07 maggio 2024

Eurovision 2024: la partita di Malmö


Se la memoria non ci inganna il primo Eurovision Song Contest che abbiamo seguito, in piena pre-adolescenza, fu quello del 1983. Si tenne a Monaco di Baviera con in gara Riccardo Fogli, classificatosi all’undicesimo posto. Il brano era Per Lucia. Scoperto per caso scanalando il sabato sera sul televisore a colori appena sbarcato in casa, da lì non ce ne siamo persi uno, anche negli anni di assenza italiana, A 41 stagioni (sigh) di distanza entriamo oggi nella settimana decisiva dell'edizione numero 68 che si svolge Malmö, in Svezia. Aperta parentesi: quando eravamo ragazzini per noi il Malmö (anzi il ‘Malmoe’, come ci piaceva chiamarlo) era la squadra di calcio che aveva perso la finale di Coppa dei Campioni contro il Nottingham Forest nel 1979. Finale vista in gita di classe con i compagni delle elementari. Chiusa parentesi. Riaperta parentesi: meglio o peggio del millesimo PSG-Real di cui già il giorno dopo non ci ricordiamo?


Dicevamo che oggi, con la prima semifinale, si apre la gara canora che assegna il microfono di cristallo (tre le vittorie italiane) e che vede La noia di Angelina Mango tra le canzoni favorite, almeno stando alle quote dei bookmaker. Manifestazione blindata, considerate anche le polemiche sulla partecipazione di Israele (vietate le bandiere palestinesi), e ospitata in Svezia dopo l’ennesima vittoria degli scandinavi, con Tattoo di Loreen sospinta dalle giurie ai danni del trionfatore del televoto, il finlandese Käärijä e la sua Cha Cha Cha. Con tanto di fischi. Una situazione che potrebbe ripetersi anche quest’anno, con protagonisti ad esempio il croato Baby Lasagna (Rim Tim Tagi Dim) o lo svizzero Nemo(The Code), in una situazione di pronostici a dire il vero ancora piuttosto fluida e dove conteranno gli elementi scenografici ma anche il timing dell’esibizione.

A questo proposito, altre polemiche sono state innescate dai cambi di regolamento che ora consentono di televotare fin dall’apertura della finale (come accade a Sanremo) quindi anche senza teoricamente aver ascoltato i brani o viste le esibizioni già dalle semifinali. Una,modifica, hanno fatto notare i più critici, arrivata guarda caso proprio l’anno in cui la Svezia è stata estratta come prima a cantare. Svezia tra l’altro odiata da molti seguaci della manifestazione per avere in mano ormai da tempo i fili dell’organizzazione con conseguenti accuse di godere di favoritismi. Del resto l’Eurovision Song Contest, con buona pace di Toto Cutugno che nel 1990 lo vinse intonando Insieme 1992, è una gara che da un lato promuove la cosiddetta unione tra popoli (United by Music lo slogan permanente) ma dall’altro evidenzia i legami fra alcuni di loro così come le rivalità geopolitiche. E questo ancor più dopo l’allargamento via via sempre maggiore dei partecipanti che quest’anno sono 37. Con ritorno del Lussemburgo e uscita tra le altre di Bulgaria, Romania e Slovacchia, per lo più per ragioni economiche.

In tutto questo l’Italia ha quasi sempre goduto di un’ottima accoglienza, in particolare dopo il ritorno in gara avvenuto nel 2011 (secondo posto di Raphael Gualazzi). Forse perché abbiamo buoni rapporti con tutti ma anche perché di norma portiamo un prodotto dignitoso che non strizza l’occhio a un pubblico particolare, evitando baracconate varie. Poi per vincere di nuovo sono serviti i Måneskin, con un genere non certamente considerato ‘all’italiana’, ma sarà interessante vedere cosa accadrà quest’anno con Angelina Mango che già dalle prime prove sembra – stando a chi le ha viste – portare un’esibizione de La noia capace di lasciare il segno. Vincitrice? Difficile. Top5? Probabile.

Il giovane Berlusconi e la rivolta dei Puffi


Su Il Giovane Berlusconi abbiamo letto quasi soltanto critiche negative, ma a noi il documentario in tre parti appena visto su Netflix è piaciuto. Il lavoro di Simone Manetti ci sembra infatti staccarsi dalla quantità enorme di libri e ricordi video di Silvio Berlusconi che stanno uscendo, a quasi un anno dalla sua morte. Perché non è un'agiografia in senso stretto, anche se le interviste più importanti (Dell'Utri, Freccero, Dotti) sono di suoi collaboratori, sia pure diventati a un certo punto ex (Freccero e ovviamente Dotti), mentre alcuni fedelissimi (Confalonieri e Galliani) sono sembrati un po' bolliti. E perché il grande materiale video, scelto con cura, in un certo senso parla da solo: Raimondo Vianello che durante Pressing invita a votare Forza Italia è imbarazzante anche a trent'anni di distanza, vale più di mille pistolotti dell'Augias o del Giannini della situazione.

Insomma, lo consigliamo. Ma non ci importa di fare recensioni, quanto di ricordare un episodio citato nel documentario, che fece epoca: la cosiddetta 'Rivolta dei Puffi'. Molti conoscono o ricordano la storia principale, cioè la sospensione delle trasmissioni di Canale 5, Italia e Rete 4 in diverse regioni, tra il 13 ed il 16 ottobre 1984, per ordine di pretori che ritenevano illegale il mandare in simultanea (non in diretta, erano cassette mandate in onda alla stessa ora: il meccanismo della syndication, né più né meno) trasmissioni nelle varie regioni italiane. Craxi, allora presidente del Consiglio, fece in modo di ripristinare le trasmissioni con un decreto e qualche mese dopo blindò la sua iniziativa con quello che è ricordato come Decreto Berlusconi, reiterato fino a diventare legge.

In quei giorni convulsi dell'ottobre 1984 in molte città italiane ci furono manifestazioni, molte spinte da Berlusconi ma molte anche no, di persone che chiedevano di poter vedere di nuovo i tre canali sul loro televisore. Ma soprattutto i centralini della Rai e dei giornali furono intasati da ragazzini si lamentavano di non poter vedere i loro cartoni animati, in particolare i Puffi. Proteste ingigantite ad arte e non tutte genuine, come abbiamo detto (in stile marcia dei quarantamila), ma che in molti casi arrivavano dal profondo ed esprimevano sentimenti reali. Ovviamente sbeffeggiati da chi non capiva che stava nascendo, o forse era sempre esistita, una generazione fondamentalmente apolitica (e quindi di destra, secondo una certa visione), disposta a protestare per motivi che alla allora classe dirigente sembravano inconcepibili.



06 maggio 2024

Menotti o Bilardo?


Cesar Luis Menotti o Carlos Bilardo? La morte dell'allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978 riapre l'eterno confronto con quello dell'Argentina campione nel 1986. Menottismo contro bilardismo: più dichiarazioni ideologiche che realtà concrete, vista l'importanza che Menotti dava alla preparazione fisica e alla difesa, che infatti non toccava quasi mai. Però sia in Argentina sia in Italia questi due grandi tecnici sono sempre stati visti in contrapposizione, anche per le differenti epoche di cui sono stati involontarie icone: Menotti del regime militare, Bilardo del ritorno alla democrazia.

La loro storia è simile: coetanei, entrambi nati nel 1938, entrambi calciatori che l'Albiceleste l'hanno sfiorata (ma la carriera di club del regista Bilardo è stata nettamente meglio di quella dell'enganche Menotti), entrambi uomini di cultura ed in questo senso alieni rispetto al calcio dell'epoca e di oggi, entrambi campioni del mondo, entrambi con una lunga, nel caso di Menotti lunghissima, carriera nei club vincendo pochissimo (di fatto un Metropolitano per ognuno), e venendo spesso contestati.  Ed entrambi con una storia segnata dal rapporto con Maradona.

Che Menotti fece esordire sedicenne in nazionale, salvo poi non convocarlo per il Mondiale in casa (fu uno degli ultimi tre scartati per arrivare a 22) e pentirsene, impostando su di lui il quadriennio successivo, mentre Bilardo si affidò totalmente a lui, in maniera non troppo diversa da quanto ha fatto Scaloni con Messi. Certo Maradona, con la ferita del 1978 che non si era mai davvero rimarginata, ha sempre avuto più calore (ricambiato) nei confronti di Bilardo ed anche in questo caso, con epoche vicine, i confronti sono difficili perché l'Argentina 1978 aveva un livello medio dei singoli molto più alto. In ogni caso i due non si sono mai amati e non hanno mai perso l'occasione per criticare il rivale: adesso Menotti non lo può più fare, e Bilardo purtroppo non è in grande forma. Menotti o Bilardo?

Melli e dannati


 Oscar Eleni, ispirato da Lorenz, felice di stare nella giungla indonesiana per poter intervistare Rakus, l’orango ferito che per cinque giorni si è curato da solo con le erbe e non vuole farci sapere se ce ne sono di utili se, ad esempio, diventi pazzo con il fuoco di un santo. Con lui, però, si sta bene e si può capire meglio l’armonia del mondo che sembra sorridere anche se c’è chi gioca con le bombe e parla di guerra senza vergognarsi perché diventa più ricco, fingendosi più giusto. Sono giorni dove è difficile fare ginnastica con i sentimenti perché mentre festeggi le staffette che prendono il passaporto per le Olimpiadi sulle piste di Nassau ecco la sirena che svuota tre cantieri sulla Senna.

Nel giorno dei brindisi per la famiglia dei velocisti che riabbraccia Jacobs ecco Marcello vanificare il bronzo mondiale andando fuori zona nel cambio con Patta che in finale volava con le scarpe giuste perché in qualificazione i giudici gli avevano negato le sue, costringendolo ad usare quelle di un quattrocentista. Pazienza, perché è il giorno dove anche la 4x100 femminile si prende un posto a tavola sotto la torre Eiffel. Benedetta atletica, grande Fabbri, bellissimo Riva sui 1500, nel giorno in cui la pallavolo fa il pieno di gloria in Europa, viva Trento, viva Conegliano e anche MILONZA come dice per irritarci il carissimo Rapuzzi voce  appassionata del volley, nel mattino radioso delle ginnaste con Manila Esposito, napoletana taglia forte ispirata da Geolier oltre che dal magnifico rettore Casella, maestro di chiavi del regno, che si prende addirittura 4 ori. Ci voleva per dimenticare le curve vuote di stadi dove il calcio si barrica vedendo politici invasori e invasati, era l’ambrosia giusta per non deprimersi vedendo la fine televisiva di trasmissioni che ci rendevano felici: prima Splendida Cornice con la ex cestista Cucciari al timone, poi il Viva Rai 2 del Fiorello immaginifico e sublime.

Niente drammi, ci mancherebbe di essere depressi nel giorno in cui il basket ha scelto le sue otto principesse per il ballo delle regine, quello dove la Virtus Bologna potrebbe diventare la Elisabetta che taglierà la testa all’Armani che le ha regalato il fattore campo e si è vestita da Maria Stuarda nel pomeriggio salvato da capitan Melli difendendo un secondo posto che avrebbe forse meritato Brescia, l’avversaria per Milano prima di pensare alle finali di giugno, il minimo richiesto alle più ricche del reame.

Basket che non ascolta il vento di chi vorrebbe rinnovare, cambiare, che non legge il Domenicale, che non capisce le basket visioni, i messaggi della sua base, mondo in agitazione perché non è detto che Petrucci sarà rieletto per la quarta volta vista la fronda del Nord Est e della Lombardia. Pallacanestro che onora i suoi ex campioni che hanno attraversato la linea finale della vita, prima il Motto biellese che sapeva farsi amare e poi Giusto Pellanera, il grande alpino, come lo vedeva il Bell di Vision, per rocce con colori diversi, prima quelle virtussine poi sulle montagne della Fortitudo, ex azzurri, grandi personaggi.

Palla al cesto che congeda con dolore anche due grandi società dal massimo torneo. Brindisi era già condannata prima di perdere a Brescia, Pesaro ha retto poco a Venezia mentre Treviso volava sulle alucce di una Tortona  stonata, condannata alla retrocessione dopo 17 anni nel massimo campionato onorato spesso e vinto anche nell’età dell’oro di Walter Scavolini e del suo cardinale protettore  Puglisi.

Una settimana per truccarsi e pensare in grande perché da sabato DMAX ed Eurosport offriranno i play off anche a quelli che non  hanno DAZN e non possono chiedere a Trinchieri, voce tonante di questa rete, perché si arrabbia se i giornalisti lituani lo stuzzicano chiedendogli se i suoi kaunisti sono con la mente già in vacanza. Strano questo risentimento per chi viene dall’Italia e sa bene come vengono maltrattati gli allenatori. Pensiamo a Pioli che oggi viene torturato come due anni fa capitò al Simone Inzaghi che ha dovuto persino spiegare perchè l’Inter battuta dal Sassuolo sembrava distratta dopo tante feste per lo scudetto della seconda stella. Caro Rakus, orango gentile, adesso è il momento per  pagelle che dividono e fanno squillare  per insulti  anonimi.

10 Ancora una volta a Gianluca Basile e alla sua vita nuova sui campi e fra preziosi amici randagi per aver spiegato i suoi “ tiri ignoranti” che erano meravigliosi quando lui e gli altri “banditi” di Tanjevic  con Fucka al timone si prendevano l’oro europeo.

9 Al MELLI che sta facendo impazzire chi non sa ancora se davvero resterà a Milano. Lui, intanto, fa canestri che aiutano, guida una ciurma di marinai spesso indolenti che potrebbero anche rivincere lo scudetto, anche se la Virtus ha  pure il fattore campo a favore oltre al talento di squadra.

8 Al VAZZOLER che anche da dimissionario era sulle tribune del PALAVERDE a festeggiare con il popolo trevigiano per una salvezza strameritata da Veleno VITUCCI e dai suoi giannizzeri risvegliati dopo l’inizio da brividi con 9 sconfitte.

7 Ad Elio GIULIANI e Simone FREGONESE, due grandi colleghi che come addetti stampa per grandi società come PESARO e TREVISO hanno reso dolce il naufragare di qualsiasi polemica, aiutando tutti, rendendo bello il nostro lavoro. Hanno lasciato, uno si occupa di arte e l’altro brinda con le pallavoliste. Buona fortuna cari amici.

6  A Giorgio ARMANI che sicuramente ha brindato al titolo della sua under 19, uno scudetto giovanile che mancava dai tempi dorati quando l’Olimpia aveva un’anima diversa. La vittoria sui gioielllini di Tortona racconta che finalmente le grandi società forse pensano positivo anche per i vivai.

5 A VARESE se festeggiando Nico MANNION e la salvezza dimenticherà gli errori nella costruzione di una squadra che comunque ha  fatto spesso il tutto esaurito a Masnago.

4 Al caro BONICIOLLI se ancora una volta volesse prendersi colpe che non sono certo sue e che con SCAFATI ha sognato prima di perdere Logan e poi il treno giusto. Lo ha fatto sempre in una carriera dove davvero meritava molto  di più.

3 A SASSARI se butteranno via il bambino che sembra poter crescere bene con l’acqua sporca di un finale di campionato che avrebbe potuto essere grandioso senza inciampare sulle radici della fatica dopo i tormenti con e per BUCCHI.

2 A PESARO per una stagione balorda, diventata veleno con le dimissioni di Ario COSTA, in caduta libera cacciando BUSCAGLIA, portando nel gorgo SACCHETTI che ora qualcuno mette pure alla sbarra.

1 Agli ARBITRI se, oltre a festeggiare giustamente la designazione olimpica del MAZZONI al terzo mandato fra i cinque cerchi, non ragioneranno su questa stagione appesantita dal VAR con partite che sono quasi sempre durate più di due ore.

0 Al BASKET come popolo che sembra non fare abbastanza per riavere in edicola luci come quelle dei tempi in cui i Giganti e il mondo di Aldo Giordani erano la voce della base e non dei padroni. Adesso abbiamo soltanto Basket MAGAZINE, bellissimo, con tante storie da leggere e ritagliare, ma, purtroppo, è soltanto mensile. Voi che potete, ridate un settimanale che abbia anima e voglia di tenere svegli i padroncini di oggi.


Oscar Eleni

05 maggio 2024

Le migliori canzoni della Premiata Forneria Marconi


Viviamo nell'ansia che nel selettivo tabellone del Festival di Indiscreto ci si dimentichi di grandi nomi della musica italiana, così ci giochiamo subito tutti quelli che pensiamo manchino nella nostra divisiva competizione. Fra questi la PFM, cioè la Premiata Forneria Marconi a un certo punto inglesizzatasi (per i media) nel nome nel tentativo di sfondare all'estero. Il gruppo ha una storia complessa, fra cambi di nome (nati come Quelli, poi Krel, poi Premiata Forneria Marconi) e di formazione, con certe fasi in cui non si è capito chi fosse un componente, chi un turnista, chi un ospite. Il tutto in mezzo a scioglimenti che non sono mai stati tali, a mezze reunion per tour celebrativi, e ad una buona stampa che gli ha permesso di vivacchiare per decenni.

Nell'assetto attuale, a più di mezzo secolo dall'inizio, fra i sei ci sono Franz Di Cioccio (l'unico ad esserci sempre stato), Patrick Djivas e Lucio Fabbri, e fra i tanti del passato troviamo giusto ricordare Flavio Premoli, Franco Mussida e Mauro Pagani. Ma l'elenco delle collaborazioni di un gruppo che come molti abbiamo scoperto grazie a De André è davvero sterminato. Ricordiamo solo, come nomi di culto, Teo Teocoli cantante nell'epoca Quelli, quindi metà anni Sessanta, e Demo Morselli (proprio quello del Costanzo Show) turnista molti anni dopo. La certezza è che a livello di immagine nel prog italiano esiste la PFM e poi tutti gli altri, anche se chiunque ricorda più successi del Banco, degli Area (da cui veniva Djivas) e dei New Trolls rispetto a quelli della PFM.

Nel prog i singoli contano meno che in altri generi, senza contare il fatto che i grandi gruppi prog si caratterizzano per il saper suonare, spesso bene come nel caso della PFM, mescolando più generi, più che per la canzone da fischiettare o da ascoltare in maniera compulsiva tipo trapper. In ogni caso non c'è dubbio che a livello creativo la PFM il meglio lo abbia dato negli anni Settanta. In ordine cronologico le prime due canzoni sono ex aequo, perché La carrozza di Hans è il lato A del 45 giri di esordio, nel 1971, mentre Impressioni di settembre è il lato B. Esordio davvero clamoroso: per entrambi i pezzi musica di Mussida e testi di Pagani, con inserimento di Mogol (erano nel giro di Battisti, oltre ad avere la Numero Uno come casa discografica) in Impressioni di settembre. Dopo avere azzeccato altri pezzi, su tutti La luna nuova, scritta nel 1974 d Djivas, la PFM ha anche un discreto successo all'estero, con collaborazioni eccellenti, ma con il prog davvero si gioca in trasferta. Il ritorno al successo italiano è del 1980, con l'album Suonare Suonare. Ma il prog e il meglio sono già passati.

03 maggio 2024

Maionchi o Ferro?

 Mara Maionchi o Tiziano Ferro? Lo scopritore o il talento scoperto? Chi ha fatto del bene o chi l'ha ricevuto? Volendo puntare in alto: genitori o figli? Il litigio mediatico fra la discografica ed il cantante fornisce l'assist alla Kroos per un Di qua o di là che ci riguarda tutti. Perché non è che la Maionchi abbia accusato Ferro di qualcosa di particolare, ma ha soltanto espresso il dispiacere per essere da lui poco considerata, anche soltanto per gli auguri natalizi. Dal suo lato il cantante, lanciato della Maionchi e dal marito Alberto Salerno con Xdono nel 2001, che anticipò Rosso Relativo e tutto il resto, sottolinea che invece negli anni ha più volte espresso apprezzamento per la donna che lo ha lanciato.

In mezzo c'è la durezza della vita. Si smettono di sentire amici, familiari, conoscenti, persone che hanno fatto qualcosa per noi, non per scelta ma perché travolti dalla quotidianità, in certi casi anche perché si è cambiati e non si possono riproporre gli stessi rapporti, con le stesse parole. Quanto è imbarazzante e doloroso sentire una vecchia zia, anche soltanto per gli auguri? O uno che ha fatto il servizio militare con te e con il quale hai condiviso segreti mai condivisi con altri? Poi al di là dei silenzi nel caso Maionchi-Ferro sono volate parole anche pesanti, con il cantante che ha accusato la sua scopritrice di avergli consigliato, per motivi di marketing discografico, sia di dimagrire sia di nascondere la propria omosessualità. Non è che lo abbia costretto: è Ferro che ha trovato conveniente andare avanti per anni, nelle canzoni e nelle interviste, a fare l'etero o comunque a lasciare nel dubbio.

La gratitudine e l'ingratitudine generano quindi un Di qua o di là che speriamo sia divisivo. Del resto quasi tutti, nella nostra miseria, siamo stati da entrambe le parti della barricata: quelli che hanno fatto del bene, magari anche per tornaconto personale ma comunque scegliendo una persona invece che un'altra, e quelli che l'hanno ricevuto, pur non avendo qualità nettamente superiori alla concorrenza. Un sondaggio anche personale, con dentro la rabbia per tante parole non dette e non ascoltate. Maionchi o Ferro?


02 maggio 2024

Challengers

 Challengers è un film da guardare? Seconda domanda, questa da giornalista collettivo: Challengers è un film gay? L'ultima opera di Luca Guadagnino, che nei suoi primi giorni al cinema sta andando benissimo, non ha sorpreso chi, come noi, l'ha guardata spinto sia dai suoi precedenti film sia dal tennis che fa da sfondo alle vicende dei tre protagonisti. Su tutti Tashi, interpretata da Zendaya, ex grande promessa del tennis diventata allenatrice di Art, che poi diventerà anche suo marito oltre che un giocatore di alto livello, in mezzo a un triangolo con Patrick (non spoileriamo oltre), anche lui tennista oltre che amico ed ex compagno di doppio di Art. La parte sportiva è ovviamente un pretesto, anche se questo può essere definito uno dei pochi veri film sul tennis, escludendo biopic e documentari.

Veniamo al punto. Challengers è più gay nei trailer e in certe recensioni che nella realtà, almeno ad un primo livello. Perché al di là del cameratismo, che riaffiora anche a distanza di anni, entrambi sembrano volere la ragazza. Certo tante inquadrature omo, a partire da quelle negli spogliatoi, vanno a parare proprio lì, senza contare i non detti. Non diciamo, sempre in ottica anti-spoiler, chi farà sesso con chi, ma ci sono vibrazioni in ogni senso. Di sicuro qualcuno scriverà, o avrà già scritto, che i due tennisti facciano sesso fra di loro attraverso la comune amica, ma questo fa parte del solito teorema secondo cui tutti, in fondo in fondo, sono gay. Una vera fissazione, oltre che una tassa per avere buone critiche o comunque non essere attaccati, usando lo scudo stellare dell'omofobia.

Per quanto riguarda il tennis, eravamo curiosi di come Brad Gilbert avesse preparato i tre attori e bisogna dire che tutti e tre in campo sono poco credibili (Zendaya la migliore), ma nessuno è ridicolo. Merito anche della musica, delle inquadrature, del ritmo. Per sua stessa ammissione Guadagnino di tennis non sa niente ed ha quindi avuto buon gioco nel concentrarsi sul lato estetico del gesto (incredibile che ci abbia lavorato Gilbert), della fatica, degli sguardi, del sudore. Certo di scene in campo ce ne sono tante, anche se il regista vuole chiaramente dire altro. Giudizio finale: la storia ci ha preso, anche per i diversi momenti delle vite dei tre e per il fascino delle occasioni perdute, ma è tutta estetica. Ci fa vibrare meno di tanti altri film sul tema bromance. Adesso gettiamo la maschera da Mereghetti dei poveri e teniamo per la fine ciò che davvero volevamo dire: Zendaya non ci accende più di tanto, le scene di tennis ci hanno annoiato meno delle altre. Da vedere al cinema, in televisione meglio le repliche dell'Uomo Tigre (le stiamo guardando davvero).


30 aprile 2024

Tutta la vita con i Ricchi e Poveri

Ma non tutta la vita dei Ricchi e Poveri è il vero brano vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo? Probabilmente no, ma classificatosi appena alla ventunesima posizione ha scalato le graduatorie che oggi forse contano di più, ossia quelle degli ascolti in streaming. Quelle del pubblico giovane (o presunto tale), giocandosela alla pari con i vari trapper e similia oltre che con la trionfatrice Angelina Mango. Un successo, quello di Ma non tutta la vita e dei Ricchi e Poveri, premiato con il disco d’oro (certo molto diverso rispetto a quello che si assegnava negli anni 80), che nessuno degli osservatori aveva previsto. Anzi i giudizi iniziali che avevamo letto in anteprima non erano certamente di tipo elogiativo.


Ma non tutta la vita
 era visto come un brano che sapeva di vecchio, poco moderno, anzi fuori tempo massimo. Zitti zitti Angela e Angelo hanno invece sovvertito i pronostici e guadagnato sempre più consenso proponendo un significato ben centrato e grazie a un’intelligente strategia di comunicazione. Ma non tutta la vita è di fatto un invito a non perdere le occasioni, a non far passare il tempo all’infinito. Detto questo, è gradito per noi il successo che i Ricchi e Poveri stanno raccogliendo, loro che ci sembrano da sempre parte della vita (da quando erano in 4, poi in 3 e ora in 2).

Un quartetto, quello iniziale dei Ricchi e Poveri, che ha vissuto momenti di grande popolarità negli anni 70, tra alti e bassi, riguadagnandola come trio all’inizio degli anni 80 anche grazie alla mano di Freddy Naggiar e della sua etichetta Baby Records. Non c’è dubbio che sia stato infatti il magico decennio a portarli in giro per il mondo, da Sarà perché ti amo in poi, con i loro brani costruiti per piacere subito (da leggere a tal proposito la nostra intervista a Cristiano Minellono)  e Ma non tutta la vita rientra proprio in quel filone solo apparentemente scanzonato, che entra bene in testa. Poi con oltre 8 milioni di ascoltatori mensili su Spotify c’è solo da essere contenti per loro… ma anche per noi.

29 aprile 2024

Fortuna per gli sfigati


 Oscar Eleni fra i vulcani di Alelujela, la grande devozione, cercando un compromesso fra stambecchi e primati in via di estinzione come le buone regole dei giochi, persino quelli olimpici che potrebbero affondare nella Senna. La vallata degli infelici, quella dove si radunano tutti gli allenatori che non hanno vinto, sta mettendo ai voti una petizione per tifosi disagiati, dirigenti impreparati, giocatori con il cervello in discoteca e il cuore in banche che non danno interessi alti se non sei uno che può andare in giro a dire: io sono io e voi non siete un cazzo.

Per fortuna ruggiscono motori veri come quello sulla moto di Bagnaia e quello alimentato dalla voglia di tenersi il titolo olimpico del Marcell Jacobs che vorremmo bello cattivo alle Bahamas con la staffetta. Nel Paese senza memoria è facile scordarsi quello che avevi detto soltanto ieri. Succede anche nello sport, ovviamente. Nel calcio, ad esempio, dopo il pianto per la Champions che va avanti senza italiane ecco la felicità scoprendo altre coppe e forse anche una formula per averne 10, di squadre nelle coppe dell’anno prossimo.

Tutti in bambola rosa per il Giro che sta partendo senza italiani che possano vincerlo, pazienza, lo sport non ha frontiere. Si celebrano i campioni, non importa dove sono nati. Mentre Malagò aggiunge fiori ai suoi cannoni olimpici sembra che soltanto il basket sia rimasto senza santi nel paradiso  dove fanno esami per andare in Francia, ma nella palla al cesto, pur ostinandosi a fare le cose ben diversamente dalla pallavolo che propone al mondo Perugia e Conegliano o magari Milano, le sue squadre campioni, avendo la certezza di essere in campo alle Olimpiadi anche se manca l’ultimo timbro.

In questo basket petrucciano, si diceva, l’unico nostromo che cerca ancora balene bianche è rimasto Pozzecco. Per gli altri, molti maestri, adesso che l’Europa ha mandato tutte le nostre a quel paese, conta soltanto il fumo della fiesta tricolore, i playoff. Il resto è noia e, al massimo, una breve, tanto per non accorgersi che le coppe vanno  altrove. L’ultima quella della Champions Fiba a Malaga dopo la finale tutta spagnola contro Tenerife vinta a Belgrado. Pozzecco e la sua scialuppa in un mare tempestoso, su una barca dove ogni giorno cadono fuori probabili azzurri: dopo Procida e Spagnolo, dopo le notizie che non danno fra i sanissimi né Fontecchio e magari Gallinari, ecco Severini che sembra fuori gioco mentre Petrucelli non guarisce e i grandi vecchi arruolabili ci stanno pensando, ma non hancora accettato. Importante passare oltre.

Guardate le carezze che stanno facendo alle nostre regine, anche se una, alla fine farà la fine della Stuarda e l’altra sarà Elisabetta felice di avere la testa della nemica nella cesta della finale. Armani con tutti i peccati possibili sulla gobba, Virtus Segafredo con tutti i rimpianti per aver mancato i play off dell’Eurolega, sapendo di avere, come Milano, sbagliato abbastanza nel costruire la squadra, anche se al momento quel primo posto in classifica da confermare, battendo quel che resta di Trento domenica prossima, è una quasi garanzia di poter avere lo scudetto che il Messina si è preso nelle ultime due stagioni.

Basket che senza Europa trova rifugio in paginoni dove le coppe, ovviamente, diventano brevi anche se SKY ci permette di vedere dove si gioca davvero ad un livello tecnico e fisico superiore, pur rimpiangendo di aver mancato le finali anche contro squadre che non avevano tanto più di Milano o Bologna, quasi tutte molto distanti dal  Real Madrid dominante che si è anche ripreso la testa nel suo campionato dopo qualche regaluccio.

Finta primavera per  chi ama regalare dove le motivazioni fanno risultato anche se poi la vittoria della Brindisi spacciata su Venezia non ha salvato dalla retrocessione dopo 12 anni una società che, per fortuna, non starà a piangersi addosso e sa di poter tornare a spendere come stella del Sud che anche in questi play off del basket non andrà oltre i confini della Toscana, tenendo il meglio fra Lombardia ed Emilia, una piaga che rende ancor più invisibile il basket già trattato con i piedi da chi dovrebbe avere qualità soltanto con le mani.

Prendete la saggia decisione di far giocare alla stessa ora tutte le partite delle ultime due giornate, cosa che non sono riusciti  a fare nelle coppe e anche in sport ben più ricchi. Una scelta giusta, ma si poteva sfruttarla meglio parlandone con le televisioni dove il basket va in diretta. Poteva essere l’occasione per lasciar andare nel vento parole e musica quasi inutili, commenti tecnici travestiti da banalità, per mettere in piedi un basket minuto per minuto che avrebbe facilitato anche il compito dei commentatori costretti a stare sui fatti più che sulle manfrine di arbitri che perdono minuti per decidere  su immagini rallentate, trovando la soluzione  sfuggita dal vero sul campo. Bello vedere quando sorridono in tre anche se poi dalle panchine sputano fuoco.

Basket che a 40 minuti dalla fine ha le sue otto finaliste dove non troveremo la Napoli vincitrice della coppa Italia. Gruppo di elette dove a sorpresa  canteranno la neopromossa Pistoia, la Reggio Emilia che l’anno scorso lottava per salvarsi, il progetto Tortona che sembrava svanito per colpe che erano di tutti e non soltanto di Ramondino, piccolo paradiso anche per la Trento che alle finali arriva in pezzi, ma con il cuore intatto. Avanti con le pagelle gridano dal vulcano spento, avanti con le baggianate urlano dal cratere dove invece il diavolo sputa di tutto  perché in giro si prega per la pace, ma poi si fanno i soldi con la guerra come diceva quel famoso miliardario cinico: quando c’è sangue nelle strade e la guerra incombe è il momento di investire.

10 A POZZECCO che con la giusta ironia, vedendo che  ò tornato a vincere  anche il rugby, tormentato adesso da battaglie intestine per contrastare il presidente Innocenti, uno che sul campo non porgeva mai l’altra guancia, ha fatto sapere a Petrucci e Malagò che se davvero il basket è l’ultima squadra di sfigati non si arrenderà sperando di farcela alle preolimpiche di Portorico.

9 A PISTOIA vera rivelazione dell’anno, un premio per chi ha costruito una squadra bella e una società con dentro qualcosa che ora si godranno gli americani.

8 Al mondo FORTITUDO per come ha ricordato il Douglas del tiro scudetto, nella finale contro Milano, scomparso a soli 44 anni. Non è retorica quando si dice che la morte fisica non farà mai dimenticare la vita e  le qualità di chi ha servito bene nella battaglia dell’esistenza.

7 Al COLDEBELLA che ha visto la Reggio Emilia costruita così bene arrivare al porto dei play off con una settimana d’anticipo. Come giocatore sapeva dove mettere la faccia, come dirigente sa dove mettere le mani. Una bella scoperta.

6 A  CINCIARINI e TAMBONE per aver tenuto in vita le speranze di Pesaro che  domenica  a  Venezia conoscerà il suo destino, ma anche lei , come BRINDISI ha saputo onorare una battaglia dove TREVISO ha trovato le armi giuste per restare dove merita.

5  A MILANO e BRESCIA che avevano la tavola apparecchiata come deve essere per le prime in classifica anche se poi per i quasi 10 mila, qualcuno dice 8 mila, chissà, i camerieri hanno portato in tavola un brodino da ospedale.

4 A VARESE se non rifletterà bene su questa salvezza trovata e forse non del tutto meritata se pensiamo alla resa contro Treviso in una sfida che poteva diventare decisiva. Caro Scola è il momento di tornare a guardare la sala coppe della società e poi pensare a Masnago sempre pieno. La gente bosina ha pazienza, ma non si sa fino a che punto.

3 A VALENTINE, utilizzato soltanto 4 minuti da Messina, se, insieme ad altri giocatori  invisibili che dovevano dare all’ARMANI certezze a sostegno della dichiarazione “Non faremo prigionieri” non spiegherà come hanno fatto i loro agenti a lucrare contratti così consistenti. Non diteci che è tutta colpa dei video.

2 A NAPOLI per aver perduto nella festa dopo il successo in coppa Italia quella magia che faceva della squadra di Milicic e Dalla Salda una bella realtà  capace di risvegliare una città dove il basket è storia.

1 Alla REYER e ai suoi umori  che sembrano influenzati dall’acqua alta senza protezione. Come dice l’allenatore questa mancanza di concentrazione  se si nota poco, come nel viaggio a vuoto sul campo di Brindisi, diventerà una palla al piede se davvero la quinta e prima avversaria dei play off dovesse essere Reggio Emilia.

0 Alla LEGA, a tutti quelli che nelle televisioni hanno sprecato la grande occasione di mettere in scena un vero basket minuto per minuto e siamo sicuri che il Bagatta, ad esempio, sarebbe  stato più felice di poterlo dirigere piuttosto che ragionare sulla partita in maschera fra Milano e Brescia, troppo malandate e piene di infortunati per capire dove potranno arrivare e le dichiarazioni finali  di Messina e Magro, soddisfatti alla loro maniera, dice che il campo ha mostrato soltanto ombre e non giganti.


Avvocato di difesa


Mickey Haller
 è come fama il secondo dei personaggi creati dalla fantasia di Michael Connelly ed è il protagonista di Avvocato di difesa, la serie Netflix arrivata alla seconda stagione e che fra poco ne avrà anche una terza. Il titolo originale, The Lincoln Lawyer, rende meglio l'idea perché nei romanzi l'auto (una Lincoln Navigator targata NTGUILTY) è centrale, non è un mezzo di trasporto, con tanto di autista, ma un modo di essere visto che è lì che l'avvocato Haller, che (nei libri) non ha uno studio fisico, prepara, anzi non prepara, i suoi casi sparsi nei tribunali di mezza California, con processi a cui si presenta un nanosecondo prima dell'inizio dell'udienza.

A chi ha visto l'omonimo film del 2011, con Haller che ha il volto di Matthew McConaughey mentre nella serie èManuel Garcia-Rulfo, diciamo che le storie della serie sono diverse ma che l'impostazione è uguale: clienti di Haller nella media sgradevoli, al di là della loro colpevolezza, ribaltamenti del vantaggio continui fra lui e la procura, casini suoi personali fra dipendenze ed una vita privata complicata, con due ex mogli con cui è sempre in contatto (Maggie, la nostra preferita perché siamo giustizialisti, è un pubblico ministero, Lorna la sua segretaria ma aspirante avvocato, oltre che moglie di Cisco, l'investigatore di Haller), una figlia adolescente, varie ed eventuali. Come al solito inutile il giochino delle differenze, possiamo chiuderla con il padre di Haller che nei libri è morto con lui piccolo mentre in televisione è una specie di consigliere-Super Io.

Perché dedicare 20 ore, in attesa della terza stagione, della propria vita a guardare questa serie? Perché il meccanismo narrativo è appassionante e non soltanto perché la base è di un genio come Connelly, al punto da far dimenticare le tasse woke da pagare: l'overdose di attori neri (che però hanno più senso nella Los Angeles di adesso che nell'Inghilterra dell'Ottocento), i cattivi che sono quasi sempre ricchi, la microcriminalità fatta passare per una fissazione del popolino, la polizia spesso sfottuta e di default violenta, spesso anche corrotta, i pistolotti che vengono fuori qua e là.

Perché non dedicare 20 ore della propria vita ad un serie che comunque è fra le più viste su Netflix? Quasi per gli stessi motivi per cui la si guarda: la sua assenza di pathos, la scarsa presenza di violenza o sesso, la sua semplicità che permette di stopparla e riprenderla, i suoi collaudati schemi da legal classico, con la prova decisiva che deve sempre arrivare e sai che più o meno alla fine sempre arriverà. Intrattenimento fatto bene, per dirla in poche parole, senza particolari guizzi. Festival del product placement, stando soltanto alle cose che abbiamo colto: davvero martellante quello di Uber, al livello del J&B nel cinema italiano anni Settanta. Va bene, siete californiani mentre da noi il POS non funziona mai (e non c'è Uber, soprattutto), ma non fatelo pesare.

28 aprile 2024

Prosecco di traverso

 Le stelle della gloria abbracciano ancora una volta l'Imoco Prosecco Doc di Conegliano che vince il suo settimo scudetto, il sesto consecutivo, ricordando il mito Teodora Ravenna di Manu Benelli campione 11 volte di fila dal 1980 al 1991. Lo fa trionfando a Firenze (3-1) in gara 4 di finale playoff contro la Savino del Bene Scandicci, utilizzando tutte le numerose armi tecniche e agonistiche di cui dispone. L'impero però aveva tremato, sembrava davvero che potesse cadere, dopo che le toscane in gara 1 avevano fatto saltare il banco del fattore campo nel tempio sacro del Palaverde, fino ad allora inespugnato.

Da un tie break 13 a 9 per le gialloblu Conegliano ha rovesciato la situazione a suo favore, approfittando con bravura dei regali ricevuti. Molti avranno pensato che la storia fosse pronta a scrivere una pagina nuova, ma non è stato così. L'Imoco oltretutto in gara 2 si è  trovata con la marea che saliva sempre di più, a un passo da un 'altra sconfitta che avrebbe potuto indirizzare in modo decisivo la serie. Ma la sua reazione da squadra straordinaria non lo ha permesso, attraverso un tie break vincente da cineteca: li si è deciso l'esito anche delle partite successive.

È stato un playoff scudetto tra i più belli degli ultimi anni. Combattuto punto a punto, meraviglioso sia tecnicamente sia agonisticamente, con una costellazione di campionesse di livello mondiale in campo a darsi battaglia, il tutto in palazzetti pieni ricchi di civiltà. Come Mvp, senza dubbi, è stata scelta Bella Haak, immarcabile. Ha travolto tutto quello che trovava di fronte. la svedese dal fisico imperiale, poco mediatica, però seria ed efficace, concentrata sul suo lavoro. Una così capace di fare gruppo meriterebbe una nazionale alla sua altezza. Rimane comunque un esempio non soltanto tecnico per molte, anche per la nostra Egonu.

Scandicci è stata una degnissima avversaria, con le sue possibilità per vincere, guidata dalla luce di Maja Ognjenovic (39 anni), sostenuta dalla scatenata Antropova (21) e dall'energia di Herbots, oltre che sottorete da Carol, una delle centrali più forti al mondo, mentre l'esperto e vincente coach Barbolini sperava di ripetersi ancora. Ora è pronto a fare il vice di Velasco in questa estate azzurra così importante e piena di speranze, sognando quell'oro olimpico che per la pallavolo italiana è sempre stato il Sacro Graal. Le azzurre non sono le favorite, ma la pallavolo moderna ci ha abituato a sorprese anche più grandi.

Bisogna ricordare che in finale non sono arrivate due Cenerentole di provincia, che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena, ma due grosse realtà. La Savino del Bene, pochi lo sanno, è una multinazionale nei trasporti con una forza economica impressionante, patron Nocentini da anni investe moltissimo senza raccogliere in proporzione. Nel tempo numerose grandi giocatrici non sono rimaste (la Haak, per dirne una), e fra tanti ingaggi pesanti mai è stata creata una colonna portante della squadra su cui basare un ciclo. I soldi ci sono e la vicinanza con Firenze fa scattare meccanismi mediatici tipo Monza-Milano (ma in A per Firenze c'è anche l'Azzurra), di cui ad esempio Conegliano non beneficia. Se i soldi non mancano chi fa mercato non è stato lungimirante o competente, quindi. Se poi per l'anno prossimo iniziano contattando la Bajema le perplessità rimangono, anzi aumentano.

Come programmazione tutto il contrario dell'Imoco, nata sulle macerie di un fallimento. Nel 2012 un gruppo forte d'imprenditori di successo si è unito organizzando con competenza la società, rappresentata al meglio dal presidente Piero Garbellotto, decisivo nella gestione degli sponsor, e da Piero Maschio che si occupa del mercato e fa la differenza rispetto agli altri club. I 23 titoli conquistati non sono un caso, quest'anno in bacheca c'erano già la Coppa Italia e la Supercoppa, in attesa delle Superfinals il 5 maggio contro Milano. Parte e continua tutto da loro, che hanno subito capito che per vincere e superare le tempeste serve creare una colonna portante fissa negli anni, con giocatrici che sappiano unire lo spogliatoio, trasmettere una mentalità vincente, indicare i comportamenti giusti integrando le nuove arrivate.

Poi non si può prescindere dai valori sportivi. Infatti a Conegliano ci sono il genio di Wolosz, l'immensa De Gennaro, il totem De Kruijf e la ritovata dopo tante sofferenze Sara Fahr, presenti da anni nonostante le ricche offerte ricevute. Ma  Conegliano, con le sue strutture e uno staff di prim'ordine oltre a un tifo numeroso e appassionato, è difficile da lasciare. Situazione che fa stizzire gli altri, come abbiamo scritto più volte, con il Prosecco che va di traverso, e che porta a volte a commenti del genere "A chi importa di Conegliano?" (con altre parole, ma il concetto è questo). Poi a volte gli scudetti vengono vinti nelle grandi città e lì si scopre, non solo nel volley, che si finisce comunque in due righe disperse fra il calciomercato.

Coach Daniele Santarelli anche lui protagonista storico, si conferma in una sua striscia vincente consecutiva da brividi, considerando anche le nazionali, Serbia (Mondiale) e Turchia (VNL ed Europeo). Magari poco simpatico a qualcuno, non ha i media (quei pochi che si occupano di pallavolo, niente di paragonabile al calcio) amici per esempio di Giovanni Guidetti e quindi questo suo lavoro straordinario non avrà il risalto che meriterebbe, ma i risultati certamente parlano anche per lui e rimaranno per sempre. Conegliano è una storia meravigliosa, un esempio per tutti gli sport, e sta scrivendo un libro emozionante, da ricordare, che riempie il cuore e lo spirito.


Le migliori canzoni di Povia


 Nei giorni scorsi, in occasione dell'addio di Amadeus alla Rai, si è parlato molto anche di Povia. Che, secondo qualcuno, la Rai avrebbe cercato di imporre al conduttore come partecipante a Sanremo: retroscena improbabile, visto che Povia il Festival lo ha vinto e che era più famoso di due terzi dei cantanti in gara. Magari è vero il contrario: le sue posizioni politiche, da anarchico e complottista di destra, potevano creare grane con i media e Amadeus ha preferito evitarle a prescindere dalla canzone proposta. Di sicuro Povia ha tutte le carte in regola per partecipare al Festival di Indiscreto, la cui cifra stilistica è la divisività.

L'artista milanese con Sanremo ha sempre avuto un rapporto di amore e odio. Dovrebbe partecipare già nel 2005 con I bambini fanno "ooh", nelle Nuove Proposte, ma la canzone viene esclusa perché eseguita prima al Premio Recanati. Bonolis però gli permette lo stesso di cantarla all'Ariston, fuori gara: sarà un clamoroso successo di vendite, inaspettato per una canzone su un tema serio (l'infanzia rubata, nelle zone di guerra ma non solo) e cantata da quello che all'epoca è uno sconosciuto trentatreenne. Il brano, con testo e musica dello stesso Povia, all'anagrafe Giuseppe Povia, diventa quasi il vincitore morale del festival.

Povia vince davvero l'anno seguente con Vorrei avere il becco, anche questa scritta totalmente da lui, in cui esalta il valore della fedeltà in amore, davvero in contrasto con il pensiero dominante e soprattutto con il tema principe della canzone italiana (un amore finito, lontano, impossibile, nella migliore delle ipotesi contrastato) e viene messo nel mirino dalla critica che lo vede vincere davanti ai Nomadi nel Festival condotto da Panariello.

I problemi di Povia con il giornalista ed il twittatore collettivo iniziano lì, continuano con la partecipazione al Family Day e aumentano esponenzialmente con il secondo posto sanremese del 2009: Luca era gay, nell'ultimo Festival condotto da Baudo, viene battuta soltanto da Marco Carta, ma criticata da tutto il mondo LGBT e dai media appecoronati, che concepiscono che un etero diventi gay ma non il percorso contrario. Un'altra canzone che però ricordano tutti, altro centro di uno dei pochi artisti che facciano discutere.

26 aprile 2024

Numero chiuso a medicina


Numero chiuso a medicina? Una domanda che interessa anche chi non è un medico, né ambisce a diventarlo, visto che tutti prima o poi del medico abbiamo bisogno. Lo spunto ovviamente arriva dalla riforma che dovrebbe partire nel 2025, voluta un po' da tutte le parti politiche e quindi poco presente nel dibattito nonostante sia un tema che tocca direttamente la vita vera. Nella sostanza, decreti legislativi permettendo, sarà libera l'iscrizione al primo anno di medicina, di odontoiatria e di veterinaria senza bisogno del test di ammissione.

Non si tratta in ogni caso del ritorno all'Italia di una volta, in cui tutti potevano arrivare alla laurea in medicina, visto che lo sbarramento ci sarà lo stesso. Soltanto avverrà alla fine del primo semestre, con modalità ancora da chiarire: gli esami fatti di sicuro, forse anche un test o un esame ulteriore. Gli scartati dopo questo primo semestre avranno la possibilità di tenere buoni gli esami passando ad un altro corso di laurea (ovviamente non scienze della comunicazione o storia medioevale) che all'inizio avranno indicato come seconda scelta. Tutto un po' vago, ma il principio è chiaro: in qualche modo il numero dei medici va limitato.

Poi ci siamo noi del bar preoccupati per il futuro di Klopp, che un giorno sì e l'altro anche leggiamo che mancano medici e soprattutto medici e pediatri di famiglia, cosa che del resto si può verificare anche di persona quando uno va in pensione e si è costretti a trovarne un altro nuovo. Per numero di medici ogni 100.000 abitanti l'Italia è quattordicesima in Europa, anche se il vero problema non è quantitativo ma che alcune specializzazioni rimangano scoperte nonostante i posti vacanti a disposizione. Del resto perché uno, anche con il fuoco sacro della medicina, dovrebbe studiare mille anni per farsi spaccare la testa dai parenti di un delinquente al pronto soccorso?

Un Di qua o di là politicamente trasversale, quindi, che una volta tanto ci vede semi-competenti avendo vissuto da vicino il percorso di tanti medici (a partire dalla moglie) fra concorsi e trasferimenti di ogni tipo. Di sicuro medicina non è una facoltà come le altre, perché già dal secondo anno prevede una qualche forma di presenza in ospedale. Se già è insostenibile il codazzo attuale, con il professore-barone seguito da cinquanta studenti, cosa potrebbe succedere (e cosa succedeva una volta, in epoca Guido Tersilli) con l'accesso libero?

Lo stesso collo di bottiglia della specializzazione, con i posti quadruplicati nel post Covid, nel corso degli anni dovrebbe essere superato. Se poi uno non ha voglia di passare la vita a fare ricette e ad ascoltare le lamentele della vecchina catarrosa, ma ambisce a diventare un grande cardiochirurgo, non ci si può fare niente e non è nemmeno questione di soldi. Un argomento a favore del numero aperto è che aumentando il numero dei medici, formati più o meno bene, aumentano anche le probabilità di coprire i posti meno ambiti. Detto questo, chiediamo ai competenti: numero chiuso a medicina? Siamo molto combattuti: la razionalità direbbe numero chiuso, ma certe prese di posizione dei medici ricordano quelle dei tassisti.

Giornalisti sportivi i più odiati


Come mai i giornalisti sportivi in Italia sono in testa a tutte le classifiche dei social network relative alle interazioni? La risposta è banale: il tifo, di chi li legge/guarda ma anche il loro. Meno banale è dare una dimensione quantitativa al fenomeno che vede Fabrizio Biasin come primo giornalista d'Italia per interazioni, davanti a Gianluca Di Marzio. Per questo ci ha incuriosito l'articolo di Claudio Plazzotta appena letto su Italia Oggi, che ha citato una ricerca di The Fool, una società di consulenti digitali, che ha analizzato i profili social di Biasin (Libero), Guido Vaciago (direttore di Tuttosport), Giovanni Capuano (Radio24), Lia Capizzi (RaiSport) e Sandro Sabatini (Mediaset).

Tutti giornalisti che lavorano in televisione o hanno comunque una visibilità televisiva, che evidentemente favorisce il traffico. Nelle stagioni 2022-23 e 2023-24 i loro tagging su X sono stati complessivamente 1,5 milioni e di questi ben il 40% ha sentiment negativo, cioè insulti o hate speech in senso stretto. Una statistica che dice molto a chi, come noi, segue soltanto personaggi che si stimano o comunque apprezzano, oltre ad account neutri. Se reputo uno scarso o in malafede non mi viene in mente di sprecare nemmeno un secondo per lui. Che vita hanno quelli, quasi la metà del totale, che seguono un giornalista, non si dice un politico o un VIP vero, per insultarlo?

Ma ci piace anche ribaltare il discorso: che vita ha un giornalista che sta sui social network per farsi insultare? Intendiamo consapevolmente, perché poi l'insulto arriva per ogni tipo di opinione, da Israele-Hamas alla difesa sul pick and roll. Il giochino ha due facce: essere insultati non piace a nessuno, ma scrivere o dire qualcosa di volutamente provocatorio è la strada più semplice per attirare interazioni. Poi 'provocatorio' a volte non è nemmeno il contenuto dei post, ma la squadra con cui si viene identificati e che viene scelta a monte come pubblico target. Il mistero nel mistero è poi il guadagno: anche con centinaia di migliaia di follower reali (tutti da dimostrare) la monetizzazione diretta dalle piattaforme è modesta, semmai i grandi numeri possono essere messi sul tavolo delle trattative per i gettoni di presenza.

25 aprile 2024

Vannacci o Salis?


Roberto Vannacci
 o Ilaria Salis? Per il 25 aprile, in attesa del ritorno di Budrieri (spoiler: del tutto indifferente allo scudetto dell'Inter, come del resto a qualsiasi altro stimolo sportivo, politico o sessuale), abbiamo voglia di un bel Di qua o di là divisivo. E chi meglio dei due più discussi candidati per le prossime Europee? Il generale autore di Il mondo al contrario scenderà in campo per la Lega di Salvini, l'attivista per l'Alleanza Verdi e Sinistra di Bonelli e Fratoianni. Differenti le loro motivazioni: Vannacci forse davvero pensa ad una carriera politica mentre la Salis punta soprattutto ad evitare il carcere in Ungheria.

Veniamo al punto: chi fra Vannacci e Salis porterà di più in termini di voti? Ricordiamo che la Lega secondo un sondaggio di YouTrend che abbiamo letto sull'Ansa varrebbe il 7,7% dei voti, mentre AVS il 4,4%, con una soglia di sbarramento che alle Europee è del 4. La domanda sul reale peso elettorale dei candidati vale anche per gli altri non politici di professione in corsa, da Lucia Annunziata al capitano Ultimo a Tridico, che a questo giro ci sembrano comunque molti meno del solito. Bruxelles è un buon parcheggio per politici di primo e secondo piano, magari costretti a riciclarsi per il limite ai mandati, oggi non si molla niente.

Nonostante i pochi precedenti di successo, abbiamo sempre guardato con simpatia ai candidati della cosiddetta società civile: persone che di solito hanno avuto successo nelle rispettive professioni (anche spaccare le teste agli avversari politici a suo modo lo è) e che comunque esistono, anche mediaticamente, a prescindere dal seggio in parlamento. La realtà dice che raramente hanno spostato qualcosa, una volta eletti, e che ancora più raramente abbiano portato voti 'prima'. Stringere mani e ascoltare lamentele non è per tutti. Per questo i casi Vannacci e Salis ci incuriosiscono, perché siamo sicuri che entrambi porteranno ai rispettivi partiti un numero significativo di voti di opinione, che poi sono quelli che alle Europee contano. Chi farà meglio? Vannacci o Salis?

Come al solito diciamo la nostra e votiamo (solo per questo sondaggio, nella realtà non lo faremmo mai) Salis: la spinta mediatica del generale si è un po' spenta, pur essendo purtroppo sempre di attualità i temi da lui lanciati, mentre la Salis può dare grande visibilità ad AVS, che rischia di andare sotto il 4%. Speriamo sia chiaro lo spirito del sondaggio, che non riguarda le nostre preferenze politiche: fra l'altro sia Lega (coming soon un nuovo partito del Nord, o al limite una Lega delle origini senza Salvini) sia AVS (coming soon un vero partito ambientalista) se rimangono così ci sembrano avviate verso la scomparsa.

Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...