31 maggio 2024

La generazione di Genny Di Napoli

Pietro Arese è il nuovo primatista italiano dei 1500 metri, cioè una delle gare più prestigiose dell'atletica e personalmente la nostra preferita insieme alla 4x400 nelle grandi manifestazioni: il suo 3'32"13 di Oslo, in una gara bellissima (pazzesca la vittoria in tuffo di Ingebrigtsen su Cheruiyot, Arese ottavo), poteva essere addirittura migliore viste le spallate prese nei primi giri e la distanza corsa all'esterno. Ma in senso storico il record di Arese, nessuna parentela con il famoso Franco anche lui ex primatista dei 1500 oltre che ex presidente della FIDAL, colpisce perché dopo 34 anni scavalca il tempo di un'icona dell'atletica italiana come Genny Di Napoli.

Icona poco vincente, almeno nei grandi appuntamenti all'aperto mentre indoor andava quasi sempre forte, dalla corsa elegantissima e naturale, con una struttura fisica alla Ingebrigtsen. E con la lunga carriera resa difficile dagli infortuni, su tutti quello che condizionò le sue prestazioni alle Olimpiadi di Barcellona, dove era tra i favoriti. Il 9 settembre del 1990 Di Napoli a Rieti, nel meeting forse più amato dagli appassionati (quel giorno c'erano anche Carl Lewis, che nei 100 arrivò davanti all'amico-rivale-gregario Burrell ma dietro a Witherspoon, ed anche un clamoroso Michael Johnson nei 400), corse in 3'32"78, battendo Morceli con quello che era uno dei migliori tempi mondiali dell'anno.

E che è diventato uno dei record italiani più longevi. Fra i record ancora in essere il più vecchio è quello di Fiasconaro negli 800, stabilito nel 1973, seguito dai 200 di Mennea nel 1979 e dagli 800 di Gabriella Dorio nel 1980. Di sicuro Di Napoli è stato uno degli atleti italiani più forti a non avere mai vinto una medaglia olimpica o mondiale, un riferimento per una generazione (lui è del 1968) di appassionati, un magnifico incompiuto (tutto relativo, perché le vittorie in Coppa Europa non le abbiamo dimenticate) che però nella vita post-atletica ha fatto anche tante altre cose.

 


 

Top Gun


Un capolavoro, senza se e senza ma. Top Gunquesta sera alle 21.20 su Italia 1, sintetizza gli anni Ottanta e il reaganismo meglio di mille saggi, e con questo sarebbe detto tutto. Questo film del 1986, da noi gustato in prima visione al defunto cinema Odeon, lascia sempre le stesse vibrazioni ed ha avuto anche un degnissimo seguito in Top Gun: Maverick, come tutti sanno. Come al solito non stiamo a ricordare la trama, limitiamoci alle nostre scene di culto. La foto al pilota sovietico, scattata da Goose (con una Polaroid!), mentre Cruise-Maverick sta volando rovesciato. L'improbabile partita di beach volley, con quei corpi maschili luccicanti, che secondo molti è il punto più alto dell'estetica criptogay. L'arrivo da videoclip in moto a casa della McGillis. Great balls of fire. La battaglia finale. I complimenti di Iceman. Il tutto con una colonna sonora clamorosa, da Take my breath away dei Berlin, opera di Giorgio Moroder, Danger zone di Kenny Loggins, anche questa arrivata da Moroder, il tema principale scritto da Harold Faltermayer, e altre. Da ricordare che Cruise era stato fin da subito il preferito di Tony Scott, che aveva scartato gli altri concorrenti generazionali, da Rob Lowe a Patrick Swayze, mentre la pur divina McGillis, incredibilmente ignorata nel sequel, fu scelta perché non si trovò l'accordo con Brooke Shields, all'epoca una vera superstar, battendo la concorrenza della allora sconosciuta Demi Moore.

30 maggio 2024

Calcio all'italiano

La Fiorentina ha perso la sua seconda finale consecutiva di Conference League, aggiungendo una delusione sportiva alla normale amarezza di fine ciclo. Sì, perché con tutta probabilità l’era di Vincenzo Italiano finisce qui, con una partita giocata al di sotto del proprio standard, accettando il calcio scarno dell’Olympiacos, e con i suoi tanti giocatori offensivi invece in linea con il resto della stagione. Anche se per una volta non c’è molto da recrimonare: Terracciano ha fatto almeno tre parate vere, Tzolakis nessuna, in una partita bloccata come lo sono tante finali e dove solo sui tabellini le squadre di Mendlibar e Italiano erano a specchio con il 4-2-3-1. I greci pronti a verticalizzare in fase di ripartenza e a buttare la palla in mezzo all’area quando il giuco si è sviluppatro sulla fasce, i viola più padroni del campo anche se Mandragora e soprattutto Arthur si sono limitati al compitino. Arriviamo per milionesimi ad osservare che tanti mezzi giocatori offensivi non ne fanno uno vero e non c’è bisogno di vedere e rivedere gli errori di Belotti, Kouamé e Ikoné, la fumosità di Nico Gonzalez, Barak, e Nzola, senza contare Beltran che ha giocato pochi minuti. Il discorso sugli attaccanti non deve far dimenticare la cattiva fase difensiva mostrata dalla Fiorentina per tutta la stagione, al di là di Atene: in Serie fra le squadre della prima metà della classifica nettamente la peggiore.

Poi il calcio è il calcio e non occorre essere italiani per osservare che il gol di El Kaabi, straordinario bomber di coppa ma dai viola cancellato per quasi 120 minuti, sarebbe stato annullato da molti arbitri anche al netto del mitologico arbitraggio internazionale che consiglia di non fischiare ogni volta in cui c’è qualcuno per terra. Il risultato non è tutto ma il risultato dice che l’Olympiacos è la prima squadra greca a vincere una coppa europea in 65 anni di partecipazioni, con l’unica ad andarci vicino che era stato il Panathinaikos allenato dall’immenso Ferenc Puskas, finalista nella Coppa dei Campioni 1970-71 e piegato 2-0 a Wembley dal grande Ajax di Michels e Cruijff dopo una partita a tratti violentissima. Ovviamente il più grande risultato di un club greco rimane quello del Pana, ma questo non toglie meriti all’Olympiacos attuale, che giocando più o meno così aveva eliminato altre favorite come Fenerbahce e Aston Villa, e al suo bomber trentunenne che

fino alla scorsa stagione era stato ben lontano dal grande calcio: l’anno scorso di questi tempi giocava in Qatar. Quanto a Mendilibar, seconda coppa europea in due stagioni dopo l’Europa League dell’anno scorso con il Siviglia in finale sulla Roma di Mourinho. L’età, 63 anni, la filosofia di gioco, ed una lunghissima storia di esoneri con la fortuna (sia al Siviglia sia all’Olympiacos è entrato in carica due mesi prima della grande vittoria) arrivata alla fine, impediscono anche agli esterofili più spinti di chiamarlo maestro. Le sue squadre, almeno nella loro versione europea, sono come quelle italiane di una volta.

Tornando alla Fiorentina, quale futuro per la squadra di Commisso che ripartirà quindi di nuovo dalla Conference League? Per il dispiacere del Torino, con Cairo ieri neotifoso viola (e del resto non è nemmeno tifoso del Torino), che per 116 minuti ha pensato di avere agganciato il treno europeo. In attesa dell’ufficialità della ‘decision’ di Italiano, con Palladino primo candidato alla successione, e delle prime mosse di Pradé e del nuovo direttore tecnico, Roberto Goretti, che prende il posto di Burdisso, qualche considerazione sulla rosa si può già fare. Quasi impossibile che i tanti prestiti (Belotti, Faraoni, Maxime Lopez, Arthur) vengano rinnovati o trasformati in qualcosa d’altro. In bilico la posizione di Bonaventura, a meno che non accetti un ridimensionamento finanziario adesso che non è scattata la clausola per il rinnovo automatico. Di base Kouamé dovrebbe rimanere, ma non è detto, mentre lo svincolato Duncan non ha avuto segnali ed infatti è in contatto con più club. Molto mercato ha Nico Gonzalez, che ha un contratto fino al 2028, ed è probabile che parta anche Martinez Quarta in modo da non perderlo a zero l’anno prossimo. Il recupero con l’Atalanta sarà una delle partite più tristi della storia viola recente.

Dalla Cina con furore


Pochi film hanno avuto un titolo italiano migliore dell'originale: Dalla Cina con furore, invece del cinese Jing Wu Men(la scuola di Jing Wu) e dell'inglese Fist of furystasera alle 21.20 su Cielo, è uno dei rari esempi. Questo uscito nel 1972 è il più famoso dei film di Bruce Lee, che in realtà ne fece da protagonista soltanto quattro, da non confondere con la sterminata produzione basata sul montaggio e sui quasi sosia, ed è a un primo livello la classica storia dell'allievo che vendica la morte del maestro, nel suo caso a colpi di kung fu. Ambientato nella Shangai del 1910, è interessante anche per il contesto storico, con Shangai città internazionale di fatto governata da Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Non che si vedano analisi alla Limes, beninteso. Proprio i giapponesi sono i cattivi della situazione, cosa rarissima al cinema tranne che nei film sulla Seconda Guerra Mondiale, fra razzismo e provocazioni. Al di là del fascino di Bruce Lee e della sua doppia anima, americana e honkonghese, consigliamo questo film per la forza ed i valori che esprime, anche se con gli occhi di oggi molti combattimenti risultano ridicoli. Di culto il modo in cui Chen punisce il cuoco traditore e l'uso del nunchaku, che avrebbe generato in Occidente tanti cattivi imitatori: in caserma, durante il servizio militare, il nostro vicino di branda si allenava in ogni momento libero generando una certa tensione. Ma Bruce Lee non aveva folgorato soltanto lui.

29 maggio 2024

Thiago Motta in carriera


 Bologna e il Bologna hanno preso davvero male l’addio di Thiago Motta. Con critiche, che ci possono stare, ed insulti che qualificano soprattutto chi li urla. Una situazione che costringe a ricordare che il prossimo allenatore della Juventus ha, dopo un anno non memorabile nelle giovanili del PSG, ha iniziato la carriera da allenatore di prima squadra nel 2019 con un esonero, dopo 10 partite, e che nessun tifoso del Genoa si è (giustamente) preoccupato per il suo futuro. Presa in mano la squadra da Andreazzoli a fine ottobre, non riuscì a festeggiare il Capodanno 2020 in panchina nonostante un buon inizio, vittoria con il Brescia ed onorevole sconfitta con la Juventus. Cacciato con la squadra ultima in classifica, che Preziosi affidò a Davide Nicola, che in quella stagione ricordata soprattutto per il Covid riuscì all’ultima giornata a strappare la permanenza in Serie A.

 

E lo stesso sarebbe accaduto anche a La Spezia, dopo un anno di disoccupazione, dove il predestinato (sulla fiducia, come molti predestinati) italo-brasiliano raccolse la difficile eredità di Italiano e fu più volte ad una partita dall’essere esonerato. E lo sarebbe stato prima di Natale, se non avesse vinto in trasferta contro il Napoli di Spalletti, senza fare un tiro in porta, grazie ad un autogol di testa Juan Jesus e ai miracoli di Provedel. Quella è stata la partita più importante della sua carriera di allenatore, subito dopo lo Spezia avrebbe cambiato marcia salvandosi brillantemente e Thiago Motta lo lasciò al momento giusto, senza avere niente in mano. Il resto è quasi storia di oggi, con il Bologna preso in mano a stagione iniziata, con l’aggravarsi delle condizioni di Mihajlovic, e tranquillo a centroclassifica, prima dell’exploit della stagione successiva, cioè questa.

 

Se invece di arrivare clamorosamente in Champions League, a 60 anni di distanza dall’ultima volta, fosse rimasto invischiato nella lotta per la retrocessione con un Bologna che ha giocatori pagati in totale circa 27 milioni di euro lordi (parliamo di ingaggi), meno di quelli delle retrocesse Sassuolo e Salernitana, in tanti avrebbero chiesto la sua testa. Insomma, è il solito discorso: il club e i tifosi pretendono di poter lasciare, se hanno opportunità migliori, ma non accettano di essere lasciati. Per fortuna non funziona così, nel calcio e nella vita, e chi ha potere contrattuale e immagine, come Thiago Motta in questo momento, fa benissimo a farsi rispettare perché la ruota gira. Chi gli augura di fare la fine di Maifredi, peraltro non una brutta fine, sta mettendo sul suo successore (con Italiano sarebbe proprio ruota che gira) al Bologna, senza Zirkzee e magari anche Calafiori, una pressione enorme. 

Mancino naturale

 È un peccato che Mancino naturale sia stasera alle 21.30 su Rai 1, perdendo molti appassionati di calcio che a quell'ora staranno guardando Fiorentina-Olympiacos, e le rispettive mogli, fuori di casa per un impegno di lavoro improvviso. Perché il film di Salvatore Allocca, uscito due anni fa, è un onestissimo film di genere, di quelli che ormai in pochi fanno, essendo i finanziamenti (una regione qua, una banca là, il tax credit, eccetera) del tutto svincolati dal gradimento del pubblico. È la storia, ambientata a Latina, di una madre vedova e nevrotica, un'ottima Claudia Gerini, che riversa tutte le aspettative sul figlio Paolo, chiamato così in onore di Paolo Rossi, bambino con un discreto talento calcistico. L'obbiettivo è farlo partecipare ad un torneo dove ci saranno i migliori talent scout italiani, situazione che fa entrare nel mirino di maneggioni che promettono provìni ovunque, dietro pagamento. Massimo Ranieri, pettinato quasi come Cuccia, è uno di questi, mentre Katia Ricciarelli è la nonna. Raccontato così (non spoileriamo la fine) sembra che il film sia ai confini del trash, invece è una commedia ben fatta, che porta molti di noi all'identificazione. Con il bambino presunto talento incompreso, con il parente che ci crede, con quello che non ci crede, con il genitore frustrato, con il rapporto spesso folle che le madri italiane hanno con i figli maschi, con una periferia dove quei pochi che sognano lo fanno in grande.

stefano@indiscreto.net


28 maggio 2024

Pretty Woman


Quante volte abbiamo visto Pretty Woman? Almeno una all'anno negli ultimi trent'anni. E stasera, alle 21.30 su Rai 1, sarà difficile non dare almeno un'occhiata almeno alla scena in cui Vivian, cioè Julia Roberts (da lì partì la sua vera carriera, mentre quella di Richard Gere si rilanciò), va a fare shopping in Rodeo Drive, prima trattata come una pezzente e poi come una regina. Perché la caratteristica del film che ha consegnato all'eternità la coppia Gere-Roberts, e di pochi altri film, è che vanno visti per così dire in diretta, sui canali generalisti. Non ci sogneremmo mai, noi che ieri sera abbiamo seguito fino all'ultimo rigore Fortuna Düsseldorf-Bochum (non stiamo scherzando), di cercare Pretty Woman in streaming e meno che mai di comprare il dvd, al di là del fatto che l'unico strumento che abbiamo per leggere i dvd sia la PlayStation. Tutti conoscono la trama di Pretty Woman, tutti hanno le loro scene di culto, inutile starle ad elencare. Il fascino di questo film del 1990 è che secondo noi si tratta di un brutto film, poco originale (Cenerentola e dintorni, il principe che salva la ragazza indifesa, le prostitute di buon cuore, i capitalisti cattivi), ma fatto benissimo e curato in ogni dettaglio. A partire dal lieto fine, che noi popolo bue pretendiamo. Così come pretendiamo la bellezza dei protagonisti, perché vogliamo sognare: i cessi stiano a casa a guardare gli spareggi di Bundesliga.

 

Gli anni di Bill Walton

 


Bill Walton non è stato soltanto uno dei più grandi centri della storia della pallacanestro, buono per un coccodrillo adesso che a 71 anni è morto di cancro, ma anche un personaggio unico, non spiegabile soltanto con le vittorie: i due titoli NCAA nella UCLA di John Wooden, i due titoli NBA a Portland e Boston, i mille riconoscimenti individuali fra un grave infortunio e l’altro, per non parlare di quelli minori (a fine carriera 38 interventi chirurgici, quasi tutti a caviglie e piedi). Senza dimenticare che Walton insieme a Sabonis e Jokic può essere considerato il miglior passatore di sempre nel suo ruolo, al di là delle statistiche e del fatto che lui facesse sempre la cosa giusta: infatti i suoi allenatori litigavano con lui non per questioni sportive ma per la sua libertà di pensiero, figlia del clima che si respirava nelle università californiane (era super-californiano lui stesso) dei primi anni Settanta. Fra l’altro lui non veniva da una famiglia di fanatici dello sport: il padre era insegnante di musica, la madre bibliotecaria la NBA non era l’obbiettivo della vita per nessuno di loro. Seguendo il fratello Bruce il piccolo Bill iniziò a giocare a pallacanestro, senza alcun segnale che avrebbe raggiunto i 2.11 dell’età adulta. Una storia, questa, già sentita molte volte (si pensi soltanto a Scottie Pippen), con una tecnica da playmaker, che a causa di una cresciuta improvvisa (a 16 anni in pochi mesi passò da 1.85 a 2.02) si incarna in un corpo da ala o da centro, come nel caso di Walton. Entrato nell’immaginario collettivo non soltanto per la pulizia tecnica clamorosa, ma anche per le sue performance come commentatore senza peli sulla lingua e per le sue comparsate in film e televisione. Padre, fra gli altri, di Luke, campione NBA con i Lakers (attualmente è assistente allenatore ai Cavs), come giocatore è stato uno dei più grandi ‘What if’ della storia: il Bill Walton 1976-77, che portò i Trail Blazers al titolo battendo prima i Lakers di Jabbar e poi i Sixers di Doctor J, al suo primo anno di NBA, è un manuale di basket ed è un dovere andarselo a rivedere su YouTube. Davvero strana la sua storia con la nazionale: ai suoi tempi i professionisti non potevano (né volevano, va detto) giocare in competizioni FIBA, quindi le sue esperienze sono soltanto giovanili: appena uscito dalla high school, nel 1970, fece parte della modestissima selezione statunitense ai Mondiale in Jugoslavia, che arrivò quinta battuta anche dall’Italia di Giancarlo Primo, mentre nel 1972, quando era una superstella al college, rinunciò alla convocazione per le Olimpiadi di Monaco, per motivi mai chiariti (si parlò anche di protesta contrio la guerra in Vietnam) e comunque con pentimento tardivo di Walton, visto che anche con quell’arbitraggio gli Stati Uniti con lui in campo avrebbero vinto l’oro in scioltezza. Un altro ‘se’ nella carriera di un fenomeno al tempo stesso grandissimo e incompiuto.

 

C'è troppa frociaggine?

 C'è troppa frociaggine? Una domanda che trae spunto dalla battuta di Papa Francesco detta ai vescovi, riferendosi alla eccessiva quantità di omosessuali presente nei seminari. Una battuta che nel mondo del politicamente e giornalisticamente corretto, di solito accodato acriticamente al Papa, ha scatenato reazioni, è il caso di dirlo, da checche isteriche. Anche perché si dovrebbe scrivere ciò che si è scritto di Vannacci... Al di fuori della battuta e dello scoop di Dagospia, copiato a denti stretti dai vaticanisti embedded (ma non da quelli televisivi, sempre in estasi tipo Bernadette), la posizione del Papa, oltre che della Chiesa Cattolica, sull'omosessualità era già nota: non è un crimine e nemmeno un comportamento che meriti discriminazioni, ma certo non deve essere promossa, favorita o anche solo accettata culturalmente dalla Chiesa.

L'evidenza dice che fra i sacerdoti la percentuale di gay sia superiore che fra gli operai e gli impiegati, ma lo si potrebbe dire per molti altri mondi, anche al femminile. Per certi versi, ma questo valeva soprattutto nel passato, il sacerdozio a volte fungeva da copertura. Ma al di là della Chiesa, le cui posizioni influenzano sempre meno persone, ci sono due discorsi enorme da fare e che noi con la consueta superficialità liquidiamo in due righe. Il primo è quello di marketing: come può, con l'Islam che avanza (vorremmo dire alle porte, ma purtroppo sono già entrati), il Papa ghettizzare i fedeli, o anche soltanto gli aspiranti sacerdoti, di vari orientamenti sessuali? L'unica vera arma dei cristiani contro l'Islam è quella della tolleranza: la libertà contro il peggio del peggio. Sempre in tema di marketing, la linea pro-gay dovrebbe essere obbligatoria per una destra libertaria, modello Wilders, che però in Italia ha sempre avuto poca fortuna.

Il secondo discorso è ancora più ampio e riguarda la società in generale. Con l'allarme lanciato tanti anni fa dalla scomparsa Ida Magli, che fece scalpore attaccando la femminilizzazione della società, della scuola ed in definitiva anche degli uomini occidentali. E ancora prima, a fine anni Ottanta, i saggi della più famosa antropologa italiana erano diventati pop evidenziando l'omosessualità latente che sta alla base della società non soltanto occidentale. Latente, appunto, perché dal punto sessuale e sociale l'omosessualità è sterile e la sua diffusione oltre certe percentuali è tipica delle civiltà in declino. La nostra domanda è riferita al qui e adesso, nell'Italia del 2024: c'è troppa frociaggine in giro?


27 maggio 2024

Atari o Intellivision?

 La notizia del passaggio del brand Intellivision ad Atari segna di fatto la fine di un’epoca, in realtà già finita da tempo. Quella della prima era d’oro dei videogiochi da casa, dominata inizialmente dalla console Atari VCS (poi 2600) lanciata da Atari nel 1977 e il cui scettro fu conteso da Mattel con il sistema Intellivision uscito un paio di anni dopo. Una battaglia tra una macchina graficamente inferiore ma con un catalogo amplissimo (composto anche da tante conversioni da arcade) e una più evoluta il cui punto forte erano di fatto le simulazioni sportive, molto più realistiche di quelle presentate sulla controparte.


Ma anche una battaglia che in Italia si giocò qualche anno dopo (l’Intellivision da noi uscì nell’estate del 1982), considerati i tempi tecnici di lancio in Europa molto diversi da quelli attuali, mentre nel contempo si affacciavano sul mercato anche i primi (e costosi) home computer. E a cui parteciparono come attori interessati direttamente sui due fronti i produttori indipendenti delle all'epoca cartucce, con brand destinati poi a fare la storia anche negli anni successivi (come Activision, nata da alcuni designer fuoriusciti da Atari) o semplicemente diventati icone dell’epoca (come Imagic).

Indimenticabili quindi la sorpresa dei primi platform così come le pubblicità tipicamente americane che mettevano a confronto le simulazioni di entrambi i sistemi. Ecco che i ragazzini si divisero in vere e proprie fazioni (meglio il joystick o il comando a disco?), dalle quali erano esclusi i possessori di console di minore successo come il Videopac proposto in Europa dalla Philips. Poi arrivò a sparigliare le carte il ColecoVision, ma era troppo tardi, con il temporaneo crollo di un’industria poi via via ripresasi alla grande per continuare fino ai giorni nostri. Con sistemi potentissimi che hanno cambiato l’esperienza videoludica mentre le vecchie console vivono tra il retrocomputing e i cosiddetti giochi homebrew sviluppati ex novo. E voi per chi eravate: Atari o Intellivision?

Le vallette di Mike Bongiorno


I 100 anni della nascita di Mike Bongiorno, nato il 26 maggio 1924, hanno giustamente ispirato tanti ricordi visto che Mike è stato un personaggio fondamentale per la cultura del nostro paese: se quasi tutti gli italiani parlano più o meno la stessa lingua il merito è anche suo, trovatosi al posto giusto nel momento giusto ma anche bravo nel creare uno stile né troppo alto, e quindi respingente, né troppo basso, tipo molta televisione di adesso rivolta ai subnormali. Ma non vogliamo fare gli storici della mutua e nemmeno il copia e incolla, quindi proponiamo un sondaggio che nel wokissimo 2024 in pochi oserebbero proporre: qual è stata la nostra valletta di Mike Bongiorno preferita?

Domanda maschilista soltanto in apparenza, perché per motivi anagrafici Mike era un uomo di altri tempi, ma le sue vallette non erano mai volgari e quasi tutte sono state donne di forte personalità, una personalità che spesso sono riuscite ad esprimere anche in televisione nonostante lui concedesse poco spazio (a chiunque, a prescindere dal sesso). Senza contare che le parole, anche quando erano poche, e i comportamenti di queste ragazze sono stati spesso più commentati di quelli del loro mentore. Facciamo in ogni caso fatica a considerare il ruolo di valletta di Mike più degradante di quello di Filippa Lagerback da Fazio o di quelli, peggio ancora, di tante telegiornaliste o intervistatrici, soprattutto sportive, le cui uniche skill sono tette e gambe (meglio quelle di niente, sia chiaro).

L'elenco che proponiamo è per forza di cose parziale, da tante che sono state le trasmissioni presentate da Mike Bongiorno: Lascia o raddoppia?, La ruota della fortuna, Telemike, Rischiatutto, Pentatlon, Bis, Superflash, Campanile sera, I sogni nel cassetto e mille altri, senza dimenticare gli 11 Festival di Sanremo di tempi in cui la valletta non veniva definita co-conduttrice (con Mike ricordiamo, fra le altre, Sylva Koscina, Maria Giovanna Elmi e Anna Maria Rizzoli). Il nostro voto è generazionale, come quasi sempre accade, e fra i nostri primi ricordi televisivi c'è Rischiatutto visto sul Brionvega in bianco e nero. Sabina Ciuffini forever, con Susanna Messaggio e Paola Barale subito dietro.

stefano@indiscreto.net

Ataman e i provinciali


Oscar Eleni
 nel reparto squilibrati dello Utah, davanti alla scogliera di arenaria nel parco di Capitol Hill, cercando un citofono per chiamare Pogacar, obbligandolo a spiegare cosa mangino e cosa bevano in Slovenia. Qualche segreto devono averlo se pensiamo che una nazione così piccola ci regala campioni in quasi tutti gli sport, come direbbe il cestista Doncic che  tenta di portare Dallas nelle finali NBA, come potrebbe confermare il nuovo dolcissimo cannibale del ciclismo, come ci ha spiegato mille volte Sergio Tavcar nelle sue telecronache, con i suoi libri. Citofonare Slovenia proprio nel giorno in cui  l’Italia dei motori  s’è desta applaudendo Bagnaia ma, soprattutto, la Ferrari che ha preso a calci, per una volta, il cinghiale della Red Bull, oscurando le medaglie delle farfalle tornate a volare con la Maccaraninella ritmica della regina Raffaeli? Be', lasciateci litigare davanti alle poche edicole rimaste scoprendo che l’invasione al petrodollaro nel grande calcio, tutto questo cincischiare nella speranza che Spalletti nasconda i peccati del sistema con la sua Nazionale, non ci ruberà le probabili emozioni promesse da una giovane squadra di atletica pronta per l’Europeo romano. Da Fabbri a Furlani, da Simonelli alla Iapichino, un plotone d’assalto che si presenta avendo battuto tanti primati nazionali, come direbbe Crippa, ma che è prontissimo a difendere i capitani, nella speranza che Jacobs e Tamberi stiano bene e che Tortu ritrovi sulla curva dei 200 quello che lo ispira nella staffetta.

Un giro di chiglia in mondi sportivi che inseguono la storia studiando davvero, come direbbero nel geniale Domenicale campaniano, augurandosi di avervi ingannato abbastanza per non parlare del basket in gramaglie che cerca di volare alto con  nuove divise e intanto scopre che l’infermeria di Azzurra è sempre più affollata dovendo far spazio a Fontecchio,  mentre non si trova più una sedia libera nel salotto dello psicanalista-commercialista che prova a convincere veterani appesantiti dall’età a sacrificarsi per Azzurra invidiando la pallavolo che con Velasco e De Giorgi sembra pronta per una bella Olimpiade, giochi senza frontiere, con troppe frontiere chiuse per guerra, altro che pace olimpica gridano gli stolti del momento felici di guadagnare ancora su armi e funerali. Purtroppo il basket e la sua Nazionale sembrano lontani da Parigi senza avere il permesso di fingersi indifferenti come i calciatori o, magari, i tennisti che adesso, invece, considerano i Giochi anche più importanti di un grande Slam. Potere dei manipolatori d’immagine che sanno come vendere.

Basket dei tapini che si fingono giganti e infatti nel giorno della finale di una Eurolega che vale tanto, con 19mila spettatori sulle tribune a Berlino,  una festa che interessa davvero e si vende alla grande, in una domenica dove qualsiasi ora andrebbe bene per avere pubblico, questo lilliput basket italiano mette alla stessa ora gara due di una semifinale scudetto fra Virtus Bologna e Reyer Venezia. Daranno la colpa a DMAX che voleva quell’ora per la sua diretta, si difenderanno spiegando che i giocatori di Bologna e Venezia erano stati avvertiti: giocate sereni, ma appena potete fingete di aver dimenticato il ruolo in commedia. Voi virtussini, sul più 22, recitate come se aveste smarrito  l’idea che si vince giocando da vera squadra secondo la legge Banchi, come quando vi siete fatti portare ai supplementari dopo il più 20 in gara uno, mentre voi reyerini, pur avendo voglia di mandare al diavolo uno come Wiltjer, provate a scavalcare la paura, dimenticando cosa costa giocare in trasferta senza il pivot che avrebbe dovuto salvarvi, riaprite i giochi così la gente si diverte.

Sono settimane che al convegno di psicologia fra i campi di lavanda in Provenza ci si domanda cosa succede in tanti sport se un Milan ai saluti dopo aver segnato tre gol si fa riprendere, se alla Juventus sembrano liberi di giocare persino a calcio, se le feste interiste hanno spalancato le porte e la porta che sembravano inespugnabili. Sono giorno in cui i maestri cantori del basket, ad esempio, non sanno spiegare perché per venti minuti una squadra, allenatore in testa, merita baci ed abbracci e poi, all’improvviso, i fenomeni diventano gli altri. A Messina e Banchi è andata comunque bene, ma non così all’allenatore del Real Madrid che cercava di replicare la vittoria dell’anno scorso, che aveva un bel vantaggio sul Panathinaikos del diabolico Ataman e stava convincendo Florentino Perez, già felice per la vittoria dei ragazzi della Real casa nel torneo per le nuove generazioni organizzato a Berlino dall’Eurolega, illudendolo che anche questo sarà un anno Real se Ancelotti rivincerà la coppa campioni.

Cosa passerà nella testa di certi giocatori? Sarà per questo che adesso molte società oltre a svenarsi per costose  “squadre” al seguito di allenatori importanti devono pagare anche  chi lavora sulla mente di multimilionari, di campioni a cui bisogna ricordare pure che a tavola non tutti vincono se sgarrano come potrebbe testimoniare Manila Esposito prodigio della nostra ginnastica. Mondo dello sport che finalmente ha scoperto altri mondi anche se poi chi non osa mai, chi non lavora sul serio, davanti al Barcellona che ha preso un ragazzone di 2 metri 08 centimetri nato in Burkina Faso, sogghigna negando che Mohamed Dabone sia nato davvero nel 2011 e possa già  fare la differenza in campo contro i diciassettenni. Per fortuna non tutti la pensano così e adesso non si squittisce più se ai campionati giovanili di molti sport fra i vincitori scopriamo ragazzi che, pur nati o cresciuti in Italia, figli di gente fuggita da orrori cominciando dalla povertà, hanno avuto il passaporto dopo anni di attesa. Lampo blu delle nostre brame dicci chi merita adesso le buone e cattive pagelle nel reame dove  si sta bene anche sentendosi dimenticati, felici di non doversi dispiacere per aver scelto altri rispetto a quelli che la Lega del basket, ad esempio, ha scelto per questa stagione.

10 Alla REYER anche nella domenica dove la prima squadra ha mancato la rimonta da meno 22  nella seconda partita con la Virtus e gli Under 17 sono stati battuti i finale dagli Orange di Bassano del Grappa, perché in settimana l’organizzazione del vulcano Brugnaro, sindaco, ma non soltanto di Venezia, aveva conquistato la semifinale del basket, lo scudetto con la femminile e due titoli giovanili fra ragazze e ragazzi. Come si dice, se non basta provateci voi.

9 Ad Ergin ATAMAN che forse avremmo fatto bene a tenere in Italia come giuravano quelli di Siena, un navigatore nel mondo dei canestri che dopo la doppietta con l’Efes ha dato gioia al popolo del Panathinaikos anche se restiamo sempre perplessi davanti ai tifosi ateniesi e  ai loro dirigenti.

8 A Dejan BODIROGA grande sul campo e ora grandissimo anche come dirigente  insieme a MOTIEJUNAS per una Eurolega che se davvero farà pace con la FIBA e le FEDERAZIONI verrà ricordato per il rivoluzionario più amato dal basket che già gli doveva molto come giocatore. Nella speranza di poter dire presto le stesse cose sul DATOME che PETRUCCI sta lanciando al vertice.

7 Ai VETERANI del REAL MADRID, RODRIGUEZ in testa, che dopo la delusione di Berlino, la rimonta subita in una finale che dopo 10’ sembrava già conquistata, hanno salutato avversari e tifosi con lo stile che dovrebbero avere sempre i campioni dello sport.

6 A FORTITUDO e CANTÙ se nelle semifinali del campionato di A2 non pretenderanno di essere trattate in maniera  diversa dalla favorita TRAPANI e dalla sorprendente TRIESTE. Bel finale per un campionato che permette alla RAI di stare anche sul basket offrendo un microfono al DE POL che fa bene il suo mestiere, guardia scelta come quando giocava.

5 Ai PRESIDENTI agitati che vediamo nelle semifinali del basket. State buoni se potete e prima di vedere il sesto uomo nella squadra avversaria, tipo un arbitro, guardatevi un po’ intorno e in casa vostra.

4 All’EUROLEGA che a Berlino ha organizzato davvero bene ma si è fatta sorprendere da quella che chiameremmo esuberanza delinquenziale dei soliti noti. Certo le polizie locali, dopo i lutti in certi stadi o palazzi, dovrebbero aiutare un po’ meglio.

3 Ai giocatori della VIRTUS che nelle  prime due partite di semifinale contro Venezia si sono fatti rimontare 20 e 22 punti. Smettere di giocare o giocare così con i sentimenti dei tifosi e dell’allenatore è davvero crudele come avrebbe detto Messina dopo essere stato quasi rimontato in gara uno da Brescia.

2  Ai campioni della NBA che fingono di non poter essere alle OLIMPIADI per motivi fisici e non per la paura di sfigurare davanti alle stelle vere che invece porterann


o gli STATI UNITI.

1 A POZZECCO se dovesse essere spaventato visto come giocano certi probabili azzurri. Lui ha sempre avuto la forza e la fantasia per dimostrare che anche se sei piccolo il basket ti può regalare scudetti e medaglie olimpiche.

0 Alla LEGA basket che abbiamo applaudito per aver dedicato ai grandi campioni del passato, da GAMBA a MENEGHIN, i premi per la stagione 2024, che nella domenica della finale di Eurolega a Berlino ha permesso una diretta televisiva su gara 2  da Bologna quasi alla stessa ora. Provincialismo, lo stesso mostrato da giornali che non hanno pubblicato neppure il tabellino.

Oscar Eleni

Miracolo alla Nicola

 Il Frosinone è la terza retrocessa in Serie B, insieme a Sassuolo e Salernitana, ma al contrario delle due compagne di sventura ha poco da rimproverarsi anche se il modo in cui ha perso con l’Udinese, con l’Empoli che poi ha trovato nel recupero il gol salvezza, fa male. La cilindrata della squadra di Stirpe non era diversa da quella di Empoli e Udinese, o di altre già salve come Verona e Lecce, ma qualcuno doveva retrocedere e non è che un finale del genere cambi il giudizio su un progetto e su un allenatore come Di Francesco. Semmai l’impresa l’ha fatta l’Empoli, con una partita enorme e disperata contro una Roma di altra categoria ma con il morale basso per l’esclusione dalla Champions, trovando con Niang un gol storico in molti sensi. Anche in quello di poter giocare il quarto campionato di fila in Serie A, cosa mai riuscita al club da 33 anni magnificamente gestito da Fabrizio Corsi. Un’altra impresa per Davide Nicola, che per una volta nella vita meriterebbe una squadra dalle ambizioni superiori e presa in mano in estate, un’altra impresa di un Empoli senza santi in Paradiso e con un bacino d’utenza appassionato ma limitato. Una realtà non fa tragedie di fronte alla spesso inevitabile retrocessione e che continua a formare giovani per le nazionali, mentre altri ne parlano e basta. Salva anche l’Udinese, Cannavaro non aveva grandio referenze se non le glorie da calciatore, ma le sue chance se le è giocate alla grande in queste 5 partite.

 

L’Atalanta ha continuato ad onorare lo sport pur essendo già sicura del posto in Champions, asfaltando il Torino che per la Conference deve mercoledì tifare Fiorentina. Le demenziali regole UEFA avevano messo in mano a Gasperini il destino europeo della Roma, in più la Lega ci ha messo del suo non facendo giocare le partite in contemporanea. È chiaro che il cosiddetto ‘sistema’ avrebbe avuto convenienza ad avere un’Atalanta quinta, quindi con clamorosi 6 posti nella rinnovata Champions a 36 squadre, ma è evidente che di questo sistema l’Atalanta non fa parte: perché mettersi a fare favori, oltretutto antisportivi, che non verranno mai restituiti? 

 

Al di là degli incastri di calendario non c’è dubbio che la Roma abbia finito in calando una stagione stranissima, con cambi dirigenziali importanti ed un piazzamento da Europa League che veniva ottenuto anche in stagioni considerate disastrose. L’effetto De Rossi è un’invenzione giornalistica e nemmeno di tutti i giornalisti, ma soltanto di quelli che imputano a Mourinho tutti i mali del mondo. L’ex Capitan Futuro ha preso in mano la squadra il 16 gennaio, dopo la sconfitta con il Milan a San Siro, con una Roma nona, 3 punti sotto il Bologna e 4 sotto l’Atalanta. Adesso, complice il crollo del Napoli, ed il calo di Lazio e Fiorentina e Lazio, il piazzamento è migliorato ma questi punti di distacco sono diventati 6 e 5. De Rossi ha però di sicuro portato un clima migliore, dentro e intorno alla Roma, insieme a qualche cambiamento tattico. Complice un buon calendario ha migliorato subito la classifica, facendo bene in Europa League eliminando il Milan e uscendo in semifinale con il Bayer Leverkusen, ormai descritto come una specie di Real Madrid ma i cui ingaggi sono due terzi di quelli della Roma. Di sicuro De Rossi ha dimostrato di essere un allenatore, con in più il patrimonio di amore dei tifosi che arriva dalla sua storia, anche familiare. Ma dire che, paragonato a Mourinho, abbia spiegato calcio è un po’ esagerato. E non è un caso che la Roma degli ultimi anni sia quasi abbonata al sesto posto, a prescindere dalle circostanze, con l’ultima qualificazione Champions che risale ai tempi di Di Francesco, in un contesto molto diverso. 

 

Chiusura in tono minore per Leonardo Bonucci, a 37 anni, da riserva poco giocante nel Fenerbahce, al termine di una stagione iniziata litigando con la Juventus, visto che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimanere, proseguita con l’Union Berlino fra pochi alti e molti bassi, e chiusa in Turchia. Questo finale nulla toglie alla carriera di Bonucci, colonna della Juventus dominatrice degli anni Dieci e della Nazionale di Euro 2020, con 9 scudetti (il primo, dal punto di vista però solo statistico perché era un Primavera, quello assegnato all’Inter dopo Calciopoli) e tutto il resto. Non ha mai goduto della buona stampa del più furbo e uomo di calcio Chiellini, altra colonna di una Juventus che iniziò a vincere con Conte in panchina, ed in generale non è stato Scirea, ma è uno di quei difensori detestati dagli avversari che un tifoso vorrebbe sempre avere nella propria squadra. Troppa personalità per fare l’allenatore in un mondo di finti umili, magari ci sorprenderà come commentatore.  


26 maggio 2024

Le migliori canzoni dei Le Vibrazioni

La morte di Giulia Tagliapietra, cioè la Giulia di Dedicato a te, è il triste pretesto per proporre la partecipazione dei Le Vibrazioni al Festival di Indiscreto. Il gruppo milanese con Francesco Sarcina come leader ci sarebbe entrato lo stesso, beninteso, grazie a vent'anni di canzoni spesso eccellenti e di grande coerenza nel fare un rock melodico mantenendo un proprio stile inconfondibile. In ordine cronologico la prima delle loro tre canzoni in gara è proprio Dedicato a te, del 2003, con cui Sarcina, Stefano Verderi, Alessandro Deidda e Marco Castellani svoltano davvero, dopo un lungo periodo a suonare nei locali milanesi.

Impossibile non ricordare il video, che ha due versioni (con due Giulia diverse), video parodiato o copiato da tanti, che fra le altre cose mostra quanto sia brutta la zona dei Navigli. "Ma questo è dedicato a te - Alla tua lucente armonia - Sei immensamente Giulia! - Il tuo nome è come musica - Mi riempie non mi stanca mai - Dedicato solo a te - Giulia": parole che aprono una stagione di grandi successi, molti dei quali contenuti nello straordinario album d'esordio, Le Vibrazioni, sempre del 2003. Su tutti Vieni da me, anche questo con testo e musica di Sarcina. Nel 2005 la prima delle loro quattro partecipazioni a Sanremo come concorrenti, con Ovunque andrò, nel 2018 dopo uno scioglimento di 5 anni la seconda con Così sbagliato, la canzone che di fatto segna la loro reunion.

Canzoni che come quasi tutte quelle dei Le Vibrazioni hanno un buon riscontro, ma senz'altro inferiore a quello enorme di Dov'è, con cui nel 2020 partecipano al primo dei Festival condotti da Amadeus, arrivando quarti con questo brano scritto da Sarcina ma questa volta in collaborazione con altri, cioè Roberto Casalino e Davide Simonetta. Di sicuro Le Vibrazioni sono il classico gruppo schiacciato dal talento del frontman, che nel loro caso è anche autore, una situazione alla Negramaro, ma va detto che la carriera solista di Sarcina (con anche una partecipazione a Sanremo) non è stata niente di che e che quindi nella storia della musica italiana ci sono Le Vibrazioni.


24 maggio 2024

Chi vincerà il Roland Garros 2024

 Chi vincerà il Roland Garros 2024? Il sorteggio dei tabelloni ci dice giusto, al massimo, chi può fare strada fra i giocatori di media cilindrata, ma tutti i giocatori che possono teoricamente vincere sono per motivi diversi in maschera: dal favorito, almeno secondo Eurobet, Carlos Alcaraz a 3.50 a Sinner dato a 4.00 (quota troppo bassa anche per con un Sinner sano e con la Kalinskaya a debita distanza), dal Djokovic post-borraccia che si sta scaldando a Ginevra dato a 4.25 al vincitore di Roma Zverev, entrato a sua insaputa nel mondo di Corona, e che al primo turno troverà i resti e l'orgoglio di Nadal. Detto che non scommettiamo mai antepost ma siamo tossici del day by day, troviamo di grande valore la quota di Tsitsipas a 11.00: il vincitore di Monte Carlo nella parte bassa del tabellone potrebbe sfruttare i guai fisici di Alcaraz e Sinner, che comunque può battere anche da sani, e giocarsela in finale con chiunque, anche con questo Djokovic indecifrabile, non ancora in declino ma un po' lontano con la testa.

Il tabellone femminile è secondo molti una marcia verso una nuova puntata del Clasico Swiatek-Sabalenka, con la mini-Graf polacca ovvia favorita: bassissima, 1.60, la quota della sua vittoria finale nel torneo, contro il 5.50 della bielorussa che ha superato bene, anche troppo, il suicidio del fidanzato a Miami. Noi quest'anno siamo fissati con la Collins (ma perché si dovrebbe ritirare? Non lo sa che la vita è una merda?), centratissima e cazzuta come non mai, troviamo molto interessante il suo 21.00 anche se teoricamente avrebbe la Swiatek nei quarti. 21.00 che è anche la quota della sensazionale, ma forse non ancora pronta, Mirra Andreeva.

Venendo alle scommesse di giornata, troviamo che attualmente le distanze fra Ruud e Cobolli, che alle 16 si incontreranno in semifinale a Ginevra, siano meno grandi di quanto dicano le quote. Scommetteremo quindi 12 euro su Cobolli a 5.30(quota del limitato Betfair italiano), con il solito schema (puntare ad un guadagno di 50 euro a partita, qualsiasi sia la quota). Attenzione anche alle semifinali di Lione: ci godremo senza scommettere Mpetshi Perricard, che davvero sembra uscito da altri decenni, contro Bublik, e prima cavalcheremo Darderi, sfavorito a 2.44 contro Etcheverry ma che secondo noi può fare partita pari: quota sbagliata e 35 euro sull'italo-argentino.

stefano@indiscreto.net


23 maggio 2024

Redditometro sì o no?

 Redditometro sì o no? Giorgia Meloni ha detto no, sospendendo il decreto del viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, varato il 7 maggio e pubblicato lunedì sulla Gazzetta Ufficiale (che non è quella di Marotta). Decreto che fra le altre volte riportava in vita appunto il redditometro, strumento fiscale con una storia di oltre mezzo secolo, iniziata nel 1973 con Visentini (non quello del golpe di Sappada) e proseguita fra stop e reintroduzioni, con situazioni quasi incredibili, visto che fu Berlusconi nel 2010 a riportarlo in vita. Riformato da Renzi, è stato di fatto sospeso dal secondo governo Conte per un motivo tecnico mai davvero chiarito (traduzione: anche i 5 Stelle contano sui voti di chi lavora in nero), con il decreto attuativo che è stato rimandato fino ai giorni nostri ed all'iniziativa di Leo, da non confondersi con il più noto Edoardo, presenza fissa nel cinema romano, pardon italiano.

Che cos'è il redditometro? È uno strumento di accertamento del reddito, che ricostruisce o presume il reddito attraverso l'analisi di una serie di spese. Semplice, no? Non tanto, perché dipende da quali spese si prendono in considerazione. Ville, barche, auto di lusso? Oppure quasi tutte le spese tracciabili, come indicato nel redditometro adesso sospeso, dagli abbonamenti alla pay-tv ai viaggi aerei? Va detto che molte delle spese elencate sarebbero detraibili (cioè sottraibili dall'imposta lorda) o deducibili (cioè sottraibili dal reddito complessivo), ma è evidente che per chi è un evasore totale di un certo tipo il vantaggio fiscale vero è quello di non dichiarare niente.

La battaglia politica sul redditometro è scontata: da una parte Lega e Forza Italia che dicono di tutelare libertà e privacy (quindi l'evasione, in pratica), condizionando Fratelli d'Italia che non vuole perdere quel tipo di voto, dall'altra i 5 Stelle che sono forti al Sud dove il nero è dominante (il doppio che al Nord, secondo la CGIL) ed il PD che attacca la destra ma non gli italiani ladri, che sono il vero problema anche per questioni più gravi come la tragedia epocale del Superbonus edilizio. Redditometro sì o no, dunque? La nostra posizione non è sfumata, visto che siamo circondati da persone con ISEE taroccato che ci passano davanti, al di là dell'IRPEF che ricade tutta sulle spalle di chi la paga. Se il finanziere vede che siamo abbonati a DAZN cosa ce ne frega?

stefano@indiscreto.net


Quanto costa DAZN


Quanto costa DAZN? Sui 25 euro al mese, a fare i furbi. 9 euro se interessa soltanto la pallacanestro. Purtroppo questo non è un post pubblicitario né una marchetta, ma banalmente la domanda che ci facciamo ogni fine campionato di Serie A, con davanti tre mesi di nulla calcistico a livello di club. Certo si può mettere l'abbonamento in pausa per due mesi, ma siamo così pigri che non l'abbiamo ancora fatto. E conoscendoci prevediamo le bestemmie quando il 6 giugno da PayPal scopriremo di avere pagato il solito 40,99 euro mensile (ma perché non il 39,99 scritto sul sito?) per l'abbonamento Standard, cioè quello che consente di utilizzare due dispositivi in contemporanea ma soltanto se collegati alla stessa rete.

Poi nella nostra famiglia nessuno, a parte noi, guarderebbe Udinese-Empoli (come abbiamo fatto) o Varese-Scafati di basket (fatto anche questo), ma i due dispositivi sono comunque una possibilità. Va anche detto che legandosi per 12 mesi l'abbonamento costerebbe 34,99 al mese e che pagando 359 euro in un'unica soluzione si scenderebbe di fatto 29,99 euro mensili. DAZN Plus, che consentirebbe di guardare in contemporanea da due reti diverse (quindi in pratica di condividere un abbonamento, anche se formalmente non è così) costa invece 59,99 euro al mese, che con il pagamento in un'unica soluzione, 599 euro, verrebbe a costare 49,9 euro. Ecco quindi da dove nascono i 25 euro a testa (di cazzo).

Per chi fosse interessato soltanto alla pallacanestro (Serie A e coppe europeee) e a quella poca NFL che ormai fanno per chi non compra il Pass, c'è DAZN Start a 8,99 euro al mese. Un prezzo, quest'ultimo, quasi uguale al 9,99 euro al mese per avere tutto (calcio compreso) che pagavamo nel 2019, quando ci abbonammo per la prima volta. Sapete come la pensiamo sul prezzo dei beni e dei servizi non di prima necessità: qualsiasi discussione sui prezzi è demagogica, il prezzo giusto è quello che uno è disposto a pagare. Non c'è un valore intrinseco nella Kelly di Hermés, da giustificare i 10.000 euro, così come non c'è alcun valore o prezzo indiscutibile per DAZN. La nostra domanda è più terra terra: per la stagione 2024-25 vi abbonerete a DAZN? Noi con la fragile giustificazione del lavoro lo faremo, ma se fossimo liberi ci basterebbe Sky Sport.

Poi il discorso filosofico è sempre lo stesso. Avendo avuto la fortuna, perché è stata una fortuna, di essere cresciuti in un'era analogica ancora ci rendiamo conto di quanto questi microabbonamenti e servizi, anche quelli gratuiti o presunti tali, divorino tempo e soprattutto attenzione. Che dal 2000 ad oggi è calata, nella media, da 12 a 8 secondi, in pratica di un terzo. Non è colpa di DAZN, ovviamente, anzi quando appare in video Diletta Leotta la concentrazione supera gli 8 secondi, ma del nostro atteggiamento, con un bisogno di essere sempre iperstimolati: perché anche quando leggiamo un libro diamo ogni tanto un'occhiata al telefono? Il fatto di rendercene conto è un'aggravante. Detto questo, stiamo per sbloccare Anime Generation.

stefano@indiscreto.net

22 maggio 2024

Conti o Amadeus?

 Carlo Conti o Amadeus? Carlo Conti condurrà l'edizione 2025 del Festival di Sanremo e anche quella 2026, adesso è ufficiale dopo che per settimane, dopo la firma di Amadeus per Discovery, il totonomi ha tirato fuori di tutto fino a una teorica finale fra la sicurezza data da Conti, come credibilità e come ascolti, e la relativa novità di Alessandro Cattelan o Stefano De Martino (il vero mistero italiano, altro che Mattei o Moro), a seconda che la RAI puntasse a buone critiche o al target di Amici. Alla fine ha prevalso la scelta più logica, visto che Conti nel nel triennio 2015-2016-2017 aveva rilanciato il Festival che con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto aveva toccato il punto più basso dell'era moderna: la serata finale del 2014 è la meno vista da quando esiste l'Auditel.

Carlo Conti che presenta Sanremo 205 e 2026, quindi, con la prevedibile overdose di comici e personaggi toscani (Panariello che imita Renato Zero, Ceccherini che dice 'topa' e 'si tromba', Pieraccioni che presenta il nuovo film), con la sua giustificata antipatia verso i rapper-trapper e con la sua idea, giusta, che occorrano ospiti internazionali che di professione facciano i cantanti, non attori bolsi che vengano a smarchettare. Ricordiamo che nei suoi tre Sanremo si sono visti fra gli altri Imagine Dragons, Spandau Ballet, Ed Sheeran, Elton John, Ricky Martin, Robbie Williams… Poi raramente i picchi di ascolto sono sulle canzoni, ma è un altro discorso.

Il nostro Di qua o di là è quindi semplice, come noi che ogni anno aspettiamo Sanremo per vivere la nostra settimana di follia pop: chi è il conduttore ideale di Sanremo? Quello al quale daremmo l'incarico se fossimo direttore generale della RAI... Carlo Conti o Amadeus? Proponiamo anche altri nomi che sono circolati e gettiamo subito la maschera: noi vorremmo Pippo Baudo, la valletta bionda e la valletta bruna, nessun ospite non musicale, il palcoscenico pieno di fiori perché nelle sue versioni recenti sembrava di essere a X Factor. Vorremmo vedere rispettata l'Italia che sogna Sanremo e non quella che lo disprezza ma trova utile farsi pubblicità di fronte a 15 milioni di telespettatori. Conti o Amadeus?


21 maggio 2024

Taxi o Uber?

 Taxi o Uber? Nel giorno dello sciopero dei taxi, che potrebbe essere replicato a breve, proponiamo un Di qua o di là che già avevamo proposto dieci anni fa (come passa il tempo...) ai tempi in cui sembrava che Uber Pop potesse davvero essere il futuro, o comunque un'alternativa al classico taxi. Non tanto per una questione di prezzi quanto, banalmente, perché molto spesso i taxi non sono abbastanza per reggere la richiesta che in molte città italiane sta esplodendo, per diversi motivi: boom di turisti nel post-Covid, minor numero di persone (soprattutto giovani) che guidano o con patente di guida, maggior numero di anziani soli, tante limitazioni green alla circolazione e al parcheggio delle auto private.

La versione di Uber attualmente esistente in Italia non è quell'Uber Pop (che in estrema sintesi permetteva a chiunque di fare il tassista, senza licenza), ma Uber Black, che in sostanza è soltanto un modo diverso per prenotare gli NCC (Noleggio con conducente), la cui attività è soggetta a licenza e ad una serie di regolamentazioni. In ogni caso stiamo parlando di un numero ancora insufficiente di auto (saremo sfortunati, ma da qualche mese stiamo facendo code galattiche anche senza eventi particolari) e comunque con prezzi che ne sconsigliano l'uso frequente, almeno a chi ha un reddito normale o non può scaricare fiscalmente la spesa.

La nostra domanda in dieci anni non ha quindi perso di attualità, anzi. Banalmente basterebbe che i comuni concedessero più licenze, resistendo alle proteste dei tassisti, che la loro licenza l'hanno ereditata o pagata (a Milano vale sui 180.000 euro, un amico ha da poco fatto l'investimento), ma permettendo agli utenti di servirsi di un servizio in qualche modo regolato. La realtà dice però altro e quindi il derby è come al solito fra la conservazione del piccolo mondo antico ed il turbocapitalismo, declinato in un destra-sinistra deteriore (nell'immaginario collettivo tassista mediamente evasore di destra, cliente mediamente fighetto di sinistra), con il cittadino medio, quello attento ai 10 euro, a sfidare le insidie dei mezzi pubblici notturni. Taxi o Uber? Più direttamente: qualunque persona che abbia la patente deve poter fare il tassista?


20 maggio 2024

Buona camicia a tutti


Oscar Eleni
 in posa da serpente sotto il salice solitario che a 10 metri dalla riva nel lago neozelandese Tanaka richiama più spettatori che certe partite. In troppi sport si rosica per risicare il risultato, firmare contratti, salvare la pelle, il posto. Adesso nel basket hanno inventato il catenaccio Messina alla vigilia di una semifinale contro Brescia che potrebbe diventare la fatal leonessa per i pitoni di casa Armani. Nei giorni del tripudio interista e delle piume sparse dove cercare la proprietà del biscione, delle angosce per Sinner, riscoprendo il ciclismo con il fenomeno Pogacar che non soffre, ma sa sorridere mentre lascia nella polvere avversari e miti, contenti che anche Jacobs abbia ritrovato il piacere di stare più in pista che in sala biscotti, urlando al mondo che adesso abbiamo anche una campionessa di judo come la Giuffrida, addolorati per l’addio a Peccedi l’anima della valanga di Cotelli nel grande sci.

Mondi che si incrociano e schivano il peso gettato sempre più lontano del tifosissimo viola Leo Fabbri mentre i paginoni sono tutti per lo spogliarello di Max Allegri che si è volontariamente firmato il licenziamento nella recita all’Olimpico mentre la sua  ultima Juventus vinceva l’ennesima Coppa Italia. I baskettari indignati devono aver scritto lettere infuocate al livornese che adesso troverà il tempo per discutere con Jokic negli ippodromi italiani dopo che il tre volte MVP della NBA ha detto che non è sicuro di andare alle Olimpiadi, appena Minnesota ha eliminato i Nuggets campioni nello stesso giorno in cui chi tifava Knicks, la New York del senatore Bradley, si è trovato fuori gioco in gara sette contro Indiana.

Ma torniamo agli indignati fra i canestri che giustamente ricordano che nel Bagaglino dello sport il primo a strapparsi le camicie, inseguire arbitri, allontanare chi voleva salire sul carro del vincitore dopo avergli detto di tutto è stato il Gianmarco Pozzecco che adesso recita ogni sera un rosario speciale pensando alla difficile qualificazione olimpica in Portorico con la nostra nazionale che dovrà uscire da un campionato dove di veramente italiano c’è soltanto l’inno suonato o cantato prima di ogni partita. Capiamo Allegri e il suo sfogo perché allenare, insegnare, vivere in una squadra vera, è proprio difficile se a comandare sono le curve frastornate, i dirigenti che assomigliano soltanto ai padri infuriati delle partite nei tornei giovanili, gente che magari è pure ricca, ma di sicuro ragiona con la pancia e poco con il cervello.

Sarà per questo che tanti giocatori si viziano e si perdono nel privato, strafottenti anche verso i compagni di squadra, mai colpevoli del passaggio sbagliato, del tiro a pene di segugio, della difesa dimenticata perché devono mettersi la cipria. Ne abbiamo viste tante e molti allenatori hanno pagato perché non tutti hanno il tocco magico, la pazienza e la fortuna come predicava Arrigo Sacchi benedicendo Carlo Ancelotti o Pep Guardiola plurititolati di fresco a Madrid e Manchester. Ve lo diranno persino i grandissimi, cominciando dal Velasco che battendo la Turchia ha ritrovato il piacere di stupire mentre il Santarelli che ha vinto tutto, stupendo il mondo, adesso, magari, sentirà qualche critica.

Nei campionati che arrivano a premiare le squadre migliori anche il basket si avvicina alla grande scelta ma è sbalordito vedendo che la Virtus Segafredo domani e Venezia, nel lunedì dei barbieri, dovranno fare bene in gara cinque per eliminare Tortona e Reggio Emilia che già meritano una stella nel paradiso della stagione esagerata, in un campionato che pensava al dominio incontrastato delle sue regine di Milano e Bologna e scopre, invece, che fatica, infortuni, scelte sbagliate, hanno trascinato vicino al salice solitario pure Armani e la Segafredo che non sa bene come sarà il suo futuro, economicamente parlando.

Basket che nel ventinovesimo glorioso anno di vita del grande Varenne vedrà da domenica una disfida lombarda dove i cavalieri di Armani saranno pesati e valutati davvero da Brescia in versione Leonessa, quella che Magro ha ritrovato dopo tanti tormenti. Per la verità i credenti del messianesimo sono sicuri che anche l’Armani, dopo lo scivolone sulla banana trentina, ha forse sentito la voce saggia del maestro Gamba e ora lo spogliatoio e  quelli che vanno in campo sembrano davvero una  squadra dove ci si aiuta, ci si passa la palla, si soffre insieme. Un problema che sembrano avere ancora invece la Segafredo Virtus e la Reyer, anche se la malattia se la sono presa in modo differente. Diciamo che l’individualismo ha reso meno solida una Venezia che certo ha più debolezze strutturali rispetto alla regina bolognese.

La Virtus ci aveva incantato nei giorni in cui tutti, ma proprio tutti, dalla proprietà ai giocatori, non vedevano l’ora di dimostrare a Scariolo che non erano così deboli come temeva don Sergio e bisogna dire che grazie al Banchi, il grossetano cresciuto nella magnificenza senese, una guida sicura con tacche importanti sulla sua pistola, un allenatore di assoluta qualità, per mesi ce la siamo goduta questa Virtus che aveva sbagliato soltanto in coppa Italia contro la Reggio Emilia cresciuta così bene e che adesso tormenta  Venezia. Nella Virtus che ci piaceva non tutti cercavano di avere i riflettori di mastro Belinelli, non tutti pensavano di essere  al centro dell’attenzione come Shengelia, mentre tutti, invece, sapevano che la debolezza al centro andava aiutata dal lavoro di squadra. Gara quattro a Tortona ci ha detto che qualcosa si è rotto nel meccanismo squadra, vedremo se la cura rapida avrà ridato il senso delle proporzioni ad un gruppo  che quando ricorda di esserlo ha saputo divertire e fare grandi risultati. Magari martedì quando avremo le semifinaliste anche nella parte est del tabellone torneremo a discutere perché se da sabato non saranno Bologna e Venezia a giocarsi un posto per la finale tricolore allora qualcuno sarà già davanti ai giudici popolari.

Pagelle piangenti dal salice neozelandese.

10 Al BELINELLI mvp del campionato soprattutto se riuscirà a risvegliare una Virtus dove in troppi cercano di imitarlo, partendo dalla difesa. Tutti giusti i premi di Lega anche se avremmo aspettato la fine per eleggere i padroni della stagione.

9 A TRENTO per come ha costruito questa bella stagione, molto faticosa, difficile se hai una rosa limitata. Bravo Corti a dirigere da fuori, bravissimo GALBIATI nel guidare uno staff  tecnico vivace ed energico.

8 Per PISTOIA che ha lasciato la scena abbracciata al suo bellissimo popolo sulle tribune, imparando anche nella sconfitta contro una Brescia che ha ritrovato nella casa di Brienza quello che ad inizio stagione faceva paura a tutti.

7 Alla coppia italiana BALDASSO e CANDI che hanno costretto la Virtus a gara cinque lavorando al meglio agli ordini del granduca DE RAFFAELE che ha messo le basi per un futuro vero nella cittadella dei Gavio e nel nuovo palazzo a Tortona.

6  Agli ALLENATORI che saranno in grado di dare a POZZECCO giocatori con energie per  sopportare il tremendo preolimpico fra Portorico e orchi lituani.

5 Ai DISPERATI che si sono messi in gramaglie perché le ragazze della nazionale 3 contro 3 non si sono qualificate per le Olimpiadi. I problemi del settore sono ben altri, come del resto quelli che ha il basket maschile, anche se tutti fingono che sia sempre festa.

4 All’EUROLEGA che ha osato confermare le finali di Berlino negli stessi giorni in cui il sontuoso basket italiano, con la benedizione federale e legaiola, manderà in campo le sue finaliste. I giornali sono già stai avvertiti: brevi da Berlino, spiegazioni  al cloroformio per le “battaglie” nazionali.

3 Alle PATTINATE su troppi campi dove i giocatori rischiano di farsi male seriamente. Umidità, calduccio, bagnaticcio. Si dovrebbe fare attenzione, ma già, gli arbitri hanno i loro problemi nei sei sette minuti di sosta media davanti al video magari per una rimessa sul meno venti.

2 Ai giocatori della REYER se dovessero fare soltanto da spettatori in semifinale mentre le ragazze di MAZZON sono così vicine allo scudetto nella finale contro SCHIO.

1 Agli ARBITRI per evitare che anche nel basket ci sia qualcuno che si strappa la felpa o la giacca chiedendo di parlare con il designatore. Chiarire subito sui blocchi e sui contatti perché in una partita prevale il piumino e in un’altra l’accetta. Già si straparla di avversari con sei giocatori, già si preparano crociate per far diventare bolgia tipo Atene  o Belgrado, dove la Stella Rossa  ha battuto il Partizan, il nostro campionato con statuine che costano troppo caro.

0 A tutti i CAMPIONI che hanno già detto no all’Olimpiade, a quelli che ancora tentennano, a quelli che fingono di dover rinunciare  per colpa di chi nei nuovi contratti li obbligherebbe a riposare invece che servire  il movimento dove sono cresciuti.  Certo in Italia, purtroppo, non sono tantissimi, ma almeno obblighiamoli ad una sana vecchiaia in azzurro.

Oscar Eleni

Zhang o Oaktree?

 Steven Zhang o Oaktree Capital Management? Scusate, come lo scorpione della favola non neghiamo la nostra natura e proponiamo un Di qua o di là sull'Inter, ma non soltanto sull'Inter, prima di sapere come andrà a finire e quindi per fare del semplice bar. In questo momento è difficile pensare che in tre ore Zhang trovi soldi che non ha trovato in tre anni in modo che la sua Grand Tower, la società lussemburghese che controlla l'Inter, non perda l'Inter stessa data in pegno a Oaktree per il finanziamento (a Grand Tower) di 275 milioni più interessi. Comunque vada a finire, una situazione che ha alimentato il festival del sedicente insider, come se fossero molte (e tutte italiane e presenti su Twitter, casualmente) le persone a conoscenza delle strategie di grandi società finanziarie o dei fondi sovrani.

Della vicenda ci incuriosisce soprattutto il mantra "Comunque vada, per l'Inter non cambierà niente". Ma è davvero così? Un fondo ha le stesse logiche di un proprietario sul piano personale alla canna del gas? No, non è lo stesso la risposta l'hanno già data, stando alla finestra per i prolungamenti, diverse persone da Simone Inzaghi in giù. Facile il confronto con il Milan di Elliott, che di fatto raccolse il Milan da uno scoglionato Berlusconi (che poi avrebbe messo quasi 200 milioni nel Monza), formalmente dal traghettatore Yonghong Li. L'ultimo Berlusconi, quello dal 2012 in poi, era meglio o peggio di Elliott? Non sono domande retoriche, infatti ogni tifoso ha una risposta diversa.

Il nostro Di qua o di là è quindi come al solito sempre un po' filosofico. Meglio un padrone, più o meno disposto a spendere (in 8 anni Suning ha messo nell'Inter circa 600 milioni, escludendo sponsorizzazioni della casa se no il totale sarebbe più alto), o un'entità quasi astratta come un fondo o un gruppo di investitori legati ad una gestione equilibrata? È puro bar, perché ormai nemmeno Zhang ha il controllo della situazione e quindi figuriamoci gli insider della mutua. Se foste, in realtà o teoricamente, tifosi dell'Inter: Zhang o Oaktree? Zhang o qualunque altro padrone, beninteso.


19 maggio 2024

Elkjaer al Verona


Una data fondamentale del calcio anni Ottanta è quella del 19 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri. Quando il Verona acquistò Preben Elkjær-Larsen, per tutti noi Elkjaer, dal Lokeren. Un colpo da un miliardo di lire, per il solo cartellino, arrivato pochi giorni dopo il dispiacere per avere perso Iorio alle buste con la Roma ed in un momento in cui sembrava che Galderisi potesse tornare alla Juventus. Quella sera Elkjaer fu anche straordinario protagonista nella vittoria della Danimarca sul Belgio all'Europeo, un torneo ad 8 squadre ben diverso dall'attuale formula 'cani e porci'. Al Belgio guidato da un diciottenne Scifo, sedotto e abbandonato da Bearzot, per qualificarsi alle semifinali sarebbe bastato un pareggio, ma in vantaggio per 2-0 si fece rimontare dalla nazionale di Piontek, con il 3-2 firmato proprio da Elkjaer con una grande azione personale in una partita che ci gustammo minuto per minuto ad Albisola, dove come da nostro costume scroccavamo le vacanze a casa degli amici e dove eravamo barricati in casa per un diverbio di uno del nostro gruppo con alcuni tamarri locali (ad Albisola!), un superclassico delle vacanze degli adolescenti milanesi e romani. Ma tornando a Elkjaer, i competenti e forse anche gli incompetenti sanno quanto sarebbe stato importante nello scudetto del Verona, nei 9 anni magici della Serie A, 1982-1991, 7 squadre diverse per 9 scudetti ed un hype, merito anche del Mondiale 1982, irripetibile.

Le migliori canzoni di Amedeo Minghi


 Nei giorni scorsi Amedeo Minghi ha avuto critiche e consensi per i suoi giudizi ironici sull'Eurovision 2024, che volevano sottolineare un tema serio e cioè quella sorta di pensiero unico da cui un artista non può derogare, se non vuole entrare nel mirino degli intolleranti. L'attualità è però soltanto un pretesto per inserire Minghi un Festival di Indiscretoche ha come stella polare la divisività, un festival in cui sarebbe stato inserito comunque per la durata e la qualità della sua carriera di interprete e di autore. Una carriera iniziata a metà degli anni Sessanta, con tanti riconoscimenti da parte degli addetti ai lavori, con la vera svolta che però avviene soltanto nel 1983, quando il musicista romano ha già 36 anni.

Minghi quell'anno partecipa al Festival di Sanremo con 1950, la sua canzone che ha amato di più. Musica di Minghi stesso e testo di Gaio Chiocchio, 1950 viene eliminata il venerdì, ai tempi la seconda serata, e non partecipa alla finale. Un clamoroso errore di valutazione di una giuria poco ispirata (Vasco Rossi con Vita spericolata arriva venticinquesimo), una canzone che racconta meravigliosamente lo spirito dell'Italia del dopoguerra ("La radio trasmetterà, la canzone che ho pensato per te. E forse attraverserà, l'oceano lontano da noi. L'ascolteranno gli americani, che proprio ieri sono andati via. E con le loro camicie a fiori, che colorano le nostre vie. E i nostri giorni di primavera, che profumano dei tuoi capelli") in cui Minghi è cresciuto.

Lì Minghi diventa un personaggio davvero popolare, proseguendo sulla strada del successo e trovando un'altra canzone eterna nel 1989: La vita mia, musica di Minghi e testo di Vanda Di Paolo. Nel 1990 i tempi sono maturi per la sua seconda presenza a Sanremo come concorrente: ci va in coppia con Mietta, con una canzone scritta sempre da lui, questa volta con il testo di Pasquale Panella. Vattene amore arriva terza dietro ai Pooh e a Toto Cutugno, ed entra subito nella testa degli italiani con il suo ritornello pazzesco ("Magari ti chiamerò.  Trottolino Amoroso, Dudu dadadà. Ed il tuo nome sarà, il nome di ogni città. Di un gattino annaffiato che miagolerà. Il tuo nome sarà su un cartellone che fà della pubblicità"). Minghi scriverà poi tante altre cose notevoli e oggi non ha ancora smesso, pur venendo ghettizzato nel ruolo del 'cantante cattolico', che gli ha dato tante soddisfazioni (anche quella di esibirsi davanti a Giovanni Paolo II) ma che ha anche indotto tanti critici a trattarlo con sufficienza.

17 maggio 2024

Allegri o Vaciago?

 Massimiliano Allegri o Guido Vaciago? L'ormai ex allenatore della Juventus o il direttore di Tuttosport? I fatti avvenuti all'Olimpico dopo la vittoria della Juve nella finale di Coppa Italia sono stati raccontati dalle parti in maniera un po' diversa, con Allegri che ha anche messo in mezzo (e visti i soldi in palio si capisce perché) l'avvocato, ma nella sostanza si può dire che un Allegri già alterato, dopo il lancio della giacca, le urla contro Maresca e i gesti contro Giuntoli, incrociando Vaciago lo abbia apostrofato in maniera poco simpatica ("Direttore di merda" secondo il giornalista, "Direttorino dei miei coglioni" secondo altre fonti), facendo seguire un invito ("Scrivi la verità sul tuo giornale, non quello che ti dice la società. Smettila di fare le marchette con la società") e una minaccia ("Guarda che so dove venire a prenderti. So dove aspettarti. Vengo e ti strappo tutte e due le orecchie. Vengo e ti picchio sul muso").

La causa dello sfogo di Allegri è evidente: da quasi due anni ritiene di essere il capro espiatorio ideale per i tifosi, per la nuova dirigenza che ormai tanto nuova non è, e per i giornalisti. Magari non tutti i giornalisti, visto che ce ne sono tanti che anche lo difendono acriticamente, senza contare quelli che amano Allegri come icona di un presunto calcio di una volta (all'opposto c'è chi ha il santino di De Zerbi, infatti Adani si è subito palesato sui social network). In altre parole, le nostre, Allegri ritiene di essere stato attaccato al di là dei suoi demeriti (ma ci sembra che Tuttosport sia il bersaglio sbagliato, se il problema è questo) e che tutto questo sia stato ispirato, o lasciato fare, da Elkann in giù, per liberarsi dell'ultimo simbolo dell'era di Andrea Agnelli. Con gli allenatori dei grandi club, non soltanto la Juventus, funziona così: padri della patria e fini strateghi fino a un minuto prima di essere trattati da incapaci e bolliti.

Da parte sua, Vaciago ha avuto buon gioco nell'invitare Allegri a raccontare queste fantomatiche verità nascoste. Che tutto sono tranne che nascoste: Allegri avrebbe avuto pochissime, quasi zero, possibilità di rimanere anche mantenendo il passo della prima parte della stagione, con il corto muso e tutto il resto. Ma al di là dell'episodio, che potrebbe avere effetti anche sulla transazione fra l'allenatore e la Juventus, a noi interessa il discorso generale: Allegri, diciamo l'Allegri degli ultimi anni, è stato criticato dai media al di là dei suoi demeriti? Allegri o Vaciago? Essendo una domanda semplice, come il calcio secondo Allegri, rinunciamo all'opzione De Zerbi che sarebbe quasi provocatoria.


Cosa ce ne frega di Jarry-Paul


Le semifinali Zverev-Tabilo e Jarry-Paul sembrano studiate apposta per cacciare il pubblico dagli Internazionali d'Italia di tennis, se non fosse che gran parte di questo pubblico il biglietto lo ha già comprato. Sperando, per l'albo d'oro di Roma, che vinca Zverev (ma mentre pubblichiamo questo post ha perso il primo set...), la nostra considerazione è scontata ma non per questo meno fondata: i Masters 1000 combined con l'equivalente femminile e spalmati su 12 giorni, di fatto due settimane come gli Slam ma con un tabellone a 96 giocatori, stanno stancando anche il pubblico più motivato, figuriamoci quello calciocentrico del tipo 'Sinner o niente'. Stiamo parlando di Indian Wells, Miami, Madrid, appunto Roma e Shangai, con presumibile aggiunta futura degli altri in una corsa al gigantismo che porta ad infortuni, è vero, ma soprattutto a ritiri preventivi.

Una situazione che non piace ai giocatori più forti, come sottolineato da Ubaldo Scanagatta, che a volte viene neutralizzata dallo stato di forma di qualcuno di loro ma che più spesso genera tabelloni con molti buchi. Dati tutti i meriti del caso a Tabilo, che a Madrid aveva perso da Cobolli, a Jarry che con Tsitsipas ha fatto una rimonta pazzesca (per come stava giocando il greco, anche) e alla grande stagione di Paul che è pur sempre il 16 del mondo, la nostra considerazione è che il calendario attuale ed i sogni di gloria, quinto Slam e dintorni, di tanti Masters 1000, sono basati sul mondo irreale di Federer, Nadal e Djokovic, che non esiste più dal 2019, di fatto l'ultimo anno di Federer, e che quest'anno con il ritiro di Nadal e quello possibile di Djokovic potrebbe diventare definitivamente storia.

Federer, Nadal e Djokovic non sono stati soltanto i tre tennisti che hanno dominato questo sport dal 2003 al 2023, e forse i tre più grandi di sempre, ma erano (sono) mossi da un fuoco che li portava a dare il massimo anche negli appuntamenti di livello medio-alto come i Masters 1000, che già ad inizio carriera gli spostavano poco come prestigio e come incassi, nel quadro generale: Djokovic ne ha vinti 40 (!!!), Nadal 36 (!!), Federer 28 (!). Il quarto è Agassi con 17... Era ed è gente orgogliosa ed ossessionata, che certo faceva i propri calcoli ma soprattutto non voleva fare brutte figure, né a Roma né a Cincinnati. Il passo falso di qualcuno di loro apriva la strada agli altri due o al Murray della situazione, qualche volta anche a un Davydenko o a un Soderling, però uno dei tre grandi in qualche modo riusciva ad arrivare fino in fondo e salvare mediaticamente (perché di questo si sta parlando, visto che nel tennis vince sempre chi merita) i tornei.

In particolare Roma dal 2005 al 2022, 18 edizioni consecutive, ha avuto come finalista almeno uno di loro tre, con 10 vittorie di Nadal (più 2 finali), 6 di Djokovic (più 6 finali perse), 3 finali di Federer (che nel 2003 ne aveva persa un'altra con Mantilla), con le 2 vittorie mancanti prese da Murray e Zverev, battendo in finale in entrambi i casi Djokovic. E quindi? La prima regola del gigantismo è che indietro non si torna, neppure di fronte all'evidenza, quindi gli appassionati di tennis nei prossimi anni dovranno fare poco gli schizzinosi con una semifinale di Masters 1000 Jarry-Paul.

stefano@indiscreto.net

Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...