d’oro (certo molto diverso rispetto a quello che si assegnava negli anni 80), che nessuno degli osservatori aveva previsto. Anzi i giudizi iniziali che avevamo letto in anteprima non erano certamente di tipo elogiativo.


Ma non tutta la vita
 era visto come un brano che sapeva di vecchio, poco moderno, anzi fuori tempo massimo. Zitti zitti Angela e Angelo hanno invece sovvertito i pronostici e guadagnato sempre più consenso proponendo un significato ben centrato e grazie a un’intelligente strategia di comunicazione. Ma non tutta la vita è di fatto un invito a non perdere le occasioni, a non far passare il tempo all’infinito. Detto questo, è gradito per noi il successo che i Ricchi e Poveri stanno raccogliendo, loro che ci sembrano da sempre parte della vita (da quando erano in 4, poi in 3 e ora in 2).

Un quartetto, quello iniziale dei Ricchi e Poveri, che ha vissuto momenti di grande popolarità negli anni 70, tra alti e bassi, riguadagnandola come trio all’inizio degli anni 80 anche grazie alla mano di Freddy Naggiar e della sua etichetta Baby Records. Non c’è dubbio che sia stato infatti il magico decennio a portarli in giro per il mondo, da Sarà perché ti amo in poi, con i loro brani costruiti per piacere subito (da leggere a tal proposito la nostra intervista a Cristiano Minellono)  e Ma non tutta la vita rientra proprio in quel filone solo apparentemente scanzonato, che entra bene in testa. Poi con oltre 8 milioni di ascoltatori mensili su Spotify c’è solo da essere contenti per loro… ma anche per noi.

29 aprile 2024

Fortuna per gli sfigati


 Oscar Eleni fra i vulcani di Alelujela, la grande devozione, cercando un compromesso fra stambecchi e primati in via di estinzione come le buone regole dei giochi, persino quelli olimpici che potrebbero affondare nella Senna. La vallata degli infelici, quella dove si radunano tutti gli allenatori che non hanno vinto, sta mettendo ai voti una petizione per tifosi disagiati, dirigenti impreparati, giocatori con il cervello in discoteca e il cuore in banche che non danno interessi alti se non sei uno che può andare in giro a dire: io sono io e voi non siete un cazzo.

Per fortuna ruggiscono motori veri come quello sulla moto di Bagnaia e quello alimentato dalla voglia di tenersi il titolo olimpico del Marcell Jacobs che vorremmo bello cattivo alle Bahamas con la staffetta. Nel Paese senza memoria è facile scordarsi quello che avevi detto soltanto ieri. Succede anche nello sport, ovviamente. Nel calcio, ad esempio, dopo il pianto per la Champions che va avanti senza italiane ecco la felicità scoprendo altre coppe e forse anche una formula per averne 10, di squadre nelle coppe dell’anno prossimo.

Tutti in bambola rosa per il Giro che sta partendo senza italiani che possano vincerlo, pazienza, lo sport non ha frontiere. Si celebrano i campioni, non importa dove sono nati. Mentre Malagò aggiunge fiori ai suoi cannoni olimpici sembra che soltanto il basket sia rimasto senza santi nel paradiso  dove fanno esami per andare in Francia, ma nella palla al cesto, pur ostinandosi a fare le cose ben diversamente dalla pallavolo che propone al mondo Perugia e Conegliano o magari Milano, le sue squadre campioni, avendo la certezza di essere in campo alle Olimpiadi anche se manca l’ultimo timbro.

In questo basket petrucciano, si diceva, l’unico nostromo che cerca ancora balene bianche è rimasto Pozzecco. Per gli altri, molti maestri, adesso che l’Europa ha mandato tutte le nostre a quel paese, conta soltanto il fumo della fiesta tricolore, i playoff. Il resto è noia e, al massimo, una breve, tanto per non accorgersi che le coppe vanno  altrove. L’ultima quella della Champions Fiba a Malaga dopo la finale tutta spagnola contro Tenerife vinta a Belgrado. Pozzecco e la sua scialuppa in un mare tempestoso, su una barca dove ogni giorno cadono fuori probabili azzurri: dopo Procida e Spagnolo, dopo le notizie che non danno fra i sanissimi né Fontecchio e magari Gallinari, ecco Severini che sembra fuori gioco mentre Petrucelli non guarisce e i grandi vecchi arruolabili ci stanno pensando, ma non hancora accettato. Importante passare oltre.

Guardate le carezze che stanno facendo alle nostre regine, anche se una, alla fine farà la fine della Stuarda e l’altra sarà Elisabetta felice di avere la testa della nemica nella cesta della finale. Armani con tutti i peccati possibili sulla gobba, Virtus Segafredo con tutti i rimpianti per aver mancato i play off dell’Eurolega, sapendo di avere, come Milano, sbagliato abbastanza nel costruire la squadra, anche se al momento quel primo posto in classifica da confermare, battendo quel che resta di Trento domenica prossima, è una quasi garanzia di poter avere lo scudetto che il Messina si è preso nelle ultime due stagioni.

Basket che senza Europa trova rifugio in paginoni dove le coppe, ovviamente, diventano brevi anche se SKY ci permette di vedere dove si gioca davvero ad un livello tecnico e fisico superiore, pur rimpiangendo di aver mancato le finali anche contro squadre che non avevano tanto più di Milano o Bologna, quasi tutte molto distanti dal  Real Madrid dominante che si è anche ripreso la testa nel suo campionato dopo qualche regaluccio.

Finta primavera per  chi ama regalare dove le motivazioni fanno risultato anche se poi la vittoria della Brindisi spacciata su Venezia non ha salvato dalla retrocessione dopo 12 anni una società che, per fortuna, non starà a piangersi addosso e sa di poter tornare a spendere come stella del Sud che anche in questi play off del basket non andrà oltre i confini della Toscana, tenendo il meglio fra Lombardia ed Emilia, una piaga che rende ancor più invisibile il basket già trattato con i piedi da chi dovrebbe avere qualità soltanto con le mani.

Prendete la saggia decisione di far giocare alla stessa ora tutte le partite delle ultime due giornate, cosa che non sono riusciti  a fare nelle coppe e anche in sport ben più ricchi. Una scelta giusta, ma si poteva sfruttarla meglio parlandone con le televisioni dove il basket va in diretta. Poteva essere l’occasione per lasciar andare nel vento parole e musica quasi inutili, commenti tecnici travestiti da banalità, per mettere in piedi un basket minuto per minuto che avrebbe facilitato anche il compito dei commentatori costretti a stare sui fatti più che sulle manfrine di arbitri che perdono minuti per decidere  su immagini rallentate, trovando la soluzione  sfuggita dal vero sul campo. Bello vedere quando sorridono in tre anche se poi dalle panchine sputano fuoco.

Basket che a 40 minuti dalla fine ha le sue otto finaliste dove non troveremo la Napoli vincitrice della coppa Italia. Gruppo di elette dove a sorpresa  canteranno la neopromossa Pistoia, la Reggio Emilia che l’anno scorso lottava per salvarsi, il progetto Tortona che sembrava svanito per colpe che erano di tutti e non soltanto di Ramondino, piccolo paradiso anche per la Trento che alle finali arriva in pezzi, ma con il cuore intatto. Avanti con le pagelle gridano dal vulcano spento, avanti con le baggianate urlano dal cratere dove invece il diavolo sputa di tutto  perché in giro si prega per la pace, ma poi si fanno i soldi con la guerra come diceva quel famoso miliardario cinico: quando c’è sangue nelle strade e la guerra incombe è il momento di investire.

10 A POZZECCO che con la giusta ironia, vedendo che  ò tornato a vincere  anche il rugby, tormentato adesso da battaglie intestine per contrastare il presidente Innocenti, uno che sul campo non porgeva mai l’altra guancia, ha fatto sapere a Petrucci e Malagò che se davvero il basket è l’ultima squadra di sfigati non si arrenderà sperando di farcela alle preolimpiche di Portorico.

9 A PISTOIA vera rivelazione dell’anno, un premio per chi ha costruito una squadra bella e una società con dentro qualcosa che ora si godranno gli americani.

8 Al mondo FORTITUDO per come ha ricordato il Douglas del tiro scudetto, nella finale contro Milano, scomparso a soli 44 anni. Non è retorica quando si dice che la morte fisica non farà mai dimenticare la vita e  le qualità di chi ha servito bene nella battaglia dell’esistenza.

7 Al COLDEBELLA che ha visto la Reggio Emilia costruita così bene arrivare al porto dei play off con una settimana d’anticipo. Come giocatore sapeva dove mettere la faccia, come dirigente sa dove mettere le mani. Una bella scoperta.

6 A  CINCIARINI e TAMBONE per aver tenuto in vita le speranze di Pesaro che  domenica  a  Venezia conoscerà il suo destino, ma anche lei , come BRINDISI ha saputo onorare una battaglia dove TREVISO ha trovato le armi giuste per restare dove merita.

5  A MILANO e BRESCIA che avevano la tavola apparecchiata come deve essere per le prime in classifica anche se poi per i quasi 10 mila, qualcuno dice 8 mila, chissà, i camerieri hanno portato in tavola un brodino da ospedale.

4 A VARESE se non rifletterà bene su questa salvezza trovata e forse non del tutto meritata se pensiamo alla resa contro Treviso in una sfida che poteva diventare decisiva. Caro Scola è il momento di tornare a guardare la sala coppe della società e poi pensare a Masnago sempre pieno. La gente bosina ha pazienza, ma non si sa fino a che punto.

3 A VALENTINE, utilizzato soltanto 4 minuti da Messina, se, insieme ad altri giocatori  invisibili che dovevano dare all’ARMANI certezze a sostegno della dichiarazione “Non faremo prigionieri” non spiegherà come hanno fatto i loro agenti a lucrare contratti così consistenti. Non diteci che è tutta colpa dei video.

2 A NAPOLI per aver perduto nella festa dopo il successo in coppa Italia quella magia che faceva della squadra di Milicic e Dalla Salda una bella realtà  capace di risvegliare una città dove il basket è storia.

1 Alla REYER e ai suoi umori  che sembrano influenzati dall’acqua alta senza protezione. Come dice l’allenatore questa mancanza di concentrazione  se si nota poco, come nel viaggio a vuoto sul campo di Brindisi, diventerà una palla al piede se davvero la quinta e prima avversaria dei play off dovesse essere Reggio Emilia.

0 Alla LEGA, a tutti quelli che nelle televisioni hanno sprecato la grande occasione di mettere in scena un vero basket minuto per minuto e siamo sicuri che il Bagatta, ad esempio, sarebbe  stato più felice di poterlo dirigere piuttosto che ragionare sulla partita in maschera fra Milano e Brescia, troppo malandate e piene di infortunati per capire dove potranno arrivare e le dichiarazioni finali  di Messina e Magro, soddisfatti alla loro maniera, dice che il campo ha mostrato soltanto ombre e non giganti.


Avvocato di difesa


Mickey Haller
 è come fama il secondo dei personaggi creati dalla fantasia di Michael Connelly ed è il protagonista di Avvocato di difesa, la serie Netflix arrivata alla seconda stagione e che fra poco ne avrà anche una terza. Il titolo originale, The Lincoln Lawyer, rende meglio l'idea perché nei romanzi l'auto (una Lincoln Navigator targata NTGUILTY) è centrale, non è un mezzo di trasporto, con tanto di autista, ma un modo di essere visto che è lì che l'avvocato Haller, che (nei libri) non ha uno studio fisico, prepara, anzi non prepara, i suoi casi sparsi nei tribunali di mezza California, con processi a cui si presenta un nanosecondo prima dell'inizio dell'udienza.

A chi ha visto l'omonimo film del 2011, con Haller che ha il volto di Matthew McConaughey mentre nella serie èManuel Garcia-Rulfo, diciamo che le storie della serie sono diverse ma che l'impostazione è uguale: clienti di Haller nella media sgradevoli, al di là della loro colpevolezza, ribaltamenti del vantaggio continui fra lui e la procura, casini suoi personali fra dipendenze ed una vita privata complicata, con due ex mogli con cui è sempre in contatto (Maggie, la nostra preferita perché siamo giustizialisti, è un pubblico ministero, Lorna la sua segretaria ma aspirante avvocato, oltre che moglie di Cisco, l'investigatore di Haller), una figlia adolescente, varie ed eventuali. Come al solito inutile il giochino delle differenze, possiamo chiuderla con il padre di Haller che nei libri è morto con lui piccolo mentre in televisione è una specie di consigliere-Super Io.

Perché dedicare 20 ore, in attesa della terza stagione, della propria vita a guardare questa serie? Perché il meccanismo narrativo è appassionante e non soltanto perché la base è di un genio come Connelly, al punto da far dimenticare le tasse woke da pagare: l'overdose di attori neri (che però hanno più senso nella Los Angeles di adesso che nell'Inghilterra dell'Ottocento), i cattivi che sono quasi sempre ricchi, la microcriminalità fatta passare per una fissazione del popolino, la polizia spesso sfottuta e di default violenta, spesso anche corrotta, i pistolotti che vengono fuori qua e là.

Perché non dedicare 20 ore della propria vita ad un serie che comunque è fra le più viste su Netflix? Quasi per gli stessi motivi per cui la si guarda: la sua assenza di pathos, la scarsa presenza di violenza o sesso, la sua semplicità che permette di stopparla e riprenderla, i suoi collaudati schemi da legal classico, con la prova decisiva che deve sempre arrivare e sai che più o meno alla fine sempre arriverà. Intrattenimento fatto bene, per dirla in poche parole, senza particolari guizzi. Festival del product placement, stando soltanto alle cose che abbiamo colto: davvero martellante quello di Uber, al livello del J&B nel cinema italiano anni Settanta. Va bene, siete californiani mentre da noi il POS non funziona mai (e non c'è Uber, soprattutto), ma non fatelo pesare.

28 aprile 2024

Prosecco di traverso

 Le stelle della gloria abbracciano ancora una volta l'Imoco Prosecco Doc di Conegliano che vince il suo settimo scudetto, il sesto consecutivo, ricordando il mito Teodora Ravenna di Manu Benelli campione 11 volte di fila dal 1980 al 1991. Lo fa trionfando a Firenze (3-1) in gara 4 di finale playoff contro la Savino del Bene Scandicci, utilizzando tutte le numerose armi tecniche e agonistiche di cui dispone. L'impero però aveva tremato, sembrava davvero che potesse cadere, dopo che le toscane in gara 1 avevano fatto saltare il banco del fattore campo nel tempio sacro del Palaverde, fino ad allora inespugnato.

Da un tie break 13 a 9 per le gialloblu Conegliano ha rovesciato la situazione a suo favore, approfittando con bravura dei regali ricevuti. Molti avranno pensato che la storia fosse pronta a scrivere una pagina nuova, ma non è stato così. L'Imoco oltretutto in gara 2 si è  trovata con la marea che saliva sempre di più, a un passo da un 'altra sconfitta che avrebbe potuto indirizzare in modo decisivo la serie. Ma la sua reazione da squadra straordinaria non lo ha permesso, attraverso un tie break vincente da cineteca: li si è deciso l'esito anche delle partite successive.

È stato un playoff scudetto tra i più belli degli ultimi anni. Combattuto punto a punto, meraviglioso sia tecnicamente sia agonisticamente, con una costellazione di campionesse di livello mondiale in campo a darsi battaglia, il tutto in palazzetti pieni ricchi di civiltà. Come Mvp, senza dubbi, è stata scelta Bella Haak, immarcabile. Ha travolto tutto quello che trovava di fronte. la svedese dal fisico imperiale, poco mediatica, però seria ed efficace, concentrata sul suo lavoro. Una così capace di fare gruppo meriterebbe una nazionale alla sua altezza. Rimane comunque un esempio non soltanto tecnico per molte, anche per la nostra Egonu.

Scandicci è stata una degnissima avversaria, con le sue possibilità per vincere, guidata dalla luce di Maja Ognjenovic (39 anni), sostenuta dalla scatenata Antropova (21) e dall'energia di Herbots, oltre che sottorete da Carol, una delle centrali più forti al mondo, mentre l'esperto e vincente coach Barbolini sperava di ripetersi ancora. Ora è pronto a fare il vice di Velasco in questa estate azzurra così importante e piena di speranze, sognando quell'oro olimpico che per la pallavolo italiana è sempre stato il Sacro Graal. Le azzurre non sono le favorite, ma la pallavolo moderna ci ha abituato a sorprese anche più grandi.

Bisogna ricordare che in finale non sono arrivate due Cenerentole di provincia, che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, ma due grosse realtà. La Savino del Bene, pochi lo sanno, è una multinazionale nei trasporti con una forza economica impressionante, patron Nocentini da anni investe moltissimo senza raccogliere in proporzione. Nel tempo numerose grandi giocatrici non sono rimaste (la Haak, per dirne una), e fra tanti ingaggi pesanti mai è stata creata una colonna portante della squadra su cui basare un ciclo. I soldi ci sono e la vicinanza con Firenze fa scattare meccanismi mediatici tipo Monza-Milano (ma in A per Firenze c'è anche l'Azzurra), di cui ad esempio Conegliano non beneficia. Se i soldi non mancano chi fa mercato non è stato lungimirante o competente, quindi. Se poi per l'anno prossimo iniziano contattando la Bajema le perplessità rimangono, anzi aumentano.

Come programmazione tutto il contrario dell'Imoco, nata sulle macerie di un fallimento. Nel 2012 un gruppo forte d'imprenditori di successo si è unito organizzando con competenza la società, rappresentata al meglio dal presidente Piero Garbellotto, decisivo nella gestione degli sponsor, e da Piero Maschio che si occupa del mercato e fa la differenza rispetto agli altri club. I 23 titoli conquistati non sono un caso, quest'anno in bacheca c'erano già la Coppa Italia e la Supercoppa, in attesa delle Superfinals il 5 maggio contro Milano. Parte e continua tutto da loro, che hanno subito capito che per vincere e superare le tempeste serve creare una colonna portante fissa negli anni, con giocatrici che sappiano unire lo spogliatoio, trasmettere una mentalità vincente, indicare i comportamenti giusti integrando le nuove arrivate.

Poi non si può prescindere dai valori sportivi. Infatti a Conegliano ci sono il genio di Wolosz, l'immensa De Gennaro, il totem De Kruijf e la ritovata dopo tante sofferenze Sara Fahr, presenti da anni nonostante le ricche offerte ricevute. Ma  Conegliano, con le sue strutture e uno staff di prim'ordine oltre a un tifo numeroso e appassionato, è difficile da lasciare. Situazione che fa stizzire gli altri, come abbiamo scritto più volte, con il Prosecco che va di traverso, e che porta a volte a commenti del genere "A chi importa di Conegliano?" (con altre parole, ma il concetto è questo). Poi a volte gli scudetti vengono vinti nelle grandi città e lì si scopre, non solo nel volley, che si finisce comunque in due righe disperse fra il calciomercato.

Coach Daniele Santarelli anche lui protagonista storico, si conferma in una sua striscia vincente consecutiva da brividi, considerando anche le nazionali, Serbia (Mondiale) e Turchia (VNL ed Europeo). Magari poco simpatico a qualcuno, non ha i media (quei pochi che si occupano di pallavolo, niente di paragonabile al calcio) amici per esempio di Giovanni Guidetti e quindi questo suo lavoro straordinario non avrà il risalto che meriterebbe, ma i risultati certamente parlano anche per lui e rimaranno per sempre. Conegliano è una storia meravigliosa, un esempio per tutti gli sport, e sta scrivendo un libro emozionante, da ricordare, che riempie il cuore e lo spirito.


Le migliori canzoni di Povia


 Nei giorni scorsi, in occasione dell'addio di Amadeus alla Rai, si è parlato molto anche di Povia. Che, secondo qualcuno, la Rai avrebbe cercato di imporre al conduttore come partecipante a Sanremo: retroscena improbabile, visto che Povia il Festival lo ha vinto e che era più famoso di due terzi dei cantanti in gara. Magari è vero il contrario: le sue posizioni politiche, da anarchico e complottista di destra, potevano creare grane con i media e Amadeus ha preferito evitarle a prescindere dalla canzone proposta. Di sicuro Povia ha tutte le carte in regola per partecipare al Festival di Indiscreto, la cui cifra stilistica è la divisività.

L'artista milanese con Sanremo ha sempre avuto un rapporto di amore e odio. Dovrebbe partecipare già nel 2005 con I bambini fanno "ooh", nelle Nuove Proposte, ma la canzone viene esclusa perché eseguita prima al Premio Recanati. Bonolis però gli permette lo stesso di cantarla all'Ariston, fuori gara: sarà un clamoroso successo di vendite, inaspettato per una canzone su un tema serio (l'infanzia rubata, nelle zone di guerra ma non solo) e cantata da quello che all'epoca è uno sconosciuto trentatreenne. Il brano, con testo e musica dello stesso Povia, all'anagrafe Giuseppe Povia, diventa quasi il vincitore morale del festival.

Povia vince davvero l'anno seguente con Vorrei avere il becco, anche questa scritta totalmente da lui, in cui esalta il valore della fedeltà in amore, davvero in contrasto con il pensiero dominante e soprattutto con il tema principe della canzone italiana (un amore finito, lontano, impossibile, nella migliore delle ipotesi contrastato) e viene messo nel mirino dalla critica che lo vede vincere davanti ai Nomadi nel Festival condotto da Panariello.

I problemi di Povia con il giornalista ed il twittatore collettivo iniziano lì, continuano con la partecipazione al Family Day e aumentano esponenzialmente con il secondo posto sanremese del 2009: Luca era gay, nell'ultimo Festival condotto da Baudo, viene battuta soltanto da Marco Carta, ma criticata da tutto il mondo LGBT e dai media appecoronati, che concepiscono che un etero diventi gay ma non il percorso contrario. Un'altra canzone che però ricordano tutti, altro centro di uno dei pochi artisti che facciano discutere.

26 aprile 2024

Numero chiuso a medicina


Numero chiuso a medicina? Una domanda che interessa anche chi non è un medico, né ambisce a diventarlo, visto che tutti prima o poi del medico abbiamo bisogno. Lo spunto ovviamente arriva dalla riforma che dovrebbe partire nel 2025, voluta un po' da tutte le parti politiche e quindi poco presente nel dibattito nonostante sia un tema che tocca direttamente la vita vera. Nella sostanza, decreti legislativi permettendo, sarà libera l'iscrizione al primo anno di medicina, di odontoiatria e di veterinaria senza bisogno del test di ammissione.

Non si tratta in ogni caso del ritorno all'Italia di una volta, in cui tutti potevano arrivare alla laurea in medicina, visto che lo sbarramento ci sarà lo stesso. Soltanto avverrà alla fine del primo semestre, con modalità ancora da chiarire: gli esami fatti di sicuro, forse anche un test o un esame ulteriore. Gli scartati dopo questo primo semestre avranno la possibilità di tenere buoni gli esami passando ad un altro corso di laurea (ovviamente non scienze della comunicazione o storia medioevale) che all'inizio avranno indicato come seconda scelta. Tutto un po' vago, ma il principio è chiaro: in qualche modo il numero dei medici va limitato.

Poi ci siamo noi del bar preoccupati per il futuro di Klopp, che un giorno sì e l'altro anche leggiamo che mancano medici e soprattutto medici e pediatri di famiglia, cosa che del resto si può verificare anche di persona quando uno va in pensione e si è costretti a trovarne un altro nuovo. Per numero di medici ogni 100.000 abitanti l'Italia è quattordicesima in Europa, anche se il vero problema non è quantitativo ma che alcune specializzazioni rimangano scoperte nonostante i posti vacanti a disposizione. Del resto perché uno, anche con il fuoco sacro della medicina, dovrebbe studiare mille anni per farsi spaccare la testa dai parenti di un delinquente al pronto soccorso?

Un Di qua o di là politicamente trasversale, quindi, che una volta tanto ci vede semi-competenti avendo vissuto da vicino il percorso di tanti medici (a partire dalla moglie) fra concorsi e trasferimenti di ogni tipo. Di sicuro medicina non è una facoltà come le altre, perché già dal secondo anno prevede una qualche forma di presenza in ospedale. Se già è insostenibile il codazzo attuale, con il professore-barone seguito da cinquanta studenti, cosa potrebbe succedere (e cosa succedeva una volta, in epoca Guido Tersilli) con l'accesso libero?

Lo stesso collo di bottiglia della specializzazione, con i posti quadruplicati nel post Covid, nel corso degli anni dovrebbe essere superato. Se poi uno non ha voglia di passare la vita a fare ricette e ad ascoltare le lamentele della vecchina catarrosa, ma ambisce a diventare un grande cardiochirurgo, non ci si può fare niente e non è nemmeno questione di soldi. Un argomento a favore del numero aperto è che aumentando il numero dei medici, formati più o meno bene, aumentano anche le probabilità di coprire i posti meno ambiti. Detto questo, chiediamo ai competenti: numero chiuso a medicina? Siamo molto combattuti: la razionalità direbbe numero chiuso, ma certe prese di posizione dei medici ricordano quelle dei tassisti.

Giornalisti sportivi i più odiati


Come mai i giornalisti sportivi in Italia sono in testa a tutte le classifiche dei social network relative alle interazioni? La risposta è banale: il tifo, di chi li legge/guarda ma anche il loro. Meno banale è dare una dimensione quantitativa al fenomeno che vede Fabrizio Biasin come primo giornalista d'Italia per interazioni, davanti a Gianluca Di Marzio. Per questo ci ha incuriosito l'articolo di Claudio Plazzotta appena letto su Italia Oggi, che ha citato una ricerca di The Fool, una società di consulenti digitali, che ha analizzato i profili social di Biasin (Libero), Guido Vaciago (direttore di Tuttosport), Giovanni Capuano (Radio24), Lia Capizzi (RaiSport) e Sandro Sabatini (Mediaset).

Tutti giornalisti che lavorano in televisione o hanno comunque una visibilità televisiva, che evidentemente favorisce il traffico. Nelle stagioni 2022-23 e 2023-24 i loro tagging su X sono stati complessivamente 1,5 milioni e di questi ben il 40% ha sentiment negativo, cioè insulti o hate speech in senso stretto. Una statistica che dice molto a chi, come noi, segue soltanto personaggi che si stimano o comunque apprezzano, oltre ad account neutri. Se reputo uno scarso o in malafede non mi viene in mente di sprecare nemmeno un secondo per lui. Che vita hanno quelli, quasi la metà del totale, che seguono un giornalista, non si dice un politico o un VIP vero, per insultarlo?

Ma ci piace anche ribaltare il discorso: che vita ha un giornalista che sta sui social network per farsi insultare? Intendiamo consapevolmente, perché poi l'insulto arriva per ogni tipo di opinione, da Israele-Hamas alla difesa sul pick and roll. Il giochino ha due facce: essere insultati non piace a nessuno, ma scrivere o dire qualcosa di volutamente provocatorio è la strada più semplice per attirare interazioni. Poi 'provocatorio' a volte non è nemmeno il contenuto dei post, ma la squadra con cui si viene identificati e che viene scelta a monte come pubblico target. Il mistero nel mistero è poi il guadagno: anche con centinaia di migliaia di follower reali (tutti da dimostrare) la monetizzazione diretta dalle piattaforme è modesta, semmai i grandi numeri possono essere messi sul tavolo delle trattative per i gettoni di presenza.

25 aprile 2024

Vannacci o Salis?


Roberto Vannacci
 o Ilaria Salis? Per il 25 aprile, in attesa del ritorno di Budrieri (spoiler: del tutto indifferente allo scudetto dell'Inter, come del resto a qualsiasi altro stimolo sportivo, politico o sessuale), abbiamo voglia di un bel Di qua o di là divisivo. E chi meglio dei due più discussi candidati per le prossime Europee? Il generale autore di Il mondo al contrario scenderà in campo per la Lega di Salvini, l'attivista per l'Alleanza Verdi e Sinistra di Bonelli e Fratoianni. Differenti le loro motivazioni: Vannacci forse davvero pensa ad una carriera politica mentre la Salis punta soprattutto ad evitare il carcere in Ungheria.

Veniamo al punto: chi fra Vannacci e Salis porterà di più in termini di voti? Ricordiamo che la Lega secondo un sondaggio di YouTrend che abbiamo letto sull'Ansa varrebbe il 7,7% dei voti, mentre AVS il 4,4%, con una soglia di sbarramento che alle Europee è del 4. La domanda sul reale peso elettorale dei candidati vale anche per gli altri non politici di professione in corsa, da Lucia Annunziata al capitano Ultimo a Tridico, che a questo giro ci sembrano comunque molti meno del solito. Bruxelles è un buon parcheggio per politici di primo e secondo piano, magari costretti a riciclarsi per il limite ai mandati, oggi non si molla niente.

Nonostante i pochi precedenti di successo, abbiamo sempre guardato con simpatia ai candidati della cosiddetta società civile: persone che di solito hanno avuto successo nelle rispettive professioni (anche spaccare le teste agli avversari politici a suo modo lo è) e che comunque esistono, anche mediaticamente, a prescindere dal seggio in parlamento. La realtà dice che raramente hanno spostato qualcosa, una volta eletti, e che ancora più raramente abbiano portato voti 'prima'. Stringere mani e ascoltare lamentele non è per tutti. Per questo i casi Vannacci e Salis ci incuriosiscono, perché siamo sicuri che entrambi porteranno ai rispettivi partiti un numero significativo di voti di opinione, che poi sono quelli che alle Europee contano. Chi farà meglio? Vannacci o Salis?

Come al solito diciamo la nostra e votiamo (solo per questo sondaggio, nella realtà non lo faremmo mai) Salis: la spinta mediatica del generale si è un po' spenta, pur essendo purtroppo sempre di attualità i temi da lui lanciati, mentre la Salis può dare grande visibilità ad AVS, che rischia di andare sotto il 4%. Speriamo sia chiaro lo spirito del sondaggio, che non riguarda le nostre preferenze politiche: fra l'altro sia Lega (coming soon un nuovo partito del Nord, o al limite una Lega delle origini senza Salvini) sia AVS (coming soon un vero partito ambientalista) se rimangono così ci sembrano avviate verso la scomparsa.

Le medaglie dell'Italia alle Olimpiadi 2024

Quante medaglie vincerà l'Italia alle Olimpiadi di Parigi? Marcell Jacobs che fra poco torna a gareggiare ci ha ispirato questa domanda, a cui Malagò ha risposto con chiarezza: il presidente del CONI, disperato perché nel 2025 se ne dovrà andare per una legge di fatto ad personam (mentre i presidenti delle federazioni sono eterni), firmerebbe per la previsione fatta dalla Nielsen, 47 medaglie complessive di cui 12 d'oro, quindi nella sostanza circa la metà delle chance da podio (107) previste dagli algoritmi. Se così fosse, sarebbe superato il record assoluto di medaglie azzurre ai Giochi Olimpici estivi, stabilito a Tokyo 2020, per non dire 2021: 40 in totale di cui 10 ori. E di questi 10 la metà dall'atletica, quindi ori pesantissimi... Il record assoluto di ori, 14, risale invece a Los Angeles 1984.

Quali ori vincerà l'Italia a Parigi? Uscendo dall'algoritmo, pensiamo che di pesanti ne vincerà ben pochi, anche se Jacobs e Tamberi sono ancora ad altissimo livello. Come ori pesanti, con tutto il rispetto per la scherma ed il resto, pensiamo non si vada oltre Ceccon nei 100 dorso e il quartetto dell'inseguimento su pista, anche queste comunque specialità non da copertina. Negli sport di squadra la pallavolo maschile fa sognare, se non pensiamo alla Polonia, e per quella femminile possiamo sperare che Velasco trovi un buon tabellone. Quanto alla pallanuoto, sulla carta siamo ai confini delle semifinali.

Notevole è comunque che l'Italia, il venticinquesimo paese del mondo come popolazione, sia sempre nella zona alta della classifica: se non sarà settima, come nelle previsioni, dietro a Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Francia, Australia e Giappone, poco ci mancherà. Facendo benissimo si potrebbe anche essere la quinta potenza dello sport mondiale, ricordando che a Los Angeles 1932 l'Italia fu seconda e a Roma 1960 terza. Certo la Nigeria e il Bangladesh non hanno tante medaglie dal fioretto, ma queste sono le Olimpiadi.


24 aprile 2024

Roma quinto Slam


Roma può davvero diventare il quinto torneo dello Slam? Quella di Binaghi, alla presentazione della prossima edizione degli Internazionali d'Italia di Roma, dove umilmente saremo presenti, è stata una battuta con un fondo di verità. Perché questo è davvero il suo sogno al momento proibito e perché l'idea del quinto Slam non è nuova, né assurda, ed in tempi recenti ci hanno provato in tanti: la Cina, Tiriac a Madrid prima di mollarlo, Indian Wells, il Qatar. Non è evidentemente una questione di soldi, nel mondo ce li hanno in tanti ed il montepremi globale di un torneo dello Slam vale meno di un acquisto sbagliato del Chelsea.

Il punto è che dopo l'anarchia organizzativa degli anni Settanta e dei primi Ottanta e la quasi morte degli Australian Open alla fine degli anni Ottanta i tornei del Grande Slam hanno creato una tradizione e soprattutto un rapporto istituzionale con l'ITF, attraverso il Grand Slam Board. E la federazione internazionale ha la convenienza, prima di tutto a livello di immagine, nel dire che i tornei che contano in fin dei conti sono affiliati a lei e non ad ATP e WTA. Quanto ai singoli quattro tornei, non hanno alcun interesse a dividere in più parti la torta, in un calendario intasato. Qualificazioni comprese occupano già 3 mesi...

Insomma, ci sono barriere all'entrata molto alte ma niente è eterno ed in fondo negli anni Novanta sembrava fantarugby anche l'Italia nel Cinque Nazioni (la svolta nel 2000), per non dire di quattro squadre in Champions League (dal 1999, per le nazioni leader), del Mondiale a 48 squadre, della Vuelta in settembre, dei Mondiali di atletica biennali, eccetera. Certo una volta era tutto meglio, più bello, più vero, o forse eravamo soltanto più giovani noi.

Tutto lo sport va in direzione del gigantismo ed in fondo uno Slam in più non sarebbe troppo diverso per lunghezza da quanto ormai durano i Masters e WTA 1000. Senza contare un discorso di giustizia, a livello di superficie. I 3 Slam su 4 sull'erba fino al 1974 erano figli della loro epoca, così come i 2 su 4 sul cemento sono figli di quando gli Stati Uniti erano il paese leader del tennis, ma adesso la locomotiva del tennis è l'Europa. Su tutto c'è, come diciamo anche a chi difende ruderi o manifestazioni senza senso, che ai loro tempi le tradizioni sono state novità. Roma quinto Slam?

23 aprile 2024

Inter di Inzaghi o Inter di Mourinho?


Quale è stata la migliore Inter della storia recente, quella di Simone Inzaghi o quella di José Mourinho? Per storia recente intendiamo quella con la televisione a colori, dopo un periodo sperimentale partita davvero soltanto all'inizio del 1977: non che prima non esistessero il mondo e la Serie A, ma quello che c'era prima non l'abbiamo vissuto in diretta. La nostra fedeltà alla Settimana Enigmistica, il giornale perfetto, ci permette di citare Polibio e la sua idea di storia fondata su testimonianze dirette, quindi in ogni caso scritta da contemporanei o quasi rispetto ai personaggi e alle vicende raccontati.

Veniamo al punto. Dopo il primo scudetto di Inzaghi, sesto allenatore a vincerlo negli ultimi sei campionati (altra domanda per i competenti: cosa vorrà dire?), i paragoni storici si sprecano e chi non ha argomenti si mette a copiare da Wikipedia. Hai vinto di più, quindi sei più bravo: Horry meglio di Barkley. Noi banalmente ci chiediamo quale Inter moderna abbia giocato meglio a calcio, dove meglio significa proprio meglio, cioè la maggior differenza fra ciò che si fa in attacco e ciò che si subisce in difesa. Non significa vincere o aver vinto, perché magari si è trovato in quella stagione uno più forte, ma aver lavorato bene sì.

Concorrenziali con le squadre di Inzaghi e Mourinho secondo noi soltanto quelle di Mancini e, per la serie 'anche se non hanno vinto', quelle di Castagner e Spalletti. Però magari qualcuno si è divertito con Trapattoni, Mazzarri o Bersellini. Il nostro 'Di qua o di là' non è quindi rivolto ai tifosi, a cui (nella media, esclusi ovviamente i presenti) basta vincere anche tirando in porta un decimo rispetto all'avversario ("Squadra cinica, concreta, spietata": siamo cresciuti con questo giornalismo, da qualcuno rimpianto e mai morto, basta vedere come viene sbeffeggiato chi gioca meglio e perde, cosa che nel calcio è possibile), ma ai competenti, ai fantomatici appassionati del prodotto Serie A. Quale Inter vista con i nostri occhi, dal vivo o in televisione, ha giocato il calcio migliore?

22 aprile 2024

Finire come Ancelotti


 Oscar Eleni fra le pecore davanti a Mont-Saint-Michel, Normandia, incanto per meditazioni che possano dare una giustificazione alle nostre ricerche esistenziali sullo sport con tutto quello che ci gira intorno, oscurando anche la libertà. Saltando sulla sedia per l’attacco di Pogacar nella foresta, per vincere la Liegi e promettere la doppietta Giro-Tour, cerchiamo consolazione nel solito haiku che giustifica tante assenze quando non sai cosa dire per l’assenza da una partita, la presentazione di un libro, dalle feste che una volta andavano oltre  le meraviglie sul Naviglio al Torchietto. La poesia regalata dalle ricerche di Susanna Tartaro dovrebbe spiegare tutto:

Incontrando un vecchio amico

Due visi sfioriti

Silenzio

Ecco come stanno le cose. Ma, per fortuna, gli scozzesi che chiedono aiuto alla Nasa per sapere se davvero c’è un mostro a Loch Ness, ci ridanno il gusto per ridere e allora chi meglio di Carlo Ancelotti potrebbe aiutarci a vivere bene i finali di qualsiasi storia, partita, discussione? Lui è davvero quello che ha imparato meglio alla scuola di Liedholm prima e poi di Arrigo Sacchi. Magari non chiedendo aiuto ai maghi, agli astrologi, ma seguendo quell’adagio che, anche se non scritto in romagnolo, aiuta a capire: occhio, pazienza e fortuna detto anche bus dal cul. I suoi finali  sono stupendi quasi sempre e molto spesso se lui è in battaglia la squadra che dirige, come quella in cui giocava, riesce a vincere alla faccia di chi lo ha tormentato come succede nella vita e nello sport quando i padroni, presidenti o tifosi non conta, se la prendono con l’allenatore. Grande Gene Gnocchi mentre spiega il motivo per cui Cannavaro ha accettato di essere il terzo allenatore dell’Udinese in acque torbide che sanno di retrocessione: Temeva di essere chiamato al capezzale del Napoli da solito genio dei panettoni.

Ma torniamo al Carlo Ancelotti e alle sue magie inchinandoci intanto a Mondo Duplantis che cerca la sua luna a cavalo di un'asta. Finali col brivido. Mettere fuori il Manchester City ai rigori una delizia. Vincere il classico col Barcellona all’ultimo minuto con un gol del nuovo genio  nella sua lampada vale una stagione e anche la Liga. Saranno contenti in Brasile dove gli hanno fatto la stessa guerra che lo ha allontanato dall’Italia dopo che gli era stata offerta la Nazionale che da tempo sembra smarrita. Meglio per lui aver resistito nella Real casa dove adesso lo amano anche quelli che magari torneranno feroci se dovesse perdere in coppa al prossimo turno.

Aspettando i prossimi processi del pallone, restando alla larga dalla guerra dei bottoni per la scelta del portabandiera azzurro ai Giochi di Parigi dove al momento hanno paura persino ad illuminare la torre Eiffel e non parliamo del lungo Senna, preoccupati dal terrorismo, ma anche dalla finta pace, guardiamo al pantano dove ci sta portando lo sport spettacolo. Si corre e ci gioca troppo spesso, ci si allena poco, si mangia male. E se non capisci i messaggi dei molti  che si lamentano per aver sperperato quello che hanno guadagnato, allora puoi continuare a preferire le notti magiche, tanto poi se vai male, sfasci squadre, il primo a pagare sarà l’allenatore, il maestro. Noi restiamo dalla parte di chi dedica la vita ad insegnare, a chi accetta di guidare anche automobili infedeli come sono tante squadre, tanti campioni.

Sbagliando e sbadigliando andiamo a vedere cosa sta succedendo nel basket dove in troppi fingono di non sapere come sono andate le cose nelle coppe internazionali, gli stessi  che ballano sul Titanic dei canestri aspettando il preolimpico per una Nazionale che costruiremo sui pochi che hanno avuto spazio nel campionato che alla fine mostra il vero volto delle truppe mercenarie rendendo fangoso il finale dove lo scudetto dovrebbe consolare e la retrocessione castigare.

Certo che l’eurolega di Milano è stata peggiore di quella della Segafredo Virtus, ma resta il fatto che Milano è col piombo ai piedi  nella classifica dei poveri, mentre la Virtus è pur sempre decima della classifica anche se non dimenticheremo  i momenti magici in cui stava fra le prime e neppure la vittoria ad Istanbul sull’Efes, per guadagnarsi un play off poi negato dal Baskonia nella settimana dove l’Eurolega e chi paga per avere sempre la scena occupata ha chiesto il sacrificio di quattro partite fra campionato nazionale  ed eurofiesta.

Con le regine liberate dal vero teatro dove avrebbero dovuto essere protagoniste vedremo come se la caveranno le sfidanti. Tanto per capire, prima del faccia a faccia di domenica, Brescia ha pensato bene di non reagire alle forti motivazioni della Cremona che è davvero fra le rivelazioni della stagione. Certo che Milano e Bologna lo vogliono il primo posto per garantirsi il fattore campo che, come si vede, influenza anche arbitri che persino davanti alle revisioni con uso della tecnologia si rivelano dei super Abbondio capaci di  confondere tutti quando devono chiarire cosa intendono per fallo antisportivo.

Basket che dovrebbe indagare su certe partite se in campo si affrontano giocatori che hanno gli stessi agenti e chi deve salvarsi trova davanti avversari compiacenti. Magari è stata soltanto la sbornia della sera prima, magari la ripicca verso la società che non rinnova, insomma stiamo vivendo il solito finale, con grandi  e quasi incredibili rimonte, pur riconoscendo il valore di certi successi.

Pagelle tanto per distrarsi, convinti che per  lo scudetto non ci siano davvero pretendenti in grado di vincere una serie contro Armani e Segafredo, ci teniamo alla larga anche dalla battaglia per la salvezza dove dolorosamente sono impegnate con Brindisi ben tre società che nella storia hanno vinto anche scudetti, ma questo i giocatori  che oggi lavorano per Varese, Treviso e Pesaro non sono obbligati a saperlo.

10 Al GALBIATI di Trento che anche con una squadra dimezzata è riuscito a guadagnarsi i play off,  rilanciando BILIGHA e ALVITI e tenendosi stretto capitan FILLOL.

9 Al LAQUINTANA della BRINDISI che è stata capace di rimontare da meno 13 sul campo della PISTOIA rivelazione dell’anno insieme a CREMONA e TRENTO, una squadra che di solito le faceva certe rimonte e anche contro squadre di alta classifica.

8 Al BALDASSO di TORTONA che ci ricorda come sia importante vivere, giocare, lavorare in posti dove c’è la possibilità di mostrare il proprio valore. La stessa cosa che abbiamo detto ad inizio anno al CARUSO che soltanto alla 27^ giornata ha avuto persino il quintetto base nella Milano dove i lungodegenti sembrano non guarire mai.

7 Al CAMPIONATO di A2 che finalmente è arrivato ai play off perché riesce a tenere vivo un basket nazionale che ha bisogno di progetti veri per il passaggio dalla next generation al grande livello. Sosteniamo il progetto e chi a costo di sacrifici lo manda avanti anche se molto spesso è soltanto una breve.

6 A MANNION e MORETTI che forse hanno portato VARESE in acque tranquille dopo il partitone sul campo di Sassari.

5 A chi considera alla stessa maniera il fallimento dell’ARMANI e l’eliminazione all’ultima sirena della SEGAFREDO. La battaglia scudetto ci dirà chi è davvero la più forte, cosa che non ci hanno potuto far scoprire in coppa Italia.

4 A NAPOLI che proprio non riesce a pentirsi per la sua non difesa anche quando fa partite di spessore come quella contro TRENTO. Certo la vittoria di TORINO in coppa è stata importante, ma pensavamo che la squadra sarebbe diventata più forte e non più presuntuosa.

3 A TREVISO e PESARO che si trovano sul fondo avendo scoperto che alle loro squadre non manca la voglia, la passione, ma soltanto la qualità e quella non la può inventare nessun  allenatore anche se bravissimo come del resto sono VITUCCI, SACCHETTI, come lo era BUSCAGLIA.

2 A BELINELLI, HACKETT, GALLINARI, FONTECCHIO se ci terranno in ansia per il preolimpico cominciando dal raduno di FOLGARIA. Li capiamo, ma li preghiamo di dare una mano nel momento in cui non vorremmo trovarci ancora fuori dalle Olimpiadi.

1 Agli STATI UNITI che hanno convinto i loro “grandi” a sfilare sui  Campi Elisi prendendosi tutte le luce del basket alle Olimpiadi, costringendoci a  fingere che ci sarà battaglia per la medaglia d’oro.

0 Ai giocatori di SASSARI che hanno costretto il presidente SARDARA  a chiedere scusa al pubblico dopo la caduta verticale contro VARESE che certo ha tanti punti nelle mani, ma che forse ha trovato  un ventre molle a contrastare i suoi attacchi.


Oscar Eleni

21 aprile 2024

Le migliori canzoni di Alex Damiani


Domani compie 72 anni Alex Damiani, uno dei volti più popolari nell'Italia degli anni Settanta: divo assoluto dei fotoromanzi, la cui importanza è oggi difficile da spiegare ma che all'epoca erano spesso la base per carriere nel cinema ed in generale nello spettacolo. Ecco, Damiani il cinema lo ha frequentato poco, ma nella musica ha di sicuro fatto ottime cose ed è per questo che lo inseriamo in un Festival di Indiscreto che ci sta facendo venire l'ansia, da tanti sono i nomi ancora rimasti fuori mentre il completamento del tabellone a 256 si avvicina. Ma oggi pensiamo al Damiani cantante, che di fatto nasce nel 1980.

In quell'anno infatti con Cambierò, cambierai vince il Cantagiro davanti a pesi massimi come la Nannini, Ivan Graziani, Pino Daniele, Matia Bazar e PFM, ed anche a Franco Dani, altra stella dei fotoromanzi con ambizioni musicali. Non solo: quell'estate la canzone è Discoverde del Festivalbar, in pratica il premio ai giovani. Lo stile, fra i Collage e Sandro Giacobbe, sembra studiato apposta per far stizzire i critici musicali ma il successo è enorme vista anche la base di fan che l'artista calabrese si porta dietro. Nel 1981 partecipa di nuovo al Festivalbar con Non t'amo, però, con ottimi riscontri: la scelta della musica è definitiva.

Ma è nel 1983 che Alex Damiani entra davvero nelle case di milioni di italiani, o per meglio dire di italiane, con Come per magia, memorabile sigla di Anche i ricchi piangono. La telenovela con protagonista Veronica Castro è la sua fortuna commerciale, anche chi non la guarda si ricorda quella canzone. Nell'estate del 1984 lo si vede un po' in tutte le trasmissioni con Per questo amore, fra i suoi successi quello più anni Ottanta di tutti, come stile, e fra l'altro uno di quelli che lo vede anche nelle vesti di autore. La sua carriera musicale poi proseguirà, ed infatti è arrivata fino ad oggi, anche se il grande successo rimane confinato a quegli anni in cui è considerato l'uomo più bello d'Italia.

20 aprile 2024

L'Europeo di Orlandini


Quante difese eroiche di una squadra italiana abbiamo visto? Quella del 20 aprile 1994 a Montpellier, esattamente 30 anni fa, diede alla Under 21 di Cesare Maldini il secondo dei suoi tre titoli europei consecutivi, grazie al gol nei supplementari di Pierluigi Orlandini, ai tempi all'Atalanta. Davanti a Matarrese e ad un Sacchi schifato gli azzurri fecero le barricate contro il Portogallo di Figo e Rui Costa, non pizza e fichi, allenata da Nelo Vingada, un quasi-maestro che poi nel terzo mondo qualcosa avrebbe vinto. Quell'Italia aveva Toldo in porta, dietro a Panucci, poi Colonnese, Cannavaro e Cherubini marcatori a uomo, anzi a donna (per citare uno storico Maurizio Mosca), Muzzi e Benny Carbone a fare i tornanti, Berretta, Scarchilli e Marcolin di fatto davanti alla difesa e Pippo Inzaghi 40 metri più avanti, disperso. Non siamo così folli da riguardare la partita, ma ci ricordiamo che il Portogallo dominò fra parate enormi di Toldo, pali e mille situazioni risolte da una difesa da Italia, nel bene e nel male. Verso la fine dei 90' l'esperto Maldini si fece beffe di noi del bar giocando senza punte: fuori Inzaghi, dentro appunto Orlandini che di sinistro azzeccò il tiro della vita. Avrebbe avuto poi una buona carriera, anche se inferiore al potenziale, ma noi ce lo ricordiamo soprattutto per quella notte.

19 aprile 2024

Trapattoni al Bayern

 Trapattoni al Bayern Monaco. Che un allenatore italiano di primo piano vada ad allenare all'estero oggi non è una notizia ma il 19 aprile 1994, esattamente 30 anni fa, lo era. Un annuncio fatto da Trapattoni stesso quasi al termine della sua seconda vita juventina, meno fortunata della precedente e comunque con meno risultati di quanto una squadra con Baggio (Roberto, ma anche Dino), Vialli, Peruzzi, Conte, Köhler, Möller, eccetera, avesse fatto sperare. Per convincerlo ad accettare andarono personalmente a casa sua Beckenbauer, Rummenigge e Hoeness, e non ci misero molto perché Trapattoni riteneva di avere tanto da dimostrare a chi lo riteneva bollito per età (sembrava vecchissimo, ma aveva soltanto 55 anni: adesso a questa età si è ancora predestinati con il maglioncino attillato) e tipo di calcio. In quel primo anno a Monaco Trapattoni avrebbe fatto disastri in Bundesliga mentre in Champions si sarebbe spinto fino alla semifinale, battuto dall'Ajax di Van Gaal. In Germania sarebbe andata meglio qualche anno dopo, ma rimane il fatto che Trapattoni al Bayern abbia segnato per gli allenatori italiani un prima e un dopo. Il suo calcio poteva non piacere, ma contro il Manchester City non avrebbe giocato troppo diversamente dal Real Madrid di Ancelotti.


17 aprile 2024

Alfa Romeo Milano o Junior?


Alfa Romeo Milano o Alfa Romeo Junior? Stiamo ovviamente parlando della vicenda del cambio di nome della nuova auto prodotta dal gruppo Stellantis, che in origine avrebbe dovuto chiamarsi Milano e che è stata ribattezzata Junior dopo l'intervento di Adolfo Urso. La tesi del ministro delle imprese e del Made in Italy è che il nome Alfa Romeo Milano sarebbe vietato, perché l'auto è prodotta all'estero. La risposta dell'azienda è stata per molti sorprendente, soprattutto per la velocità: un cambio di nome a presentazione già avvenuta, una cosa mai avvenuta nella storia dell'economia. E poi che cambio: Junior, sembra una cosa per bambini anche se nel passato dell'auto e della stessa Alfa di Junior ce ne sono. Per questa idea avranno anche pagato qualcuno.

Facile, anche per modesti appassionati di auto, ricordare la Ford Torino, la Opel Monza, la Pontiac LeMans, la Ferrari Daytona, eccetera, tutti modelli certo non prodotti nel paese della casa madre. Ma doveroso anche ricordare la legge sull'italian sounding, che ha lo scopo primario di combattere i tarocchi nell'agro-alimentare (tipo Parmigiano-Parmesan) ma che per analogia molti estendono ad altri prodotti. In altre parole, un tedesco non può impunemente (in teoria) produrre la Pizza Posillipo o il Pesto Tigullio, quindi una multinazionale di fatto a controllo francese non può produrre in Polonia un'auto chiamata Milano.

Viene in mente Luciano Gaucci che aveva battezzato La Milanese la sua azienda di pulizie, con sede e operatività a Roma, per motivi di immagine. È chiaro che l'ufficio legale di Stellantis debba avere sconsigliato una battaglia sul nome magari fondata ma destinata a trascinarsi per le lunghe, con effetti negativi sul prodotto. Che sarebbe nella sostanza un SUV di segmento B che prende il posto della vecchia Alfa Romeo MiTo (che veniva prodotta a Mirafiori, piccolo dettaglio) e che prima ancora di Milano avrebbe dovuto chiamarsi Brennero (è una mania).

Comunque si chiami, l'Alfa Romeo Junior costa sui 30.000 euro nella versione mild hybrid e sui 40.000 in quella elettrica: fra le Alfa in produzione (Giulia, Stelvio, Tonale) è l'unica ad essere assemblata fuori dall'Italia. Ma il discorso è molto più ampio rispetto a quello sul nome di un'auto: Alfa Romeo Milano o Alfa Romeo Junior?

16 aprile 2024

Uomini e topi


 Oscar Eleni a mani nude fra i boschi dell’Île-de-France cercando un riparo prima che sospendano tutto, cominciando dalle Olimpiadi. Il posto giusto sembra un vecchio castello dei Rotschild che gli eredi di un emiro hanno messo in vendita a Gretz-Armainvilliers, regione della Senna e della Marna. Cento stanze, una in più di quelle che servono per nascondersi, sapendo che nel palazzo c’è già una farmacia e pure il dentista, con la certezza di avere compagnia nello zoo dove abbiamo fatto amicizia con un pangolino.

Aspettare che i Giochi comincino sapendo che non tutto viene governato dai soldi e dall’ignoranza se la gente applaude quando, ad esempio, Udinese e Roma lasciano il campo con 20 minuti ancora da giocare per dedicarsi allo sfortunato difensore che si è accasciato dopo aver sentito il cuore battere troppo forte. Succede che giocatori, arbitro, allenatori siano tutti d’accordo. Accade che su un campo da tennis un campione, diciamo pure Sinner, non faccia nessuna scenata mentre chi dirige la partita non vede  una palla fuori che gli avrebbe garantito il gioco. Lui, Sinner, spiega che non essendo arbitro ha lasciato decidere alla signora sulla sedia, tenendosi dentro rabbia e l’acido che forse ha provocato anche i crampi. Una scelta importante, sportiva, educativa. Naturalmente lo hanno criticato dicendo che deve protestare, magar gli stessi che un giorno prima avevano stigmatizzato le sceneggiate di altri giocatori. La falange che finge d’indignarsi se i genitori picchiano l’arbitro e i i giovani sul campo se le danno e  si sputano addosso. Noi siamo con la gente di Udine che applaude chi esce e pensa al compagno malato, stiamo con Sinner e pazienza se in finale a Montecarlo è andato un altro.

Magari non si sventolassero bandiere con topi, magari non ci fossero cori razzisti, benedetto il giorno in cui se il tuo presidente   di federazione ha un grave incidente d’auto tutti si preoccupano della   sua salute e nessuno, neppure nel Veneto cosiddetto virtuoso, fa sapere che esiste un candidato pronto a sostituirlo, uno di valore, dicono, ma, per fortuna, nella stessa Regione c’è chi si è subito ribellato come ha detto Casarin e non soltanto in nome della Reyer, ma pure come vice  presidente federale. Dovremmo farlo in tanti adesso che si gioca alla guerra con i droni, adesso che vorrebbero soltanto una stampa imbavagliata da mandare persino in galera se dovesse seguire il sacro principio, costituzionale in moltissimi Paesi, che i giornalisti devono servire chi è governato dicendo la verità su chi governa. Bisognerebbe dire la verità anche  a certi giocatori che si arrabbiano se li accusi di aver mancato di rispetto a compagni e  pubblico quando gigioneggiano sul campo o fanno capire di non gradire la sostituzione, a certi allenatori che vorrebbero rimanere sempre sul ponte della banalità, a troppi dirigenti convinti davvero che la gente abbia anelli al naso e creda a tutto quello che dicono e fanno.

Aspettando di sapere come Parigi difenderà la sua Olimpiade ci godiamo un figlio d’arte come il discobolo lituano Alekna che batte il record mondiale più antico, non quello di Mirone, ma di un tedesco dell’est, lanciando nel vento dell’Oklahoma che ha fatto galleggiare quel lancio oltre i 74 metri. Atletica che scalpita e prega che non si esageri nel lavoro come accaduto alla fenomenale triplista venezuelana Rojas, oro di Tokio, finita in ospedale con un tendine da ricostruire. Lo diciamo pensando al Jacobs che dovrebbe presto tornare in pista dove almeno abbiamo visto Tortu correre bene il primo 100 metri.

Aspettando  che il tempo smetta di farci sbagliare abbigliamento vi diciamo anche che augurarsi finalmente il caldo vorrebbe dire mandare in crisi questo basket italiano che farà giocare in forni mefitici  i suoi play off perché pochi amministratori hanno badato agli impianti sportivi delle loro città, una pallacanestro in maglia azzurra che prega ancora per avere un posto alle Olimpiadi sapendo che il campionato sa soltanto proporre  campioni, o presunti tali, con altri passaporti. Se il Poz guarda in tivù le partite di queste settimane gli verrà l’orticaria. I pochi che giocano sono già al limite. Auguriamoci che ci sia spazio per respirare,  sicuri che Fontecchio e Gallinari siano fedeli alla parola data, nella speranza che non ci siano altri diretti in sala operatoria come Procida.

Campionato dove Brescia si è tenuta il potere ringraziando una Reyer dove non riescono proprio a fare squadra. Torneo nazionale che guarda sospirando l’Armani fuori dall’Europa e si domanda che Virtus avremo se riuscirà a sopravvivere nel tormento di un calendario che la vorrebbe in campo anche quattro volte in una settimana se dovesse passare  le forche di Istanbul  contro l’Efes 48 ore dopo aver sofferto contro Cremona, pochi giorni dopo aver lasciato al Baskonia il posto migliore nella sala d’ingresso ai play off di Eurolega.

Basket che ci costringe a scelte dolorose guardando le battaglie per la promozione della A2, a quelle per la retrocessione nei due campionati nazionali. Tutti meriterebbero il premio, ma, purtroppo, non sarà così e la vita per  squadre e soprattutto arbitri diventerà inferno se chi è sul campo non chiede aiuto alla squadra se, chi dirige, non si rende conto che falli intenzionali e tecnici per proteste possono davvero decidere una stagione ed un titolo. Certo che il regolamento va rispettato, ma se tutto è chiaro dal primo minuto  e non se si cambia a gara in corso.

Pagelle tanto per   liberarsi la coscienza:

10 A Gianluca BASILE, grande come giocatore, medaglia olimpiaca, campione d’Italia, che nel raduno degli azzurri argento ad Atene nel teatro di Prato ha mandato un messaggio ai campioni di oggi spiegando che la vera nostalgia viene soltanto quando si  smette. Vale per tutti, anche per chi non può più andare a vedere una partita dal vivo.

9 A BILIGHA e TRENTO che nella volata vincente contro Tortona hanno trovato forse il giardino delle delizie nei playoff anche con una rosa ridotta.

8 Al MAZZOLA che ha tenuto Pesaro nella zona dove la salvezza potrebbe non essere soltanto un miraggio. Lui, più di altri sembrava rianimarsi quando suoi cartelloni pubblicitari girava a caratteri cubitali la scritta SCAVOLINI facendo danzare l’Ape e il tifo.

7 Al MAGRO che si è tenuto il primo posto in classifica mandando fuori giri la REYER con la vecchia cara zona adattata, trovando gli spazi giusti per nascondere il leprotto DELLA Valle in difesa, facendolo tornare leopardo in attacco.

6 Al POLONARA che non pensavamo potesse tornare a questi livelli in così poco tempo. Saggio fuori dal campo, decisivo quando la Virtus gli chiede minuti di qualità.

5 A NAPOLI e SASSARI che restano sempre ai confini del paradiso play off, due squadre che ci sono piaciute spesso, due gruppi che, per motivi diversi, hanno perso  la cosa più importante: la spontaneità e la voglia di  pensare che il basket è anche difesa.

4 Ad ARMANI e SEGAFREDO che in campionato possono quasi sempre prendere poco sul serio avversarie che si illudono di essere davvero al livello di queste regine con le scarpe mai in ordine. Domenica è accaduto a Treviso e Cremona. Un quarto per sognare, uno per sentirsi sempre troppo lontani.

3 Alle azioni riviste dieci volte, falsando il ritmo di partite che decidono tanto. Non siamo contro la tecnologia, ma contro le soste che falsano il ritmo di una gara. Non ci piace questa lentezza, non ci convince pur sapendo che può aiutare. Trovare una soluzione nello studio centrale e invitare chi commenta a  non fare l’eroico criticando un fischio arbitrale e mai una vaccata dei giocatori.

2 Al TRINCHIERI che dopo averci conquistato ancora una volta nel bellissimo docufilm su una giornata passata con lui a Kaunas, nel paradiso cestistico della Lituania e dei Sabonis, poi ha chiuso dicendo che l’apertura agli Emirati farà progredire una Lega che a noi pare invece imbalsamata se i calendari che propone sono già adesso senza respiro e criterio.

1 A BRINDISI se non penseranno subito al futuro della società del basket e del loro Palazzo anche adesso che la retrocessione non sembra più evitabile.

0 Al candidato presidenziale del VENETO che si è presentato nel giorno in cui  Gianni Petrucci veniva portato  all’ospedale in terapia intensiva. Una presentazione del genere basta ed avanza per capire, per farci capire.


Amadeus ha fatto bene?

 Amadeus ha fatto bene a lasciare la RAI, per andare a Discovery? Una domanda che si stanno facendo in tanti, tranne ovviamente quelli che si occupano di cose serie (non noi, quindi). Una domanda che non ha natura strettamente finanziaria, anche se a Discovery, quindi il Nove come canale di punta in Italia, guadagnerà molto di più di quanto prendesse alla RAI, pur conducendo Sanremo e Affari tuoi. Se vogliamo porla in un altro modo: a 61 anni e mezzo, avendo raggiunto con Sanremo il top nella sua professione (cioè Sanremo e alcuni dei principali show di Rai 1), perché andare a fare più o meno le stesse cose in un canale meno visto?

È come se uno fosse l'allenatore dell'Inter, facciamo un esempio caro ad Amadeus che ha chiamato suo figlio José in onore di Mourinho, e per qualche divergenza con Marotta andasse a non diciamo in Arabia ma nella Fiorentina, convinto da Commisso che gli ha promesso più libertà di manovra e meno ingerenze nella scelta dei giocatori. Poi non sono chiari i dettagli dell'offerta della RAI ad Amadeus, per non dire delle pressioni per avere questo o quell'ospite, probabile causa del suo divorzio da Lucio Presta avvenuto prima del suo quinto ed ultimo (per ora) Sanremo da conduttore e direttore artistico.

Il passato insegna qualsiasi cosa, ci sono stati casi di personaggi RAI che fuori dalla RAI hanno trovato una seconda giovinezza (Amadeus ha 61 anni e mezzo), come Mike Bongiorno, e di altri che hanno fallito come Pippo Baudo, però mai si trattava di questioni politiche. Perché la vicenda di Amadeus è diventata politica come poche altre, forse suo malgrado. Certo se Amadeus lascerà una traccia al Nove, con il botto (nel 2025 scade il contratto di Sanremo con la RAI), con qualche idea revival (solo lui potrebbe far risorgere televisivamente il Festivalbar) o con qualche progetto totalmente nuovo, avrà vinto lui. Diversamente leggeremo articoli del genere 'È la squadra a creare il campione', buoni per tutti i settori. Amadeus ha fatto bene?


15 aprile 2024

Un fazzoletto da Conegliano


Nel mondo solitamente quieto del volley femminile, che genera dibattiti soltanto per motivi extra-sportivi, sabato sera al Palaverde di Villorba si è verificato un fatto inusuale. Terminata gara 3 di semifinale scudetto, con la vittoria di Conegliano ai danni di Novara, il tifo più caldo delle venete ha esposto uno striscione bello grande che recitava "Portate un fazzoletto a quelli di Sky". L'idea da quelle parti è che l'Imoco vincendo quasi sempre dia fastidio alle televisioni, Rai e Sky, con conseguenti cronache e commenti schierati a favore degli avversari. Quando sono Novara, certo espressione non di una metropoli, e a maggior ragione quando sono Milano o giù di lì. Va ricordato che in gara 2 al microfono c'era Francesca Piccinini, che con la Igor vinse una Champions: facile immaginare cosa preferisse, per quanto il tifo degli ex atleti segua logiche particolari.

Ma torniamo allo striscione che ha creato tanto fastidio a Sky e che la coppia di sabato sera Locatelli-Sangiuliano non ha gradito: entrambi sorpresi naturalmente dall'iniziativa della curva, come se non fosse lecito esprimere il dissenso in termini civili (inutili e anche sbagliati i confronti con il calcio, che viaggia su altri binari), al di là della fondatezza della tesi. E al di là anche della domanda di fondo, senza una risposta certa: per il movimento pallavolistico meglio la passione di una realtà più piccola o i media di una più grossa?

Tutto ciò in ogni caso motiva una riflessione, allargando il discorso alle altre emittenti e agli sport, portandoci a chiedere se davvero servano i commentatori, oltre ai telecronisti. La linea che divide la professionalità con i conflitti di interesse e le convenienze personali è infatti molto labile, senza contare le pressioni che esistono o le telefonate che si ricevono. Inoltre è da valutarne l'utilità, quanto aggiunge alla trasmissione o quanto toglie, senza dimenticare quale sia la credibilità di chi ha il microfono in mano. Certamente c'è un mercato importante che si muove intorno a questa compagnia di giro, ci sono i procuratori, interessi da tutelare: i soldi coinvolti sono tanti anche in una realtà come il volley femminile Alla fine è fondamentale per lo telespettatore non considerare verità tutto quello che ascolta, ma farsi un idea propria: giusta o sbagliata non importa ma che sia la sua.

Tifosi o competenti?


Tifosi o competenti? Non chiediamo chi sia meglio in assoluto, ma chi sia meglio per la fortuna di uno sport: chi sostiene, più o meno criticamente, una squadra o uno sportivo, oppure chi segue uno sport a prescindere dalla simpatia nei confronti dei protagonisti? Ovviamente lo spunto arriva da Jannik Sinner, generatore quasi automatico di 'Di qua o di là', dopo l'episodio che lo ha danneggiato nella semifinale di Monte Carlo contro Tsitsipas e che gli ha tolto la possibilità di andare sul 4-1 nel terzo set, e quasi certamente di vincere partita e torneo, trovandosi poi Ruud in finale.

Un clamoroso errore arbitrale, che Sinner ha colto in tempo reale ma senza interrompere subito il gioco per chiedere la verifica del segno: non è stato un errore del giocatore e nemmeno un eccesso di sportività, ma è semplicemente il suo atteggiamento quasi alla Borg, del genere 'Gli arbitri arbitrino'. Infatti Sinner non protesta per gli errori a suo svantaggio e nemmeno, andando a memoria, restituisce punti. Ma il problema non è questo, bensì che l'errore di Aurelie Tourte (graziata dai media in quanto donna) abbia fatto scendere in campo il peggio del tifo e del giornalismo, come se il 'sistema' avesse una qualche convenienza nel mandare avanti Tsitsipas invece di Sinner o errori di questo tipo fossero rari.

L'effetto Sinner (o Tomba, o Pantani, o Pellegrini, o quello che vogliamo) non è quindi soltanto positivo, almeno in Italia: più interesse per il tennis, più audience, più soldi per tutti ed umilmente anche per noi che scriviamo visto che solo negli ultimi mesi abbiamo scritto più articoli di tennis che nel resto della nostra vita. In negativo porta il tennis a contatto non soltanto con l'appassionato-turista o lo sportivo generalista, già detestati da quelli della parrocchietta, ma anche il canottierato che fra una discussione sul VAR e l'altra sostiene che Sinner sia stato derubato. Certo che l'errore è stato decisivo per l'esito della partita, ma la cosa sarebbe interessante soltanto se la carriera della Tourte dipendesse da Tsitsipas più che da Sinner.

Un di qua o di là divisivo, che non riguarda i nostri gusti personali perché a seconda dello sport tutti siamo appassionati e sedicenti competenti oppure canottierati: seguire il tennis a prescindere dalla nazionalità di quelli forti non è in contraddizione con il guardare la Formula 1 soltanto, ad esempio, se la Ferrari va bene. Tifosi o competenti? Noi se per miracolo fossimo il commissioner di una qualsiasi lega vorremmo soltanto tifosi, ma ha comunque cittadinanza la teoria dell'appassionato-consumatore, il lobotomizzato che esulta per i 4-3 della Premier League, che non crea problemi come il tifoso ed in più spende per la quarta maglia.

14 aprile 2024

Le migliori canzoni di Sibilla

 Fra i tanti talenti lanciati da Franco Battiato uno dei più affascinanti e misteriosi è senza dubbio Sibilla, che proprio oggi compie 70 anni e che non soltanto per questo inseriamo in un Festival di Indiscreto che si avvia verso il completamento del tabellone a 256. Italiana nata in quello che oggi è lo Zimbabwe, all'anagrafe Sibyl Amarilli Mostert, è con il suo vero nome (quasi, perché sul disco c'è scritto Sybil) che nel 1976 fa centro cantando Keoma, la canzone principale dell'omonimo film, il classico spaghetti-western con protagonista Franco Nero. Canzone fra l'altro scritta da Guido e Maurizio De Angelis che in questi anni davvero non sbagliano un colpo.

Per Sibilla la grande notorietà arriva però con il Sanremo 1983, quando porta a Sanremo Oppio, scritta da Battiato, Giusto Pio e da lei stessa. Inserita nel girone A, quello delle Nuove Proposte Italiane, si esibisce nella seconda serata (all'epoca il venerdì, perché le serate sono tre) e rimane vittima di un errore dei tecnici, che mandano il playback invece della base preregistrata. Il microfono è aperto e lei infila una stonatura clamorosa, che causa la sua eliminazione: passano il turno Flavia Fortunato, Donatella, Milani, Fiordaliso e Zucchero, per dire il livello clamoroso. Grazie alla sua intensità, e anche all'interpretazione di Sibilla, Oppio è però un buon successo commerciale. E del resto, ascoltata con le orecchie di oggi, sembra una canzone di Alice cantata quasi alla Alice. Impossibile dimenticare il ritornello con qualche parola che Battiato prende pari pari da Hava Nagila, canzone popolare ebraica, ed anche questa intervista di Maurizio Seymandi, il cringe quarant'anni prima del cringe.

Con la produzione di Angelo Carrara l'anno seguente Sibilla scrive e incide come singolo Plaisir d'amour, che dovrebbe preludere ad un album per svoltare davvero, l’album che non era riuscita a fare con le canzoni di Battiato e Pio. La canzone è forte, con qualche somiglianza di troppo con Can't help falling in love, ma l'album non esce nemmeno questa volta e al di là di qualche collaborazione di prestigio, come quella con Paolo Conte nel 1990 per La canoa di mezzanotte, la carriera musicale di Sibilla si conclude qui. Di lei non avremmo saputo più niente.


12 aprile 2024

Supersex

 La cosa migliore di Supersex è il titolo, per tutto ciò che evoca a partire dal leggendario fotoromanzo, di nascita francese ma editorialmente milanesissimo, su cui tutti i ragazzi della nostra generazione si sono formati e informati. Arrivare alla fine dei 7 episodi della serie sulla vita di Rocco Siffredi, disponibile su Netflix, è stato davvero faticoso nonostante l'ottimo materiale a disposizione: un personaggio notissimo ma poco raccontato al di là delle sue opere, il cinema porno che ha il suo fascino sia per chi lo ama sia per chi lo detesta, la provincia italiana degli anni Ottanta e Novanta, quel mondo della notte un po' squallido che sarebbe stato ridimensionato dall'ugualmente squallido web.

Per essere sintetici, come ci piace essere: Supersex non è brutto, ma è noioso. Capiamo l'esigenza produttiva si ammortizzare i costi e avere 7 ore di film invece che 2, ma a noi spettatori cosa importa? Sono interessanti le parti sulla gioventù in Abruzzo, in una Ortona dove gli zingari erano i maghrebini di oggi, in mezzo a vicende familiari per i Tano (vero cognome di Siffredi) molto tristi. Bello anche il racconto del rapporto del piccolo Rocco con il fratello Tommaso, idolo assoluto anche perché fidanzato con Lucia, la ragazza dei sogni di tutti. Un rapporto malato, che si trascina dal paese a Parigi, con i protagonisti ormai cresciuti ed interpretati da un credibile Alessandro Borghi (Rocco), da una seriosa Jasmine Trinca e da un Adriano Giannini bravo ma sempre oltre il confine dell'overacting.

Da Parigi in poi tutto si trascina, con qualche guizzo come l'incontro decisivo con Gabriel Pontello, appunto il Supersex dell'Ifix Tchen Tchen che tutti abbiamo amato, ma anche tante, troppe, macchiette. Da Schicchi a Moana Pozzi, dall'amico gay Franco Caracciolo al malavitoso Jean-Claude ai frequentatori di night e club privé, per non parlare di quelli di Pigalle. Non c'è nemmeno qualcosa di eccitante, solo una sfilata di corpi anonimi, ed è qui che volevamo arrivare: perché pur apprezzando i film porno fin dai tempi delle prime VHS, ci è sempre risultato incomprensibile il divismo del porno.

Quello maschile, etero o gay che sia, ma anche quello femminile. A qualcuno è mai fregato qualcosa del nome dell'attrice o del suo curriculum? Anzi, il volto noto spesso deprime, ammoscia. Qualche cinema porno in vita nostra l'abbiamo visto, soprattutto il Magenta di via Sanzio e il Tiziano di viale Cassiodoro a Milano, senza dimenticare il bellissimo Lyceum di Varese (ci abbiamo preso il caffè poco tempo fa, è diventato un bar per famiglie) ed i tanti che ci si trovava davanti all'improvviso, senza cercarli: cinque anni fa ci è capitato qualcosa del genere a Berna.

Ecco, a occhio allo 0% dei frequentatori fregava zero se ci fossero Ron Jeremy, John Holmes o Rocco Siffredi, percentuale che saliva all'1% nel caso della protagonista femminile. Eppure anche il porno è stato capace di creare un divismo, sia pure di Serie B, e Tano-Siffredi aveva ed ha qualcosa più degli altri: per questo è diventato un personaggio pop, apprezzato dalle donne ma anche dagli uomini abbonati a DAZN. Ha qualcosa più degli altri non come centimetri, ma come conflitti irrisolti, rabbia, malinconia. È qualcosa in più di uno stallone peccatore che l'amore per la moglie Rozsa ha redento. Occasione persa.

 


11 aprile 2024

L'alcol andrebbe proibito?


L'alcol fa male? Di più: andrebbe proibito? Non l'alcol in grandi quantità, tutti sanno che distrugge la propria vita e quella degli altri. Ma proprio gli alcolici bevuti in maniera normale o comunque moderata. Lo spunto per questo Di qua o di là divisivo al massimo, un tabù nell'Italia delle presunte eccellenze del territorio (non produciamo più acciaio, ma abbiamo la pizza con il cornicione alto: in caso di guerra ci difenderemo con quello), arriva dalle recenti iniziative in Belgio, che metteranno di fatto l'alcol sullo stesso piano del fumo: non proibito ma sconsigliato, comunque non promosso. Ma anche da un vento culturale che è cambiato: soltanto qualche anno  fa Antonella Viola, uno dei tanti mostri mediatici creati dall'era Covid,  e nemmeno il peggiore (Galli e Burioni hors categorie come il Tourmalet), non avrebbe potuto dire, ed essere anche presa sul serio, che anche un bicchiere ogni tanto fa male.

Insomma, se ne può parlare senza fare i medici di Google ed elencare gli effetti negativi dell'alcol, anche in modica quantità, con la birra che per il suo ruolo sociale può in certi casi fare peggio dei superalcolici. Ma il punto non è secondo noi medico-scientifico, bensì politico: è evidente che proibire o scoraggiare l'uso degli alcolici, non si dice l'abuso, porterebbe ad un numero minore di malattie (e quindi di costi per la collettività) e a meno morti e feriti sulle strade, per non dire di violenze familiari e non. Che l'alcol in qualche modo alteri i comportamenti è ovvio. Ma siamo pronti ad accettare l'ennesima proibizione-imposizione, sempre per un presunto 'nostro bene'?

Non è una domanda retorica, perché proprio l'era Covid ha dimostrato che gente come Conte e Speranza, non si dice Hitler o Stalin, può imporre qualsiasi cosa ad una popolazione conformista, informata da media pecoronissimi, che subito interiorizza cosa è 'giusto' e cosa è 'sbagliato'. Questo, ripetiamo, al di là del merito delle questioni specifiche, che nel caso dell'alcol divide anche noi stessi: personalmente beviamo un bicchiere di qualcosa di alcolico quasi ogni giorno, o meglio, ogni sera, ma siamo convinti che dalla proibizione totale dell'alcol la società avrebbe soltanto benefici. E del resto il proibizionismo negli Stati Uniti dal 1920 al 1933 aveva obbiettivi sociali, non medici e tanto meno etici. Di qua o di là complesso, in cui si intersecano diversi piani, anche quello religioso visto che seriamente qualcuno propone di inserire festività islamiche nel calendario: proibire l'alcol, in prospettiva, o no?

Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...