25 aprile 2024

Le medaglie dell'Italia alle Olimpiadi 2024

Quante medaglie vincerà l'Italia alle Olimpiadi di Parigi? Marcell Jacobs che fra poco torna a gareggiare ci ha ispirato questa domanda, a cui Malagò ha risposto con chiarezza: il presidente del CONI, disperato perché nel 2025 se ne dovrà andare per una legge di fatto ad personam (mentre i presidenti delle federazioni sono eterni), firmerebbe per la previsione fatta dalla Nielsen, 47 medaglie complessive di cui 12 d'oro, quindi nella sostanza circa la metà delle chance da podio (107) previste dagli algoritmi. Se così fosse, sarebbe superato il record assoluto di medaglie azzurre ai Giochi Olimpici estivi, stabilito a Tokyo 2020, per non dire 2021: 40 in totale di cui 10 ori. E di questi 10 la metà dall'atletica, quindi ori pesantissimi... Il record assoluto di ori, 14, risale invece a Los Angeles 1984.

Quali ori vincerà l'Italia a Parigi? Uscendo dall'algoritmo, pensiamo che di pesanti ne vincerà ben pochi, anche se Jacobs e Tamberi sono ancora ad altissimo livello. Come ori pesanti, con tutto il rispetto per la scherma ed il resto, pensiamo non si vada oltre Ceccon nei 100 dorso e il quartetto dell'inseguimento su pista, anche queste comunque specialità non da copertina. Negli sport di squadra la pallavolo maschile fa sognare, se non pensiamo alla Polonia, e per quella femminile possiamo sperare che Velasco trovi un buon tabellone. Quanto alla pallanuoto, sulla carta siamo ai confini delle semifinali.

Notevole è comunque che l'Italia, il venticinquesimo paese del mondo come popolazione, sia sempre nella zona alta della classifica: se non sarà settima, come nelle previsioni, dietro a Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Francia, Australia e Giappone, poco ci mancherà. Facendo benissimo si potrebbe anche essere la quinta potenza dello sport mondiale, ricordando che a Los Angeles 1932 l'Italia fu seconda e a Roma 1960 terza. Certo la Nigeria e il Bangladesh non hanno tante medaglie dal fioretto, ma queste sono le Olimpiadi.


24 aprile 2024

Roma quinto Slam


Roma può davvero diventare il quinto torneo dello Slam? Quella di Binaghi, alla presentazione della prossima edizione degli Internazionali d'Italia di Roma, dove umilmente saremo presenti, è stata una battuta con un fondo di verità. Perché questo è davvero il suo sogno al momento proibito e perché l'idea del quinto Slam non è nuova, né assurda, ed in tempi recenti ci hanno provato in tanti: la Cina, Tiriac a Madrid prima di mollarlo, Indian Wells, il Qatar. Non è evidentemente una questione di soldi, nel mondo ce li hanno in tanti ed il montepremi globale di un torneo dello Slam vale meno di un acquisto sbagliato del Chelsea.

Il punto è che dopo l'anarchia organizzativa degli anni Settanta e dei primi Ottanta e la quasi morte degli Australian Open alla fine degli anni Ottanta i tornei del Grande Slam hanno creato una tradizione e soprattutto un rapporto istituzionale con l'ITF, attraverso il Grand Slam Board. E la federazione internazionale ha la convenienza, prima di tutto a livello di immagine, nel dire che i tornei che contano in fin dei conti sono affiliati a lei e non ad ATP e WTA. Quanto ai singoli quattro tornei, non hanno alcun interesse a dividere in più parti la torta, in un calendario intasato. Qualificazioni comprese occupano già 3 mesi...

Insomma, ci sono barriere all'entrata molto alte ma niente è eterno ed in fondo negli anni Novanta sembrava fantarugby anche l'Italia nel Cinque Nazioni (la svolta nel 2000), per non dire di quattro squadre in Champions League (dal 1999, per le nazioni leader), del Mondiale a 48 squadre, della Vuelta in settembre, dei Mondiali di atletica biennali, eccetera. Certo una volta era tutto meglio, più bello, più vero, o forse eravamo soltanto più giovani noi.

Tutto lo sport va in direzione del gigantismo ed in fondo uno Slam in più non sarebbe troppo diverso per lunghezza da quanto ormai durano i Masters e WTA 1000. Senza contare un discorso di giustizia, a livello di superficie. I 3 Slam su 4 sull'erba fino al 1974 erano figli della loro epoca, così come i 2 su 4 sul cemento sono figli di quando gli Stati Uniti erano il paese leader del tennis, ma adesso la locomotiva del tennis è l'Europa. Su tutto c'è, come diciamo anche a chi difende ruderi o manifestazioni senza senso, che ai loro tempi le tradizioni sono state novità. Roma quinto Slam?

23 aprile 2024

Inter di Inzaghi o Inter di Mourinho?


Quale è stata la migliore Inter della storia recente, quella di Simone Inzaghi o quella di José Mourinho? Per storia recente intendiamo quella con la televisione a colori, dopo un periodo sperimentale partita davvero soltanto all'inizio del 1977: non che prima non esistessero il mondo e la Serie A, ma quello che c'era prima non l'abbiamo vissuto in diretta. La nostra fedeltà alla Settimana Enigmistica, il giornale perfetto, ci permette di citare Polibio e la sua idea di storia fondata su testimonianze dirette, quindi in ogni caso scritta da contemporanei o quasi rispetto ai personaggi e alle vicende raccontati.

Veniamo al punto. Dopo il primo scudetto di Inzaghi, sesto allenatore a vincerlo negli ultimi sei campionati (altra domanda per i competenti: cosa vorrà dire?), i paragoni storici si sprecano e chi non ha argomenti si mette a copiare da Wikipedia. Hai vinto di più, quindi sei più bravo: Horry meglio di Barkley. Noi banalmente ci chiediamo quale Inter moderna abbia giocato meglio a calcio, dove meglio significa proprio meglio, cioè la maggior differenza fra ciò che si fa in attacco e ciò che si subisce in difesa. Non significa vincere o aver vinto, perché magari si è trovato in quella stagione uno più forte, ma aver lavorato bene sì.

Concorrenziali con le squadre di Inzaghi e Mourinho secondo noi soltanto quelle di Mancini e, per la serie 'anche se non hanno vinto', quelle di Castagner e Spalletti. Però magari qualcuno si è divertito con Trapattoni, Mazzarri o Bersellini. Il nostro 'Di qua o di là' non è quindi rivolto ai tifosi, a cui (nella media, esclusi ovviamente i presenti) basta vincere anche tirando in porta un decimo rispetto all'avversario ("Squadra cinica, concreta, spietata": siamo cresciuti con questo giornalismo, da qualcuno rimpianto e mai morto, basta vedere come viene sbeffeggiato chi gioca meglio e perde, cosa che nel calcio è possibile), ma ai competenti, ai fantomatici appassionati del prodotto Serie A. Quale Inter vista con i nostri occhi, dal vivo o in televisione, ha giocato il calcio migliore?

22 aprile 2024

Finire come Ancelotti


 Oscar Eleni fra le pecore davanti a Mont-Saint-Michel, Normandia, incanto per meditazioni che possano dare una giustificazione alle nostre ricerche esistenziali sullo sport con tutto quello che ci gira intorno, oscurando anche la libertà. Saltando sulla sedia per l’attacco di Pogacar nella foresta, per vincere la Liegi e promettere la doppietta Giro-Tour, cerchiamo consolazione nel solito haiku che giustifica tante assenze quando non sai cosa dire per l’assenza da una partita, la presentazione di un libro, dalle feste che una volta andavano oltre  le meraviglie sul Naviglio al Torchietto. La poesia regalata dalle ricerche di Susanna Tartaro dovrebbe spiegare tutto:

Incontrando un vecchio amico

Due visi sfioriti

Silenzio

Ecco come stanno le cose. Ma, per fortuna, gli scozzesi che chiedono aiuto alla Nasa per sapere se davvero c’è un mostro a Loch Ness, ci ridanno il gusto per ridere e allora chi meglio di Carlo Ancelotti potrebbe aiutarci a vivere bene i finali di qualsiasi storia, partita, discussione? Lui è davvero quello che ha imparato meglio alla scuola di Liedholm prima e poi di Arrigo Sacchi. Magari non chiedendo aiuto ai maghi, agli astrologi, ma seguendo quell’adagio che, anche se non scritto in romagnolo, aiuta a capire: occhio, pazienza e fortuna detto anche bus dal cul. I suoi finali  sono stupendi quasi sempre e molto spesso se lui è in battaglia la squadra che dirige, come quella in cui giocava, riesce a vincere alla faccia di chi lo ha tormentato come succede nella vita e nello sport quando i padroni, presidenti o tifosi non conta, se la prendono con l’allenatore. Grande Gene Gnocchi mentre spiega il motivo per cui Cannavaro ha accettato di essere il terzo allenatore dell’Udinese in acque torbide che sanno di retrocessione: Temeva di essere chiamato al capezzale del Napoli da solito genio dei panettoni.

Ma torniamo al Carlo Ancelotti e alle sue magie inchinandoci intanto a Mondo Duplantis che cerca la sua luna a cavalo di un'asta. Finali col brivido. Mettere fuori il Manchester City ai rigori una delizia. Vincere il classico col Barcellona all’ultimo minuto con un gol del nuovo genio  nella sua lampada vale una stagione e anche la Liga. Saranno contenti in Brasile dove gli hanno fatto la stessa guerra che lo ha allontanato dall’Italia dopo che gli era stata offerta la Nazionale che da tempo sembra smarrita. Meglio per lui aver resistito nella Real casa dove adesso lo amano anche quelli che magari torneranno feroci se dovesse perdere in coppa al prossimo turno.

Aspettando i prossimi processi del pallone, restando alla larga dalla guerra dei bottoni per la scelta del portabandiera azzurro ai Giochi di Parigi dove al momento hanno paura persino ad illuminare la torre Eiffel e non parliamo del lungo Senna, preoccupati dal terrorismo, ma anche dalla finta pace, guardiamo al pantano dove ci sta portando lo sport spettacolo. Si corre e ci gioca troppo spesso, ci si allena poco, si mangia male. E se non capisci i messaggi dei molti  che si lamentano per aver sperperato quello che hanno guadagnato, allora puoi continuare a preferire le notti magiche, tanto poi se vai male, sfasci squadre, il primo a pagare sarà l’allenatore, il maestro. Noi restiamo dalla parte di chi dedica la vita ad insegnare, a chi accetta di guidare anche automobili infedeli come sono tante squadre, tanti campioni.

Sbagliando e sbadigliando andiamo a vedere cosa sta succedendo nel basket dove in troppi fingono di non sapere come sono andate le cose nelle coppe internazionali, gli stessi  che ballano sul Titanic dei canestri aspettando il preolimpico per una Nazionale che costruiremo sui pochi che hanno avuto spazio nel campionato che alla fine mostra il vero volto delle truppe mercenarie rendendo fangoso il finale dove lo scudetto dovrebbe consolare e la retrocessione castigare.

Certo che l’eurolega di Milano è stata peggiore di quella della Segafredo Virtus, ma resta il fatto che Milano è col piombo ai piedi  nella classifica dei poveri, mentre la Virtus è pur sempre decima della classifica anche se non dimenticheremo  i momenti magici in cui stava fra le prime e neppure la vittoria ad Istanbul sull’Efes, per guadagnarsi un play off poi negato dal Baskonia nella settimana dove l’Eurolega e chi paga per avere sempre la scena occupata ha chiesto il sacrificio di quattro partite fra campionato nazionale  ed eurofiesta.

Con le regine liberate dal vero teatro dove avrebbero dovuto essere protagoniste vedremo come se la caveranno le sfidanti. Tanto per capire, prima del faccia a faccia di domenica, Brescia ha pensato bene di non reagire alle forti motivazioni della Cremona che è davvero fra le rivelazioni della stagione. Certo che Milano e Bologna lo vogliono il primo posto per garantirsi il fattore campo che, come si vede, influenza anche arbitri che persino davanti alle revisioni con uso della tecnologia si rivelano dei super Abbondio capaci di  confondere tutti quando devono chiarire cosa intendono per fallo antisportivo.

Basket che dovrebbe indagare su certe partite se in campo si affrontano giocatori che hanno gli stessi agenti e chi deve salvarsi trova davanti avversari compiacenti. Magari è stata soltanto la sbornia della sera prima, magari la ripicca verso la società che non rinnova, insomma stiamo vivendo il solito finale, con grandi  e quasi incredibili rimonte, pur riconoscendo il valore di certi successi.

Pagelle tanto per distrarsi, convinti che per  lo scudetto non ci siano davvero pretendenti in grado di vincere una serie contro Armani e Segafredo, ci teniamo alla larga anche dalla battaglia per la salvezza dove dolorosamente sono impegnate con Brindisi ben tre società che nella storia hanno vinto anche scudetti, ma questo i giocatori  che oggi lavorano per Varese, Treviso e Pesaro non sono obbligati a saperlo.

10 Al GALBIATI di Trento che anche con una squadra dimezzata è riuscito a guadagnarsi i play off,  rilanciando BILIGHA e ALVITI e tenendosi stretto capitan FILLOL.

9 Al LAQUINTANA della BRINDISI che è stata capace di rimontare da meno 13 sul campo della PISTOIA rivelazione dell’anno insieme a CREMONA e TRENTO, una squadra che di solito le faceva certe rimonte e anche contro squadre di alta classifica.

8 Al BALDASSO di TORTONA che ci ricorda come sia importante vivere, giocare, lavorare in posti dove c’è la possibilità di mostrare il proprio valore. La stessa cosa che abbiamo detto ad inizio anno al CARUSO che soltanto alla 27^ giornata ha avuto persino il quintetto base nella Milano dove i lungodegenti sembrano non guarire mai.

7 Al CAMPIONATO di A2 che finalmente è arrivato ai play off perché riesce a tenere vivo un basket nazionale che ha bisogno di progetti veri per il passaggio dalla next generation al grande livello. Sosteniamo il progetto e chi a costo di sacrifici lo manda avanti anche se molto spesso è soltanto una breve.

6 A MANNION e MORETTI che forse hanno portato VARESE in acque tranquille dopo il partitone sul campo di Sassari.

5 A chi considera alla stessa maniera il fallimento dell’ARMANI e l’eliminazione all’ultima sirena della SEGAFREDO. La battaglia scudetto ci dirà chi è davvero la più forte, cosa che non ci hanno potuto far scoprire in coppa Italia.

4 A NAPOLI che proprio non riesce a pentirsi per la sua non difesa anche quando fa partite di spessore come quella contro TRENTO. Certo la vittoria di TORINO in coppa è stata importante, ma pensavamo che la squadra sarebbe diventata più forte e non più presuntuosa.

3 A TREVISO e PESARO che si trovano sul fondo avendo scoperto che alle loro squadre non manca la voglia, la passione, ma soltanto la qualità e quella non la può inventare nessun  allenatore anche se bravissimo come del resto sono VITUCCI, SACCHETTI, come lo era BUSCAGLIA.

2 A BELINELLI, HACKETT, GALLINARI, FONTECCHIO se ci terranno in ansia per il preolimpico cominciando dal raduno di FOLGARIA. Li capiamo, ma li preghiamo di dare una mano nel momento in cui non vorremmo trovarci ancora fuori dalle Olimpiadi.

1 Agli STATI UNITI che hanno convinto i loro “grandi” a sfilare sui  Campi Elisi prendendosi tutte le luce del basket alle Olimpiadi, costringendoci a  fingere che ci sarà battaglia per la medaglia d’oro.

0 Ai giocatori di SASSARI che hanno costretto il presidente SARDARA  a chiedere scusa al pubblico dopo la caduta verticale contro VARESE che certo ha tanti punti nelle mani, ma che forse ha trovato  un ventre molle a contrastare i suoi attacchi.


Oscar Eleni

21 aprile 2024

Le migliori canzoni di Alex Damiani


Domani compie 72 anni Alex Damiani, uno dei volti più popolari nell'Italia degli anni Settanta: divo assoluto dei fotoromanzi, la cui importanza è oggi difficile da spiegare ma che all'epoca erano spesso la base per carriere nel cinema ed in generale nello spettacolo. Ecco, Damiani il cinema lo ha frequentato poco, ma nella musica ha di sicuro fatto ottime cose ed è per questo che lo inseriamo in un Festival di Indiscreto che ci sta facendo venire l'ansia, da tanti sono i nomi ancora rimasti fuori mentre il completamento del tabellone a 256 si avvicina. Ma oggi pensiamo al Damiani cantante, che di fatto nasce nel 1980.

In quell'anno infatti con Cambierò, cambierai vince il Cantagiro davanti a pesi massimi come la Nannini, Ivan Graziani, Pino Daniele, Matia Bazar e PFM, ed anche a Franco Dani, altra stella dei fotoromanzi con ambizioni musicali. Non solo: quell'estate la canzone è Discoverde del Festivalbar, in pratica il premio ai giovani. Lo stile, fra i Collage e Sandro Giacobbe, sembra studiato apposta per far stizzire i critici musicali ma il successo è enorme vista anche la base di fan che l'artista calabrese si porta dietro. Nel 1981 partecipa di nuovo al Festivalbar con Non t'amo, però, con ottimi riscontri: la scelta della musica è definitiva.

Ma è nel 1983 che Alex Damiani entra davvero nelle case di milioni di italiani, o per meglio dire di italiane, con Come per magia, memorabile sigla di Anche i ricchi piangono. La telenovela con protagonista Veronica Castro è la sua fortuna commerciale, anche chi non la guarda si ricorda quella canzone. Nell'estate del 1984 lo si vede un po' in tutte le trasmissioni con Per questo amore, fra i suoi successi quello più anni Ottanta di tutti, come stile, e fra l'altro uno di quelli che lo vede anche nelle vesti di autore. La sua carriera musicale poi proseguirà, ed infatti è arrivata fino ad oggi, anche se il grande successo rimane confinato a quegli anni in cui è considerato l'uomo più bello d'Italia.

20 aprile 2024

L'Europeo di Orlandini


Quante difese eroiche di una squadra italiana abbiamo visto? Quella del 20 aprile 1994 a Montpellier, esattamente 30 anni fa, diede alla Under 21 di Cesare Maldini il secondo dei suoi tre titoli europei consecutivi, grazie al gol nei supplementari di Pierluigi Orlandini, ai tempi all'Atalanta. Davanti a Matarrese e ad un Sacchi schifato gli azzurri fecero le barricate contro il Portogallo di Figo e Rui Costa, non pizza e fichi, allenata da Nelo Vingada, un quasi-maestro che poi nel terzo mondo qualcosa avrebbe vinto. Quell'Italia aveva Toldo in porta, dietro a Panucci, poi Colonnese, Cannavaro e Cherubini marcatori a uomo, anzi a donna (per citare uno storico Maurizio Mosca), Muzzi e Benny Carbone a fare i tornanti, Berretta, Scarchilli e Marcolin di fatto davanti alla difesa e Pippo Inzaghi 40 metri più avanti, disperso. Non siamo così folli da riguardare la partita, ma ci ricordiamo che il Portogallo dominò fra parate enormi di Toldo, pali e mille situazioni risolte da una difesa da Italia, nel bene e nel male. Verso la fine dei 90' l'esperto Maldini si fece beffe di noi del bar giocando senza punte: fuori Inzaghi, dentro appunto Orlandini che di sinistro azzeccò il tiro della vita. Avrebbe avuto poi una buona carriera, anche se inferiore al potenziale, ma noi ce lo ricordiamo soprattutto per quella notte.

19 aprile 2024

Trapattoni al Bayern

 Trapattoni al Bayern Monaco. Che un allenatore italiano di primo piano vada ad allenare all'estero oggi non è una notizia ma il 19 aprile 1994, esattamente 30 anni fa, lo era. Un annuncio fatto da Trapattoni stesso quasi al termine della sua seconda vita juventina, meno fortunata della precedente e comunque con meno risultati di quanto una squadra con Baggio (Roberto, ma anche Dino), Vialli, Peruzzi, Conte, Köhler, Möller, eccetera, avesse fatto sperare. Per convincerlo ad accettare andarono personalmente a casa sua Beckenbauer, Rummenigge e Hoeness, e non ci misero molto perché Trapattoni riteneva di avere tanto da dimostrare a chi lo riteneva bollito per età (sembrava vecchissimo, ma aveva soltanto 55 anni: adesso a questa età si è ancora predestinati con il maglioncino attillato) e tipo di calcio. In quel primo anno a Monaco Trapattoni avrebbe fatto disastri in Bundesliga mentre in Champions si sarebbe spinto fino alla semifinale, battuto dall'Ajax di Van Gaal. In Germania sarebbe andata meglio qualche anno dopo, ma rimane il fatto che Trapattoni al Bayern abbia segnato per gli allenatori italiani un prima e un dopo. Il suo calcio poteva non piacere, ma contro il Manchester City non avrebbe giocato troppo diversamente dal Real Madrid di Ancelotti.


17 aprile 2024

Alfa Romeo Milano o Junior?


Alfa Romeo Milano o Alfa Romeo Junior? Stiamo ovviamente parlando della vicenda del cambio di nome della nuova auto prodotta dal gruppo Stellantis, che in origine avrebbe dovuto chiamarsi Milano e che è stata ribattezzata Junior dopo l'intervento di Adolfo Urso. La tesi del ministro delle imprese e del Made in Italy è che il nome Alfa Romeo Milano sarebbe vietato, perché l'auto è prodotta all'estero. La risposta dell'azienda è stata per molti sorprendente, soprattutto per la velocità: un cambio di nome a presentazione già avvenuta, una cosa mai avvenuta nella storia dell'economia. E poi che cambio: Junior, sembra una cosa per bambini anche se nel passato dell'auto e della stessa Alfa di Junior ce ne sono. Per questa idea avranno anche pagato qualcuno.

Facile, anche per modesti appassionati di auto, ricordare la Ford Torino, la Opel Monza, la Pontiac LeMans, la Ferrari Daytona, eccetera, tutti modelli certo non prodotti nel paese della casa madre. Ma doveroso anche ricordare la legge sull'italian sounding, che ha lo scopo primario di combattere i tarocchi nell'agro-alimentare (tipo Parmigiano-Parmesan) ma che per analogia molti estendono ad altri prodotti. In altre parole, un tedesco non può impunemente (in teoria) produrre la Pizza Posillipo o il Pesto Tigullio, quindi una multinazionale di fatto a controllo francese non può produrre in Polonia un'auto chiamata Milano.

Viene in mente Luciano Gaucci che aveva battezzato La Milanese la sua azienda di pulizie, con sede e operatività a Roma, per motivi di immagine. È chiaro che l'ufficio legale di Stellantis debba avere sconsigliato una battaglia sul nome magari fondata ma destinata a trascinarsi per le lunghe, con effetti negativi sul prodotto. Che sarebbe nella sostanza un SUV di segmento B che prende il posto della vecchia Alfa Romeo MiTo (che veniva prodotta a Mirafiori, piccolo dettaglio) e che prima ancora di Milano avrebbe dovuto chiamarsi Brennero (è una mania).

Comunque si chiami, l'Alfa Romeo Junior costa sui 30.000 euro nella versione mild hybrid e sui 40.000 in quella elettrica: fra le Alfa in produzione (Giulia, Stelvio, Tonale) è l'unica ad essere assemblata fuori dall'Italia. Ma il discorso è molto più ampio rispetto a quello sul nome di un'auto: Alfa Romeo Milano o Alfa Romeo Junior?

16 aprile 2024

Uomini e topi


 Oscar Eleni a mani nude fra i boschi dell’Île-de-France cercando un riparo prima che sospendano tutto, cominciando dalle Olimpiadi. Il posto giusto sembra un vecchio castello dei Rotschild che gli eredi di un emiro hanno messo in vendita a Gretz-Armainvilliers, regione della Senna e della Marna. Cento stanze, una in più di quelle che servono per nascondersi, sapendo che nel palazzo c’è già una farmacia e pure il dentista, con la certezza di avere compagnia nello zoo dove abbiamo fatto amicizia con un pangolino.

Aspettare che i Giochi comincino sapendo che non tutto viene governato dai soldi e dall’ignoranza se la gente applaude quando, ad esempio, Udinese e Roma lasciano il campo con 20 minuti ancora da giocare per dedicarsi allo sfortunato difensore che si è accasciato dopo aver sentito il cuore battere troppo forte. Succede che giocatori, arbitro, allenatori siano tutti d’accordo. Accade che su un campo da tennis un campione, diciamo pure Sinner, non faccia nessuna scenata mentre chi dirige la partita non vede  una palla fuori che gli avrebbe garantito il gioco. Lui, Sinner, spiega che non essendo arbitro ha lasciato decidere alla signora sulla sedia, tenendosi dentro rabbia e l’acido che forse ha provocato anche i crampi. Una scelta importante, sportiva, educativa. Naturalmente lo hanno criticato dicendo che deve protestare, magar gli stessi che un giorno prima avevano stigmatizzato le sceneggiate di altri giocatori. La falange che finge d’indignarsi se i genitori picchiano l’arbitro e i i giovani sul campo se le danno e  si sputano addosso. Noi siamo con la gente di Udine che applaude chi esce e pensa al compagno malato, stiamo con Sinner e pazienza se in finale a Montecarlo è andato un altro.

Magari non si sventolassero bandiere con topi, magari non ci fossero cori razzisti, benedetto il giorno in cui se il tuo presidente   di federazione ha un grave incidente d’auto tutti si preoccupano della   sua salute e nessuno, neppure nel Veneto cosiddetto virtuoso, fa sapere che esiste un candidato pronto a sostituirlo, uno di valore, dicono, ma, per fortuna, nella stessa Regione c’è chi si è subito ribellato come ha detto Casarin e non soltanto in nome della Reyer, ma pure come vice  presidente federale. Dovremmo farlo in tanti adesso che si gioca alla guerra con i droni, adesso che vorrebbero soltanto una stampa imbavagliata da mandare persino in galera se dovesse seguire il sacro principio, costituzionale in moltissimi Paesi, che i giornalisti devono servire chi è governato dicendo la verità su chi governa. Bisognerebbe dire la verità anche  a certi giocatori che si arrabbiano se li accusi di aver mancato di rispetto a compagni e  pubblico quando gigioneggiano sul campo o fanno capire di non gradire la sostituzione, a certi allenatori che vorrebbero rimanere sempre sul ponte della banalità, a troppi dirigenti convinti davvero che la gente abbia anelli al naso e creda a tutto quello che dicono e fanno.

Aspettando di sapere come Parigi difenderà la sua Olimpiade ci godiamo un figlio d’arte come il discobolo lituano Alekna che batte il record mondiale più antico, non quello di Mirone, ma di un tedesco dell’est, lanciando nel vento dell’Oklahoma che ha fatto galleggiare quel lancio oltre i 74 metri. Atletica che scalpita e prega che non si esageri nel lavoro come accaduto alla fenomenale triplista venezuelana Rojas, oro di Tokio, finita in ospedale con un tendine da ricostruire. Lo diciamo pensando al Jacobs che dovrebbe presto tornare in pista dove almeno abbiamo visto Tortu correre bene il primo 100 metri.

Aspettando  che il tempo smetta di farci sbagliare abbigliamento vi diciamo anche che augurarsi finalmente il caldo vorrebbe dire mandare in crisi questo basket italiano che farà giocare in forni mefitici  i suoi play off perché pochi amministratori hanno badato agli impianti sportivi delle loro città, una pallacanestro in maglia azzurra che prega ancora per avere un posto alle Olimpiadi sapendo che il campionato sa soltanto proporre  campioni, o presunti tali, con altri passaporti. Se il Poz guarda in tivù le partite di queste settimane gli verrà l’orticaria. I pochi che giocano sono già al limite. Auguriamoci che ci sia spazio per respirare,  sicuri che Fontecchio e Gallinari siano fedeli alla parola data, nella speranza che non ci siano altri diretti in sala operatoria come Procida.

Campionato dove Brescia si è tenuta il potere ringraziando una Reyer dove non riescono proprio a fare squadra. Torneo nazionale che guarda sospirando l’Armani fuori dall’Europa e si domanda che Virtus avremo se riuscirà a sopravvivere nel tormento di un calendario che la vorrebbe in campo anche quattro volte in una settimana se dovesse passare  le forche di Istanbul  contro l’Efes 48 ore dopo aver sofferto contro Cremona, pochi giorni dopo aver lasciato al Baskonia il posto migliore nella sala d’ingresso ai play off di Eurolega.

Basket che ci costringe a scelte dolorose guardando le battaglie per la promozione della A2, a quelle per la retrocessione nei due campionati nazionali. Tutti meriterebbero il premio, ma, purtroppo, non sarà così e la vita per  squadre e soprattutto arbitri diventerà inferno se chi è sul campo non chiede aiuto alla squadra se, chi dirige, non si rende conto che falli intenzionali e tecnici per proteste possono davvero decidere una stagione ed un titolo. Certo che il regolamento va rispettato, ma se tutto è chiaro dal primo minuto  e non se si cambia a gara in corso.

Pagelle tanto per   liberarsi la coscienza:

10 A Gianluca BASILE, grande come giocatore, medaglia olimpiaca, campione d’Italia, che nel raduno degli azzurri argento ad Atene nel teatro di Prato ha mandato un messaggio ai campioni di oggi spiegando che la vera nostalgia viene soltanto quando si  smette. Vale per tutti, anche per chi non può più andare a vedere una partita dal vivo.

9 A BILIGHA e TRENTO che nella volata vincente contro Tortona hanno trovato forse il giardino delle delizie nei playoff anche con una rosa ridotta.

8 Al MAZZOLA che ha tenuto Pesaro nella zona dove la salvezza potrebbe non essere soltanto un miraggio. Lui, più di altri sembrava rianimarsi quando suoi cartelloni pubblicitari girava a caratteri cubitali la scritta SCAVOLINI facendo danzare l’Ape e il tifo.

7 Al MAGRO che si è tenuto il primo posto in classifica mandando fuori giri la REYER con la vecchia cara zona adattata, trovando gli spazi giusti per nascondere il leprotto DELLA Valle in difesa, facendolo tornare leopardo in attacco.

6 Al POLONARA che non pensavamo potesse tornare a questi livelli in così poco tempo. Saggio fuori dal campo, decisivo quando la Virtus gli chiede minuti di qualità.

5 A NAPOLI e SASSARI che restano sempre ai confini del paradiso play off, due squadre che ci sono piaciute spesso, due gruppi che, per motivi diversi, hanno perso  la cosa più importante: la spontaneità e la voglia di  pensare che il basket è anche difesa.

4 Ad ARMANI e SEGAFREDO che in campionato possono quasi sempre prendere poco sul serio avversarie che si illudono di essere davvero al livello di queste regine con le scarpe mai in ordine. Domenica è accaduto a Treviso e Cremona. Un quarto per sognare, uno per sentirsi sempre troppo lontani.

3 Alle azioni riviste dieci volte, falsando il ritmo di partite che decidono tanto. Non siamo contro la tecnologia, ma contro le soste che falsano il ritmo di una gara. Non ci piace questa lentezza, non ci convince pur sapendo che può aiutare. Trovare una soluzione nello studio centrale e invitare chi commenta a  non fare l’eroico criticando un fischio arbitrale e mai una vaccata dei giocatori.

2 Al TRINCHIERI che dopo averci conquistato ancora una volta nel bellissimo docufilm su una giornata passata con lui a Kaunas, nel paradiso cestistico della Lituania e dei Sabonis, poi ha chiuso dicendo che l’apertura agli Emirati farà progredire una Lega che a noi pare invece imbalsamata se i calendari che propone sono già adesso senza respiro e criterio.

1 A BRINDISI se non penseranno subito al futuro della società del basket e del loro Palazzo anche adesso che la retrocessione non sembra più evitabile.

0 Al candidato presidenziale del VENETO che si è presentato nel giorno in cui  Gianni Petrucci veniva portato  all’ospedale in terapia intensiva. Una presentazione del genere basta ed avanza per capire, per farci capire.


Amadeus ha fatto bene?

 Amadeus ha fatto bene a lasciare la RAI, per andare a Discovery? Una domanda che si stanno facendo in tanti, tranne ovviamente quelli che si occupano di cose serie (non noi, quindi). Una domanda che non ha natura strettamente finanziaria, anche se a Discovery, quindi il Nove come canale di punta in Italia, guadagnerà molto di più di quanto prendesse alla RAI, pur conducendo Sanremo e Affari tuoi. Se vogliamo porla in un altro modo: a 61 anni e mezzo, avendo raggiunto con Sanremo il top nella sua professione (cioè Sanremo e alcuni dei principali show di Rai 1), perché andare a fare più o meno le stesse cose in un canale meno visto?

È come se uno fosse l'allenatore dell'Inter, facciamo un esempio caro ad Amadeus che ha chiamato suo figlio José in onore di Mourinho, e per qualche divergenza con Marotta andasse a non diciamo in Arabia ma nella Fiorentina, convinto da Commisso che gli ha promesso più libertà di manovra e meno ingerenze nella scelta dei giocatori. Poi non sono chiari i dettagli dell'offerta della RAI ad Amadeus, per non dire delle pressioni per avere questo o quell'ospite, probabile causa del suo divorzio da Lucio Presta avvenuto prima del suo quinto ed ultimo (per ora) Sanremo da conduttore e direttore artistico.

Il passato insegna qualsiasi cosa, ci sono stati casi di personaggi RAI che fuori dalla RAI hanno trovato una seconda giovinezza (Amadeus ha 61 anni e mezzo), come Mike Bongiorno, e di altri che hanno fallito come Pippo Baudo, però mai si trattava di questioni politiche. Perché la vicenda di Amadeus è diventata politica come poche altre, forse suo malgrado. Certo se Amadeus lascerà una traccia al Nove, con il botto (nel 2025 scade il contratto di Sanremo con la RAI), con qualche idea revival (solo lui potrebbe far risorgere televisivamente il Festivalbar) o con qualche progetto totalmente nuovo, avrà vinto lui. Diversamente leggeremo articoli del genere 'È la squadra a creare il campione', buoni per tutti i settori. Amadeus ha fatto bene?


15 aprile 2024

Un fazzoletto da Conegliano


Nel mondo solitamente quieto del volley femminile, che genera dibattiti soltanto per motivi extra-sportivi, sabato sera al Palaverde di Villorba si è verificato un fatto inusuale. Terminata gara 3 di semifinale scudetto, con la vittoria di Conegliano ai danni di Novara, il tifo più caldo delle venete ha esposto uno striscione bello grande che recitava "Portate un fazzoletto a quelli di Sky". L'idea da quelle parti è che l'Imoco vincendo quasi sempre dia fastidio alle televisioni, Rai e Sky, con conseguenti cronache e commenti schierati a favore degli avversari. Quando sono Novara, certo espressione non di una metropoli, e a maggior ragione quando sono Milano o giù di lì. Va ricordato che in gara 2 al microfono c'era Francesca Piccinini, che con la Igor vinse una Champions: facile immaginare cosa preferisse, per quanto il tifo degli ex atleti segua logiche particolari.

Ma torniamo allo striscione che ha creato tanto fastidio a Sky e che la coppia di sabato sera Locatelli-Sangiuliano non ha gradito: entrambi sorpresi naturalmente dall'iniziativa della curva, come se non fosse lecito esprimere il dissenso in termini civili (inutili e anche sbagliati i confronti con il calcio, che viaggia su altri binari), al di là della fondatezza della tesi. E al di là anche della domanda di fondo, senza una risposta certa: per il movimento pallavolistico meglio la passione di una realtà più piccola o i media di una più grossa?

Tutto ciò in ogni caso motiva una riflessione, allargando il discorso alle altre emittenti e agli sport, portandoci a chiedere se davvero servano i commentatori, oltre ai telecronisti. La linea che divide la professionalità con i conflitti di interesse e le convenienze personali è infatti molto labile, senza contare le pressioni che esistono o le telefonate che si ricevono. Inoltre è da valutarne l'utilità, quanto aggiunge alla trasmissione o quanto toglie, senza dimenticare quale sia la credibilità di chi ha il microfono in mano. Certamente c'è un mercato importante che si muove intorno a questa compagnia di giro, ci sono i procuratori, interessi da tutelare: i soldi coinvolti sono tanti anche in una realtà come il volley femminile Alla fine è fondamentale per lo telespettatore non considerare verità tutto quello che ascolta, ma farsi un idea propria: giusta o sbagliata non importa ma che sia la sua.

Tifosi o competenti?


Tifosi o competenti? Non chiediamo chi sia meglio in assoluto, ma chi sia meglio per la fortuna di uno sport: chi sostiene, più o meno criticamente, una squadra o uno sportivo, oppure chi segue uno sport a prescindere dalla simpatia nei confronti dei protagonisti? Ovviamente lo spunto arriva da Jannik Sinner, generatore quasi automatico di 'Di qua o di là', dopo l'episodio che lo ha danneggiato nella semifinale di Monte Carlo contro Tsitsipas e che gli ha tolto la possibilità di andare sul 4-1 nel terzo set, e quasi certamente di vincere partita e torneo, trovandosi poi Ruud in finale.

Un clamoroso errore arbitrale, che Sinner ha colto in tempo reale ma senza interrompere subito il gioco per chiedere la verifica del segno: non è stato un errore del giocatore e nemmeno un eccesso di sportività, ma è semplicemente il suo atteggiamento quasi alla Borg, del genere 'Gli arbitri arbitrino'. Infatti Sinner non protesta per gli errori a suo svantaggio e nemmeno, andando a memoria, restituisce punti. Ma il problema non è questo, bensì che l'errore di Aurelie Tourte (graziata dai media in quanto donna) abbia fatto scendere in campo il peggio del tifo e del giornalismo, come se il 'sistema' avesse una qualche convenienza nel mandare avanti Tsitsipas invece di Sinner o errori di questo tipo fossero rari.

L'effetto Sinner (o Tomba, o Pantani, o Pellegrini, o quello che vogliamo) non è quindi soltanto positivo, almeno in Italia: più interesse per il tennis, più audience, più soldi per tutti ed umilmente anche per noi che scriviamo visto che solo negli ultimi mesi abbiamo scritto più articoli di tennis che nel resto della nostra vita. In negativo porta il tennis a contatto non soltanto con l'appassionato-turista o lo sportivo generalista, già detestati da quelli della parrocchietta, ma anche il canottierato che fra una discussione sul VAR e l'altra sostiene che Sinner sia stato derubato. Certo che l'errore è stato decisivo per l'esito della partita, ma la cosa sarebbe interessante soltanto se la carriera della Tourte dipendesse da Tsitsipas più che da Sinner.

Un di qua o di là divisivo, che non riguarda i nostri gusti personali perché a seconda dello sport tutti siamo appassionati e sedicenti competenti oppure canottierati: seguire il tennis a prescindere dalla nazionalità di quelli forti non è in contraddizione con il guardare la Formula 1 soltanto, ad esempio, se la Ferrari va bene. Tifosi o competenti? Noi se per miracolo fossimo il commissioner di una qualsiasi lega vorremmo soltanto tifosi, ma ha comunque cittadinanza la teoria dell'appassionato-consumatore, il lobotomizzato che esulta per i 4-3 della Premier League, che non crea problemi come il tifoso ed in più spende per la quarta maglia.

14 aprile 2024

Le migliori canzoni di Sibilla

 Fra i tanti talenti lanciati da Franco Battiato uno dei più affascinanti e misteriosi è senza dubbio Sibilla, che proprio oggi compie 70 anni e che non soltanto per questo inseriamo in un Festival di Indiscreto che si avvia verso il completamento del tabellone a 256. Italiana nata in quello che oggi è lo Zimbabwe, all'anagrafe Sibyl Amarilli Mostert, è con il suo vero nome (quasi, perché sul disco c'è scritto Sybil) che nel 1976 fa centro cantando Keoma, la canzone principale dell'omonimo film, il classico spaghetti-western con protagonista Franco Nero. Canzone fra l'altro scritta da Guido e Maurizio De Angelis che in questi anni davvero non sbagliano un colpo.

Per Sibilla la grande notorietà arriva però con il Sanremo 1983, quando porta a Sanremo Oppio, scritta da Battiato, Giusto Pio e da lei stessa. Inserita nel girone A, quello delle Nuove Proposte Italiane, si esibisce nella seconda serata (all'epoca il venerdì, perché le serate sono tre) e rimane vittima di un errore dei tecnici, che mandano il playback invece della base preregistrata. Il microfono è aperto e lei infila una stonatura clamorosa, che causa la sua eliminazione: passano il turno Flavia Fortunato, Donatella, Milani, Fiordaliso e Zucchero, per dire il livello clamoroso. Grazie alla sua intensità, e anche all'interpretazione di Sibilla, Oppio è però un buon successo commerciale. E del resto, ascoltata con le orecchie di oggi, sembra una canzone di Alice cantata quasi alla Alice. Impossibile dimenticare il ritornello con qualche parola che Battiato prende pari pari da Hava Nagila, canzone popolare ebraica, ed anche questa intervista di Maurizio Seymandi, il cringe quarant'anni prima del cringe.

Con la produzione di Angelo Carrara l'anno seguente Sibilla scrive e incide come singolo Plaisir d'amour, che dovrebbe preludere ad un album per svoltare davvero, l’album che non era riuscita a fare con le canzoni di Battiato e Pio. La canzone è forte, con qualche somiglianza di troppo con Can't help falling in love, ma l'album non esce nemmeno questa volta e al di là di qualche collaborazione di prestigio, come quella con Paolo Conte nel 1990 per La canoa di mezzanotte, la carriera musicale di Sibilla si conclude qui. Di lei non avremmo saputo più niente.


12 aprile 2024

Supersex

 La cosa migliore di Supersex è il titolo, per tutto ciò che evoca a partire dal leggendario fotoromanzo, di nascita francese ma editorialmente milanesissimo, su cui tutti i ragazzi della nostra generazione si sono formati e informati. Arrivare alla fine dei 7 episodi della serie sulla vita di Rocco Siffredi, disponibile su Netflix, è stato davvero faticoso nonostante l'ottimo materiale a disposizione: un personaggio notissimo ma poco raccontato al di là delle sue opere, il cinema porno che ha il suo fascino sia per chi lo ama sia per chi lo detesta, la provincia italiana degli anni Ottanta e Novanta, quel mondo della notte un po' squallido che sarebbe stato ridimensionato dall'ugualmente squallido web.

Per essere sintetici, come ci piace essere: Supersex non è brutto, ma è noioso. Capiamo l'esigenza produttiva si ammortizzare i costi e avere 7 ore di film invece che 2, ma a noi spettatori cosa importa? Sono interessanti le parti sulla gioventù in Abruzzo, in una Ortona dove gli zingari erano i maghrebini di oggi, in mezzo a vicende familiari per i Tano (vero cognome di Siffredi) molto tristi. Bello anche il racconto del rapporto del piccolo Rocco con il fratello Tommaso, idolo assoluto anche perché fidanzato con Lucia, la ragazza dei sogni di tutti. Un rapporto malato, che si trascina dal paese a Parigi, con i protagonisti ormai cresciuti ed interpretati da un credibile Alessandro Borghi (Rocco), da una seriosa Jasmine Trinca e da un Adriano Giannini bravo ma sempre oltre il confine dell'overacting.

Da Parigi in poi tutto si trascina, con qualche guizzo come l'incontro decisivo con Gabriel Pontello, appunto il Supersex dell'Ifix Tchen Tchen che tutti abbiamo amato, ma anche tante, troppe, macchiette. Da Schicchi a Moana Pozzi, dall'amico gay Franco Caracciolo al malavitoso Jean-Claude ai frequentatori di night e club privé, per non parlare di quelli di Pigalle. Non c'è nemmeno qualcosa di eccitante, solo una sfilata di corpi anonimi, ed è qui che volevamo arrivare: perché pur apprezzando i film porno fin dai tempi delle prime VHS, ci è sempre risultato incomprensibile il divismo del porno.

Quello maschile, etero o gay che sia, ma anche quello femminile. A qualcuno è mai fregato qualcosa del nome dell'attrice o del suo curriculum? Anzi, il volto noto spesso deprime, ammoscia. Qualche cinema porno in vita nostra l'abbiamo visto, soprattutto il Magenta di via Sanzio e il Tiziano di viale Cassiodoro a Milano, senza dimenticare il bellissimo Lyceum di Varese (ci abbiamo preso il caffè poco tempo fa, è diventato un bar per famiglie) ed i tanti che ci si trovava davanti all'improvviso, senza cercarli: cinque anni fa ci è capitato qualcosa del genere a Berna.

Ecco, a occhio allo 0% dei frequentatori fregava zero se ci fossero Ron Jeremy, John Holmes o Rocco Siffredi, percentuale che saliva all'1% nel caso della protagonista femminile. Eppure anche il porno è stato capace di creare un divismo, sia pure di Serie B, e Tano-Siffredi aveva ed ha qualcosa più degli altri: per questo è diventato un personaggio pop, apprezzato dalle donne ma anche dagli uomini abbonati a DAZN. Ha qualcosa più degli altri non come centimetri, ma come conflitti irrisolti, rabbia, malinconia. È qualcosa in più di uno stallone peccatore che l'amore per la moglie Rozsa ha redento. Occasione persa.

 


11 aprile 2024

L'alcol andrebbe proibito?


L'alcol fa male? Di più: andrebbe proibito? Non l'alcol in grandi quantità, tutti sanno che distrugge la propria vita e quella degli altri. Ma proprio gli alcolici bevuti in maniera normale o comunque moderata. Lo spunto per questo Di qua o di là divisivo al massimo, un tabù nell'Italia delle presunte eccellenze del territorio (non produciamo più acciaio, ma abbiamo la pizza con il cornicione alto: in caso di guerra ci difenderemo con quello), arriva dalle recenti iniziative in Belgio, che metteranno di fatto l'alcol sullo stesso piano del fumo: non proibito ma sconsigliato, comunque non promosso. Ma anche da un vento culturale che è cambiato: soltanto qualche anno  fa Antonella Viola, uno dei tanti mostri mediatici creati dall'era Covid,  e nemmeno il peggiore (Galli e Burioni hors categorie come il Tourmalet), non avrebbe potuto dire, ed essere anche presa sul serio, che anche un bicchiere ogni tanto fa male.

Insomma, se ne può parlare senza fare i medici di Google ed elencare gli effetti negativi dell'alcol, anche in modica quantità, con la birra che per il suo ruolo sociale può in certi casi fare peggio dei superalcolici. Ma il punto non è secondo noi medico-scientifico, bensì politico: è evidente che proibire o scoraggiare l'uso degli alcolici, non si dice l'abuso, porterebbe ad un numero minore di malattie (e quindi di costi per la collettività) e a meno morti e feriti sulle strade, per non dire di violenze familiari e non. Che l'alcol in qualche modo alteri i comportamenti è ovvio. Ma siamo pronti ad accettare l'ennesima proibizione-imposizione, sempre per un presunto 'nostro bene'?

Non è una domanda retorica, perché proprio l'era Covid ha dimostrato che gente come Conte e Speranza, non si dice Hitler o Stalin, può imporre qualsiasi cosa ad una popolazione conformista, informata da media pecoronissimi, che subito interiorizza cosa è 'giusto' e cosa è 'sbagliato'. Questo, ripetiamo, al di là del merito delle questioni specifiche, che nel caso dell'alcol divide anche noi stessi: personalmente beviamo un bicchiere di qualcosa di alcolico quasi ogni giorno, o meglio, ogni sera, ma siamo convinti che dalla proibizione totale dell'alcol la società avrebbe soltanto benefici. E del resto il proibizionismo negli Stati Uniti dal 1920 al 1933 aveva obbiettivi sociali, non medici e tanto meno etici. Di qua o di là complesso, in cui si intersecano diversi piani, anche quello religioso visto che seriamente qualcuno propone di inserire festività islamiche nel calendario: proibire l'alcol, in prospettiva, o no?

Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...