26 maggio 2024

Le migliori canzoni dei Le Vibrazioni

La morte di Giulia Tagliapietra, cioè la Giulia di Dedicato a te, è il triste pretesto per proporre la partecipazione dei Le Vibrazioni al Festival di Indiscreto. Il gruppo milanese con Francesco Sarcina come leader ci sarebbe entrato lo stesso, beninteso, grazie a vent'anni di canzoni spesso eccellenti e di grande coerenza nel fare un rock melodico mantenendo un proprio stile inconfondibile. In ordine cronologico la prima delle loro tre canzoni in gara è proprio Dedicato a te, del 2003, con cui Sarcina, Stefano Verderi, Alessandro Deidda e Marco Castellani svoltano davvero, dopo un lungo periodo a suonare nei locali milanesi.

Impossibile non ricordare il video, che ha due versioni (con due Giulia diverse), video parodiato o copiato da tanti, che fra le altre cose mostra quanto sia brutta la zona dei Navigli. "Ma questo è dedicato a te - Alla tua lucente armonia - Sei immensamente Giulia! - Il tuo nome è come musica - Mi riempie non mi stanca mai - Dedicato solo a te - Giulia": parole che aprono una stagione di grandi successi, molti dei quali contenuti nello straordinario album d'esordio, Le Vibrazioni, sempre del 2003. Su tutti Vieni da me, anche questo con testo e musica di Sarcina. Nel 2005 la prima delle loro quattro partecipazioni a Sanremo come concorrenti, con Ovunque andrò, nel 2018 dopo uno scioglimento di 5 anni la seconda con Così sbagliato, la canzone che di fatto segna la loro reunion.

Canzoni che come quasi tutte quelle dei Le Vibrazioni hanno un buon riscontro, ma senz'altro inferiore a quello enorme di Dov'è, con cui nel 2020 partecipano al primo dei Festival condotti da Amadeus, arrivando quarti con questo brano scritto da Sarcina ma questa volta in collaborazione con altri, cioè Roberto Casalino e Davide Simonetta. Di sicuro Le Vibrazioni sono il classico gruppo schiacciato dal talento del frontman, che nel loro caso è anche autore, una situazione alla Negramaro, ma va detto che la carriera solista di Sarcina (con anche una partecipazione a Sanremo) non è stata niente di che e che quindi nella storia della musica italiana ci sono Le Vibrazioni.


24 maggio 2024

Chi vincerà il Roland Garros 2024

 Chi vincerà il Roland Garros 2024? Il sorteggio dei tabelloni ci dice giusto, al massimo, chi può fare strada fra i giocatori di media cilindrata, ma tutti i giocatori che possono teoricamente vincere sono per motivi diversi in maschera: dal favorito, almeno secondo Eurobet, Carlos Alcaraz a 3.50 a Sinner dato a 4.00 (quota troppo bassa anche per con un Sinner sano e con la Kalinskaya a debita distanza), dal Djokovic post-borraccia che si sta scaldando a Ginevra dato a 4.25 al vincitore di Roma Zverev, entrato a sua insaputa nel mondo di Corona, e che al primo turno troverà i resti e l'orgoglio di Nadal. Detto che non scommettiamo mai antepost ma siamo tossici del day by day, troviamo di grande valore la quota di Tsitsipas a 11.00: il vincitore di Monte Carlo nella parte bassa del tabellone potrebbe sfruttare i guai fisici di Alcaraz e Sinner, che comunque può battere anche da sani, e giocarsela in finale con chiunque, anche con questo Djokovic indecifrabile, non ancora in declino ma un po' lontano con la testa.

Il tabellone femminile è secondo molti una marcia verso una nuova puntata del Clasico Swiatek-Sabalenka, con la mini-Graf polacca ovvia favorita: bassissima, 1.60, la quota della sua vittoria finale nel torneo, contro il 5.50 della bielorussa che ha superato bene, anche troppo, il suicidio del fidanzato a Miami. Noi quest'anno siamo fissati con la Collins (ma perché si dovrebbe ritirare? Non lo sa che la vita è una merda?), centratissima e cazzuta come non mai, troviamo molto interessante il suo 21.00 anche se teoricamente avrebbe la Swiatek nei quarti. 21.00 che è anche la quota della sensazionale, ma forse non ancora pronta, Mirra Andreeva.

Venendo alle scommesse di giornata, troviamo che attualmente le distanze fra Ruud e Cobolli, che alle 16 si incontreranno in semifinale a Ginevra, siano meno grandi di quanto dicano le quote. Scommetteremo quindi 12 euro su Cobolli a 5.30(quota del limitato Betfair italiano), con il solito schema (puntare ad un guadagno di 50 euro a partita, qualsiasi sia la quota). Attenzione anche alle semifinali di Lione: ci godremo senza scommettere Mpetshi Perricard, che davvero sembra uscito da altri decenni, contro Bublik, e prima cavalcheremo Darderi, sfavorito a 2.44 contro Etcheverry ma che secondo noi può fare partita pari: quota sbagliata e 35 euro sull'italo-argentino.

stefano@indiscreto.net


23 maggio 2024

Redditometro sì o no?

 Redditometro sì o no? Giorgia Meloni ha detto no, sospendendo il decreto del viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, varato il 7 maggio e pubblicato lunedì sulla Gazzetta Ufficiale (che non è quella di Marotta). Decreto che fra le altre volte riportava in vita appunto il redditometro, strumento fiscale con una storia di oltre mezzo secolo, iniziata nel 1973 con Visentini (non quello del golpe di Sappada) e proseguita fra stop e reintroduzioni, con situazioni quasi incredibili, visto che fu Berlusconi nel 2010 a riportarlo in vita. Riformato da Renzi, è stato di fatto sospeso dal secondo governo Conte per un motivo tecnico mai davvero chiarito (traduzione: anche i 5 Stelle contano sui voti di chi lavora in nero), con il decreto attuativo che è stato rimandato fino ai giorni nostri ed all'iniziativa di Leo, da non confondersi con il più noto Edoardo, presenza fissa nel cinema romano, pardon italiano.

Che cos'è il redditometro? È uno strumento di accertamento del reddito, che ricostruisce o presume il reddito attraverso l'analisi di una serie di spese. Semplice, no? Non tanto, perché dipende da quali spese si prendono in considerazione. Ville, barche, auto di lusso? Oppure quasi tutte le spese tracciabili, come indicato nel redditometro adesso sospeso, dagli abbonamenti alla pay-tv ai viaggi aerei? Va detto che molte delle spese elencate sarebbero detraibili (cioè sottraibili dall'imposta lorda) o deducibili (cioè sottraibili dal reddito complessivo), ma è evidente che per chi è un evasore totale di un certo tipo il vantaggio fiscale vero è quello di non dichiarare niente.

La battaglia politica sul redditometro è scontata: da una parte Lega e Forza Italia che dicono di tutelare libertà e privacy (quindi l'evasione, in pratica), condizionando Fratelli d'Italia che non vuole perdere quel tipo di voto, dall'altra i 5 Stelle che sono forti al Sud dove il nero è dominante (il doppio che al Nord, secondo la CGIL) ed il PD che attacca la destra ma non gli italiani ladri, che sono il vero problema anche per questioni più gravi come la tragedia epocale del Superbonus edilizio. Redditometro sì o no, dunque? La nostra posizione non è sfumata, visto che siamo circondati da persone con ISEE taroccato che ci passano davanti, al di là dell'IRPEF che ricade tutta sulle spalle di chi la paga. Se il finanziere vede che siamo abbonati a DAZN cosa ce ne frega?

stefano@indiscreto.net


Quanto costa DAZN


Quanto costa DAZN? Sui 25 euro al mese, a fare i furbi. 9 euro se interessa soltanto la pallacanestro. Purtroppo questo non è un post pubblicitario né una marchetta, ma banalmente la domanda che ci facciamo ogni fine campionato di Serie A, con davanti tre mesi di nulla calcistico a livello di club. Certo si può mettere l'abbonamento in pausa per due mesi, ma siamo così pigri che non l'abbiamo ancora fatto. E conoscendoci prevediamo le bestemmie quando il 6 giugno da PayPal scopriremo di avere pagato il solito 40,99 euro mensile (ma perché non il 39,99 scritto sul sito?) per l'abbonamento Standard, cioè quello che consente di utilizzare due dispositivi in contemporanea ma soltanto se collegati alla stessa rete.

Poi nella nostra famiglia nessuno, a parte noi, guarderebbe Udinese-Empoli (come abbiamo fatto) o Varese-Scafati di basket (fatto anche questo), ma i due dispositivi sono comunque una possibilità. Va anche detto che legandosi per 12 mesi l'abbonamento costerebbe 34,99 al mese e che pagando 359 euro in un'unica soluzione si scenderebbe di fatto 29,99 euro mensili. DAZN Plus, che consentirebbe di guardare in contemporanea da due reti diverse (quindi in pratica di condividere un abbonamento, anche se formalmente non è così) costa invece 59,99 euro al mese, che con il pagamento in un'unica soluzione, 599 euro, verrebbe a costare 49,9 euro. Ecco quindi da dove nascono i 25 euro a testa (di cazzo).

Per chi fosse interessato soltanto alla pallacanestro (Serie A e coppe europeee) e a quella poca NFL che ormai fanno per chi non compra il Pass, c'è DAZN Start a 8,99 euro al mese. Un prezzo, quest'ultimo, quasi uguale al 9,99 euro al mese per avere tutto (calcio compreso) che pagavamo nel 2019, quando ci abbonammo per la prima volta. Sapete come la pensiamo sul prezzo dei beni e dei servizi non di prima necessità: qualsiasi discussione sui prezzi è demagogica, il prezzo giusto è quello che uno è disposto a pagare. Non c'è un valore intrinseco nella Kelly di Hermés, da giustificare i 10.000 euro, così come non c'è alcun valore o prezzo indiscutibile per DAZN. La nostra domanda è più terra terra: per la stagione 2024-25 vi abbonerete a DAZN? Noi con la fragile giustificazione del lavoro lo faremo, ma se fossimo liberi ci basterebbe Sky Sport.

Poi il discorso filosofico è sempre lo stesso. Avendo avuto la fortuna, perché è stata una fortuna, di essere cresciuti in un'era analogica ancora ci rendiamo conto di quanto questi microabbonamenti e servizi, anche quelli gratuiti o presunti tali, divorino tempo e soprattutto attenzione. Che dal 2000 ad oggi è calata, nella media, da 12 a 8 secondi, in pratica di un terzo. Non è colpa di DAZN, ovviamente, anzi quando appare in video Diletta Leotta la concentrazione supera gli 8 secondi, ma del nostro atteggiamento, con un bisogno di essere sempre iperstimolati: perché anche quando leggiamo un libro diamo ogni tanto un'occhiata al telefono? Il fatto di rendercene conto è un'aggravante. Detto questo, stiamo per sbloccare Anime Generation.

stefano@indiscreto.net

22 maggio 2024

Conti o Amadeus?

 Carlo Conti o Amadeus? Carlo Conti condurrà l'edizione 2025 del Festival di Sanremo e anche quella 2026, adesso è ufficiale dopo che per settimane, dopo la firma di Amadeus per Discovery, il totonomi ha tirato fuori di tutto fino a una teorica finale fra la sicurezza data da Conti, come credibilità e come ascolti, e la relativa novità di Alessandro Cattelan o Stefano De Martino (il vero mistero italiano, altro che Mattei o Moro), a seconda che la RAI puntasse a buone critiche o al target di Amici. Alla fine ha prevalso la scelta più logica, visto che Conti nel nel triennio 2015-2016-2017 aveva rilanciato il Festival che con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto aveva toccato il punto più basso dell'era moderna: la serata finale del 2014 è la meno vista da quando esiste l'Auditel.

Carlo Conti che presenta Sanremo 205 e 2026, quindi, con la prevedibile overdose di comici e personaggi toscani (Panariello che imita Renato Zero, Ceccherini che dice 'topa' e 'si tromba', Pieraccioni che presenta il nuovo film), con la sua giustificata antipatia verso i rapper-trapper e con la sua idea, giusta, che occorrano ospiti internazionali che di professione facciano i cantanti, non attori bolsi che vengano a smarchettare. Ricordiamo che nei suoi tre Sanremo si sono visti fra gli altri Imagine Dragons, Spandau Ballet, Ed Sheeran, Elton John, Ricky Martin, Robbie Williams… Poi raramente i picchi di ascolto sono sulle canzoni, ma è un altro discorso.

Il nostro Di qua o di là è quindi semplice, come noi che ogni anno aspettiamo Sanremo per vivere la nostra settimana di follia pop: chi è il conduttore ideale di Sanremo? Quello al quale daremmo l'incarico se fossimo direttore generale della RAI... Carlo Conti o Amadeus? Proponiamo anche altri nomi che sono circolati e gettiamo subito la maschera: noi vorremmo Pippo Baudo, la valletta bionda e la valletta bruna, nessun ospite non musicale, il palcoscenico pieno di fiori perché nelle sue versioni recenti sembrava di essere a X Factor. Vorremmo vedere rispettata l'Italia che sogna Sanremo e non quella che lo disprezza ma trova utile farsi pubblicità di fronte a 15 milioni di telespettatori. Conti o Amadeus?


21 maggio 2024

Taxi o Uber?

 Taxi o Uber? Nel giorno dello sciopero dei taxi, che potrebbe essere replicato a breve, proponiamo un Di qua o di là che già avevamo proposto dieci anni fa (come passa il tempo...) ai tempi in cui sembrava che Uber Pop potesse davvero essere il futuro, o comunque un'alternativa al classico taxi. Non tanto per una questione di prezzi quanto, banalmente, perché molto spesso i taxi non sono abbastanza per reggere la richiesta che in molte città italiane sta esplodendo, per diversi motivi: boom di turisti nel post-Covid, minor numero di persone (soprattutto giovani) che guidano o con patente di guida, maggior numero di anziani soli, tante limitazioni green alla circolazione e al parcheggio delle auto private.

La versione di Uber attualmente esistente in Italia non è quell'Uber Pop (che in estrema sintesi permetteva a chiunque di fare il tassista, senza licenza), ma Uber Black, che in sostanza è soltanto un modo diverso per prenotare gli NCC (Noleggio con conducente), la cui attività è soggetta a licenza e ad una serie di regolamentazioni. In ogni caso stiamo parlando di un numero ancora insufficiente di auto (saremo sfortunati, ma da qualche mese stiamo facendo code galattiche anche senza eventi particolari) e comunque con prezzi che ne sconsigliano l'uso frequente, almeno a chi ha un reddito normale o non può scaricare fiscalmente la spesa.

La nostra domanda in dieci anni non ha quindi perso di attualità, anzi. Banalmente basterebbe che i comuni concedessero più licenze, resistendo alle proteste dei tassisti, che la loro licenza l'hanno ereditata o pagata (a Milano vale sui 180.000 euro, un amico ha da poco fatto l'investimento), ma permettendo agli utenti di servirsi di un servizio in qualche modo regolato. La realtà dice però altro e quindi il derby è come al solito fra la conservazione del piccolo mondo antico ed il turbocapitalismo, declinato in un destra-sinistra deteriore (nell'immaginario collettivo tassista mediamente evasore di destra, cliente mediamente fighetto di sinistra), con il cittadino medio, quello attento ai 10 euro, a sfidare le insidie dei mezzi pubblici notturni. Taxi o Uber? Più direttamente: qualunque persona che abbia la patente deve poter fare il tassista?


20 maggio 2024

Buona camicia a tutti


Oscar Eleni
 in posa da serpente sotto il salice solitario che a 10 metri dalla riva nel lago neozelandese Tanaka richiama più spettatori che certe partite. In troppi sport si rosica per risicare il risultato, firmare contratti, salvare la pelle, il posto. Adesso nel basket hanno inventato il catenaccio Messina alla vigilia di una semifinale contro Brescia che potrebbe diventare la fatal leonessa per i pitoni di casa Armani. Nei giorni del tripudio interista e delle piume sparse dove cercare la proprietà del biscione, delle angosce per Sinner, riscoprendo il ciclismo con il fenomeno Pogacar che non soffre, ma sa sorridere mentre lascia nella polvere avversari e miti, contenti che anche Jacobs abbia ritrovato il piacere di stare più in pista che in sala biscotti, urlando al mondo che adesso abbiamo anche una campionessa di judo come la Giuffrida, addolorati per l’addio a Peccedi l’anima della valanga di Cotelli nel grande sci.

Mondi che si incrociano e schivano il peso gettato sempre più lontano del tifosissimo viola Leo Fabbri mentre i paginoni sono tutti per lo spogliarello di Max Allegri che si è volontariamente firmato il licenziamento nella recita all’Olimpico mentre la sua  ultima Juventus vinceva l’ennesima Coppa Italia. I baskettari indignati devono aver scritto lettere infuocate al livornese che adesso troverà il tempo per discutere con Jokic negli ippodromi italiani dopo che il tre volte MVP della NBA ha detto che non è sicuro di andare alle Olimpiadi, appena Minnesota ha eliminato i Nuggets campioni nello stesso giorno in cui chi tifava Knicks, la New York del senatore Bradley, si è trovato fuori gioco in gara sette contro Indiana.

Ma torniamo agli indignati fra i canestri che giustamente ricordano che nel Bagaglino dello sport il primo a strapparsi le camicie, inseguire arbitri, allontanare chi voleva salire sul carro del vincitore dopo avergli detto di tutto è stato il Gianmarco Pozzecco che adesso recita ogni sera un rosario speciale pensando alla difficile qualificazione olimpica in Portorico con la nostra nazionale che dovrà uscire da un campionato dove di veramente italiano c’è soltanto l’inno suonato o cantato prima di ogni partita. Capiamo Allegri e il suo sfogo perché allenare, insegnare, vivere in una squadra vera, è proprio difficile se a comandare sono le curve frastornate, i dirigenti che assomigliano soltanto ai padri infuriati delle partite nei tornei giovanili, gente che magari è pure ricca, ma di sicuro ragiona con la pancia e poco con il cervello.

Sarà per questo che tanti giocatori si viziano e si perdono nel privato, strafottenti anche verso i compagni di squadra, mai colpevoli del passaggio sbagliato, del tiro a pene di segugio, della difesa dimenticata perché devono mettersi la cipria. Ne abbiamo viste tante e molti allenatori hanno pagato perché non tutti hanno il tocco magico, la pazienza e la fortuna come predicava Arrigo Sacchi benedicendo Carlo Ancelotti o Pep Guardiola plurititolati di fresco a Madrid e Manchester. Ve lo diranno persino i grandissimi, cominciando dal Velasco che battendo la Turchia ha ritrovato il piacere di stupire mentre il Santarelli che ha vinto tutto, stupendo il mondo, adesso, magari, sentirà qualche critica.

Nei campionati che arrivano a premiare le squadre migliori anche il basket si avvicina alla grande scelta ma è sbalordito vedendo che la Virtus Segafredo domani e Venezia, nel lunedì dei barbieri, dovranno fare bene in gara cinque per eliminare Tortona e Reggio Emilia che già meritano una stella nel paradiso della stagione esagerata, in un campionato che pensava al dominio incontrastato delle sue regine di Milano e Bologna e scopre, invece, che fatica, infortuni, scelte sbagliate, hanno trascinato vicino al salice solitario pure Armani e la Segafredo che non sa bene come sarà il suo futuro, economicamente parlando.

Basket che nel ventinovesimo glorioso anno di vita del grande Varenne vedrà da domenica una disfida lombarda dove i cavalieri di Armani saranno pesati e valutati davvero da Brescia in versione Leonessa, quella che Magro ha ritrovato dopo tanti tormenti. Per la verità i credenti del messianesimo sono sicuri che anche l’Armani, dopo lo scivolone sulla banana trentina, ha forse sentito la voce saggia del maestro Gamba e ora lo spogliatoio e  quelli che vanno in campo sembrano davvero una  squadra dove ci si aiuta, ci si passa la palla, si soffre insieme. Un problema che sembrano avere ancora invece la Segafredo Virtus e la Reyer, anche se la malattia se la sono presa in modo differente. Diciamo che l’individualismo ha reso meno solida una Venezia che certo ha più debolezze strutturali rispetto alla regina bolognese.

La Virtus ci aveva incantato nei giorni in cui tutti, ma proprio tutti, dalla proprietà ai giocatori, non vedevano l’ora di dimostrare a Scariolo che non erano così deboli come temeva don Sergio e bisogna dire che grazie al Banchi, il grossetano cresciuto nella magnificenza senese, una guida sicura con tacche importanti sulla sua pistola, un allenatore di assoluta qualità, per mesi ce la siamo goduta questa Virtus che aveva sbagliato soltanto in coppa Italia contro la Reggio Emilia cresciuta così bene e che adesso tormenta  Venezia. Nella Virtus che ci piaceva non tutti cercavano di avere i riflettori di mastro Belinelli, non tutti pensavano di essere  al centro dell’attenzione come Shengelia, mentre tutti, invece, sapevano che la debolezza al centro andava aiutata dal lavoro di squadra. Gara quattro a Tortona ci ha detto che qualcosa si è rotto nel meccanismo squadra, vedremo se la cura rapida avrà ridato il senso delle proporzioni ad un gruppo  che quando ricorda di esserlo ha saputo divertire e fare grandi risultati. Magari martedì quando avremo le semifinaliste anche nella parte est del tabellone torneremo a discutere perché se da sabato non saranno Bologna e Venezia a giocarsi un posto per la finale tricolore allora qualcuno sarà già davanti ai giudici popolari.

Pagelle piangenti dal salice neozelandese.

10 Al BELINELLI mvp del campionato soprattutto se riuscirà a risvegliare una Virtus dove in troppi cercano di imitarlo, partendo dalla difesa. Tutti giusti i premi di Lega anche se avremmo aspettato la fine per eleggere i padroni della stagione.

9 A TRENTO per come ha costruito questa bella stagione, molto faticosa, difficile se hai una rosa limitata. Bravo Corti a dirigere da fuori, bravissimo GALBIATI nel guidare uno staff  tecnico vivace ed energico.

8 Per PISTOIA che ha lasciato la scena abbracciata al suo bellissimo popolo sulle tribune, imparando anche nella sconfitta contro una Brescia che ha ritrovato nella casa di Brienza quello che ad inizio stagione faceva paura a tutti.

7 Alla coppia italiana BALDASSO e CANDI che hanno costretto la Virtus a gara cinque lavorando al meglio agli ordini del granduca DE RAFFAELE che ha messo le basi per un futuro vero nella cittadella dei Gavio e nel nuovo palazzo a Tortona.

6  Agli ALLENATORI che saranno in grado di dare a POZZECCO giocatori con energie per  sopportare il tremendo preolimpico fra Portorico e orchi lituani.

5 Ai DISPERATI che si sono messi in gramaglie perché le ragazze della nazionale 3 contro 3 non si sono qualificate per le Olimpiadi. I problemi del settore sono ben altri, come del resto quelli che ha il basket maschile, anche se tutti fingono che sia sempre festa.

4 All’EUROLEGA che ha osato confermare le finali di Berlino negli stessi giorni in cui il sontuoso basket italiano, con la benedizione federale e legaiola, manderà in campo le sue finaliste. I giornali sono già stai avvertiti: brevi da Berlino, spiegazioni  al cloroformio per le “battaglie” nazionali.

3 Alle PATTINATE su troppi campi dove i giocatori rischiano di farsi male seriamente. Umidità, calduccio, bagnaticcio. Si dovrebbe fare attenzione, ma già, gli arbitri hanno i loro problemi nei sei sette minuti di sosta media davanti al video magari per una rimessa sul meno venti.

2 Ai giocatori della REYER se dovessero fare soltanto da spettatori in semifinale mentre le ragazze di MAZZON sono così vicine allo scudetto nella finale contro SCHIO.

1 Agli ARBITRI per evitare che anche nel basket ci sia qualcuno che si strappa la felpa o la giacca chiedendo di parlare con il designatore. Chiarire subito sui blocchi e sui contatti perché in una partita prevale il piumino e in un’altra l’accetta. Già si straparla di avversari con sei giocatori, già si preparano crociate per far diventare bolgia tipo Atene  o Belgrado, dove la Stella Rossa  ha battuto il Partizan, il nostro campionato con statuine che costano troppo caro.

0 A tutti i CAMPIONI che hanno già detto no all’Olimpiade, a quelli che ancora tentennano, a quelli che fingono di dover rinunciare  per colpa di chi nei nuovi contratti li obbligherebbe a riposare invece che servire  il movimento dove sono cresciuti.  Certo in Italia, purtroppo, non sono tantissimi, ma almeno obblighiamoli ad una sana vecchiaia in azzurro.

Oscar Eleni

Zhang o Oaktree?

 Steven Zhang o Oaktree Capital Management? Scusate, come lo scorpione della favola non neghiamo la nostra natura e proponiamo un Di qua o di là sull'Inter, ma non soltanto sull'Inter, prima di sapere come andrà a finire e quindi per fare del semplice bar. In questo momento è difficile pensare che in tre ore Zhang trovi soldi che non ha trovato in tre anni in modo che la sua Grand Tower, la società lussemburghese che controlla l'Inter, non perda l'Inter stessa data in pegno a Oaktree per il finanziamento (a Grand Tower) di 275 milioni più interessi. Comunque vada a finire, una situazione che ha alimentato il festival del sedicente insider, come se fossero molte (e tutte italiane e presenti su Twitter, casualmente) le persone a conoscenza delle strategie di grandi società finanziarie o dei fondi sovrani.

Della vicenda ci incuriosisce soprattutto il mantra "Comunque vada, per l'Inter non cambierà niente". Ma è davvero così? Un fondo ha le stesse logiche di un proprietario sul piano personale alla canna del gas? No, non è lo stesso la risposta l'hanno già data, stando alla finestra per i prolungamenti, diverse persone da Simone Inzaghi in giù. Facile il confronto con il Milan di Elliott, che di fatto raccolse il Milan da uno scoglionato Berlusconi (che poi avrebbe messo quasi 200 milioni nel Monza), formalmente dal traghettatore Yonghong Li. L'ultimo Berlusconi, quello dal 2012 in poi, era meglio o peggio di Elliott? Non sono domande retoriche, infatti ogni tifoso ha una risposta diversa.

Il nostro Di qua o di là è quindi come al solito sempre un po' filosofico. Meglio un padrone, più o meno disposto a spendere (in 8 anni Suning ha messo nell'Inter circa 600 milioni, escludendo sponsorizzazioni della casa se no il totale sarebbe più alto), o un'entità quasi astratta come un fondo o un gruppo di investitori legati ad una gestione equilibrata? È puro bar, perché ormai nemmeno Zhang ha il controllo della situazione e quindi figuriamoci gli insider della mutua. Se foste, in realtà o teoricamente, tifosi dell'Inter: Zhang o Oaktree? Zhang o qualunque altro padrone, beninteso.


19 maggio 2024

Elkjaer al Verona


Una data fondamentale del calcio anni Ottanta è quella del 19 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri. Quando il Verona acquistò Preben Elkjær-Larsen, per tutti noi Elkjaer, dal Lokeren. Un colpo da un miliardo di lire, per il solo cartellino, arrivato pochi giorni dopo il dispiacere per avere perso Iorio alle buste con la Roma ed in un momento in cui sembrava che Galderisi potesse tornare alla Juventus. Quella sera Elkjaer fu anche straordinario protagonista nella vittoria della Danimarca sul Belgio all'Europeo, un torneo ad 8 squadre ben diverso dall'attuale formula 'cani e porci'. Al Belgio guidato da un diciottenne Scifo, sedotto e abbandonato da Bearzot, per qualificarsi alle semifinali sarebbe bastato un pareggio, ma in vantaggio per 2-0 si fece rimontare dalla nazionale di Piontek, con il 3-2 firmato proprio da Elkjaer con una grande azione personale in una partita che ci gustammo minuto per minuto ad Albisola, dove come da nostro costume scroccavamo le vacanze a casa degli amici e dove eravamo barricati in casa per un diverbio di uno del nostro gruppo con alcuni tamarri locali (ad Albisola!), un superclassico delle vacanze degli adolescenti milanesi e romani. Ma tornando a Elkjaer, i competenti e forse anche gli incompetenti sanno quanto sarebbe stato importante nello scudetto del Verona, nei 9 anni magici della Serie A, 1982-1991, 7 squadre diverse per 9 scudetti ed un hype, merito anche del Mondiale 1982, irripetibile.

Le migliori canzoni di Amedeo Minghi


 Nei giorni scorsi Amedeo Minghi ha avuto critiche e consensi per i suoi giudizi ironici sull'Eurovision 2024, che volevano sottolineare un tema serio e cioè quella sorta di pensiero unico da cui un artista non può derogare, se non vuole entrare nel mirino degli intolleranti. L'attualità è però soltanto un pretesto per inserire Minghi un Festival di Indiscretoche ha come stella polare la divisività, un festival in cui sarebbe stato inserito comunque per la durata e la qualità della sua carriera di interprete e di autore. Una carriera iniziata a metà degli anni Sessanta, con tanti riconoscimenti da parte degli addetti ai lavori, con la vera svolta che però avviene soltanto nel 1983, quando il musicista romano ha già 36 anni.

Minghi quell'anno partecipa al Festival di Sanremo con 1950, la sua canzone che ha amato di più. Musica di Minghi stesso e testo di Gaio Chiocchio, 1950 viene eliminata il venerdì, ai tempi la seconda serata, e non partecipa alla finale. Un clamoroso errore di valutazione di una giuria poco ispirata (Vasco Rossi con Vita spericolata arriva venticinquesimo), una canzone che racconta meravigliosamente lo spirito dell'Italia del dopoguerra ("La radio trasmetterà, la canzone che ho pensato per te. E forse attraverserà, l'oceano lontano da noi. L'ascolteranno gli americani, che proprio ieri sono andati via. E con le loro camicie a fiori, che colorano le nostre vie. E i nostri giorni di primavera, che profumano dei tuoi capelli") in cui Minghi è cresciuto.

Lì Minghi diventa un personaggio davvero popolare, proseguendo sulla strada del successo e trovando un'altra canzone eterna nel 1989: La vita mia, musica di Minghi e testo di Vanda Di Paolo. Nel 1990 i tempi sono maturi per la sua seconda presenza a Sanremo come concorrente: ci va in coppia con Mietta, con una canzone scritta sempre da lui, questa volta con il testo di Pasquale Panella. Vattene amore arriva terza dietro ai Pooh e a Toto Cutugno, ed entra subito nella testa degli italiani con il suo ritornello pazzesco ("Magari ti chiamerò.  Trottolino Amoroso, Dudu dadadà. Ed il tuo nome sarà, il nome di ogni città. Di un gattino annaffiato che miagolerà. Il tuo nome sarà su un cartellone che fà della pubblicità"). Minghi scriverà poi tante altre cose notevoli e oggi non ha ancora smesso, pur venendo ghettizzato nel ruolo del 'cantante cattolico', che gli ha dato tante soddisfazioni (anche quella di esibirsi davanti a Giovanni Paolo II) ma che ha anche indotto tanti critici a trattarlo con sufficienza.

17 maggio 2024

Allegri o Vaciago?

 Massimiliano Allegri o Guido Vaciago? L'ormai ex allenatore della Juventus o il direttore di Tuttosport? I fatti avvenuti all'Olimpico dopo la vittoria della Juve nella finale di Coppa Italia sono stati raccontati dalle parti in maniera un po' diversa, con Allegri che ha anche messo in mezzo (e visti i soldi in palio si capisce perché) l'avvocato, ma nella sostanza si può dire che un Allegri già alterato, dopo il lancio della giacca, le urla contro Maresca e i gesti contro Giuntoli, incrociando Vaciago lo abbia apostrofato in maniera poco simpatica ("Direttore di merda" secondo il giornalista, "Direttorino dei miei coglioni" secondo altre fonti), facendo seguire un invito ("Scrivi la verità sul tuo giornale, non quello che ti dice la società. Smettila di fare le marchette con la società") e una minaccia ("Guarda che so dove venire a prenderti. So dove aspettarti. Vengo e ti strappo tutte e due le orecchie. Vengo e ti picchio sul muso").

La causa dello sfogo di Allegri è evidente: da quasi due anni ritiene di essere il capro espiatorio ideale per i tifosi, per la nuova dirigenza che ormai tanto nuova non è, e per i giornalisti. Magari non tutti i giornalisti, visto che ce ne sono tanti che anche lo difendono acriticamente, senza contare quelli che amano Allegri come icona di un presunto calcio di una volta (all'opposto c'è chi ha il santino di De Zerbi, infatti Adani si è subito palesato sui social network). In altre parole, le nostre, Allegri ritiene di essere stato attaccato al di là dei suoi demeriti (ma ci sembra che Tuttosport sia il bersaglio sbagliato, se il problema è questo) e che tutto questo sia stato ispirato, o lasciato fare, da Elkann in giù, per liberarsi dell'ultimo simbolo dell'era di Andrea Agnelli. Con gli allenatori dei grandi club, non soltanto la Juventus, funziona così: padri della patria e fini strateghi fino a un minuto prima di essere trattati da incapaci e bolliti.

Da parte sua, Vaciago ha avuto buon gioco nell'invitare Allegri a raccontare queste fantomatiche verità nascoste. Che tutto sono tranne che nascoste: Allegri avrebbe avuto pochissime, quasi zero, possibilità di rimanere anche mantenendo il passo della prima parte della stagione, con il corto muso e tutto il resto. Ma al di là dell'episodio, che potrebbe avere effetti anche sulla transazione fra l'allenatore e la Juventus, a noi interessa il discorso generale: Allegri, diciamo l'Allegri degli ultimi anni, è stato criticato dai media al di là dei suoi demeriti? Allegri o Vaciago? Essendo una domanda semplice, come il calcio secondo Allegri, rinunciamo all'opzione De Zerbi che sarebbe quasi provocatoria.


Cosa ce ne frega di Jarry-Paul


Le semifinali Zverev-Tabilo e Jarry-Paul sembrano studiate apposta per cacciare il pubblico dagli Internazionali d'Italia di tennis, se non fosse che gran parte di questo pubblico il biglietto lo ha già comprato. Sperando, per l'albo d'oro di Roma, che vinca Zverev (ma mentre pubblichiamo questo post ha perso il primo set...), la nostra considerazione è scontata ma non per questo meno fondata: i Masters 1000 combined con l'equivalente femminile e spalmati su 12 giorni, di fatto due settimane come gli Slam ma con un tabellone a 96 giocatori, stanno stancando anche il pubblico più motivato, figuriamoci quello calciocentrico del tipo 'Sinner o niente'. Stiamo parlando di Indian Wells, Miami, Madrid, appunto Roma e Shangai, con presumibile aggiunta futura degli altri in una corsa al gigantismo che porta ad infortuni, è vero, ma soprattutto a ritiri preventivi.

Una situazione che non piace ai giocatori più forti, come sottolineato da Ubaldo Scanagatta, che a volte viene neutralizzata dallo stato di forma di qualcuno di loro ma che più spesso genera tabelloni con molti buchi. Dati tutti i meriti del caso a Tabilo, che a Madrid aveva perso da Cobolli, a Jarry che con Tsitsipas ha fatto una rimonta pazzesca (per come stava giocando il greco, anche) e alla grande stagione di Paul che è pur sempre il 16 del mondo, la nostra considerazione è che il calendario attuale ed i sogni di gloria, quinto Slam e dintorni, di tanti Masters 1000, sono basati sul mondo irreale di Federer, Nadal e Djokovic, che non esiste più dal 2019, di fatto l'ultimo anno di Federer, e che quest'anno con il ritiro di Nadal e quello possibile di Djokovic potrebbe diventare definitivamente storia.

Federer, Nadal e Djokovic non sono stati soltanto i tre tennisti che hanno dominato questo sport dal 2003 al 2023, e forse i tre più grandi di sempre, ma erano (sono) mossi da un fuoco che li portava a dare il massimo anche negli appuntamenti di livello medio-alto come i Masters 1000, che già ad inizio carriera gli spostavano poco come prestigio e come incassi, nel quadro generale: Djokovic ne ha vinti 40 (!!!), Nadal 36 (!!), Federer 28 (!). Il quarto è Agassi con 17... Era ed è gente orgogliosa ed ossessionata, che certo faceva i propri calcoli ma soprattutto non voleva fare brutte figure, né a Roma né a Cincinnati. Il passo falso di qualcuno di loro apriva la strada agli altri due o al Murray della situazione, qualche volta anche a un Davydenko o a un Soderling, però uno dei tre grandi in qualche modo riusciva ad arrivare fino in fondo e salvare mediaticamente (perché di questo si sta parlando, visto che nel tennis vince sempre chi merita) i tornei.

In particolare Roma dal 2005 al 2022, 18 edizioni consecutive, ha avuto come finalista almeno uno di loro tre, con 10 vittorie di Nadal (più 2 finali), 6 di Djokovic (più 6 finali perse), 3 finali di Federer (che nel 2003 ne aveva persa un'altra con Mantilla), con le 2 vittorie mancanti prese da Murray e Zverev, battendo in finale in entrambi i casi Djokovic. E quindi? La prima regola del gigantismo è che indietro non si torna, neppure di fronte all'evidenza, quindi gli appassionati di tennis nei prossimi anni dovranno fare poco gli schizzinosi con una semifinale di Masters 1000 Jarry-Paul.

stefano@indiscreto.net

16 maggio 2024

Maldini o Cardinale?

 Paolo Maldini o Gerry Cardinale? Non è un Di qua o di là scontato, perché non è scontato che un grande campione sia capace di gestire un club, anzi ci sono tanti esempi che dicono il contrario, e nemmeno che un manager sappia capire la specificità del calcio italiano, ed anche qui i casi negativi abbondano. Il pretesto è ovviamente la storia di censura denunciata da Alessandro Alciato riguardo alla sua intervista a Maldini per Radio Serie A, cioè la radio della Lega e nella testa di molti presidenti l'embrione della tivù della Lega stessa. Intervista in cui Maldini ha toccato vari temi, fra l'altro dicendo che non andrebbe mai in Italia a lavorare per una società diversa dal Milan, e in cui parlando dell'Inter (ma era evidente che stesse pensando alla sua ex squadra) ha sottolineato l'importanza della continuità nella struttura sportiva. Nostra traduzione grezza: Cardinale, hai fatto male a cacciarmi.

Intervista che noi abbiamo seguito su YouTube ma che a un certo punto è scomparsa per 24 ore, per poi ricomparire in seguito ad una telefonata di Maldini alla Lega. Episodio ricostruito da Alciato, che ha parlato di pressioni del Milan per non mandarla in onda, con il giornalista ex Sky, ora ad Amazon, che comunque in seguito a questo episodio ha interrotto la sua collaborazione con Radio Serie A. Insomma, ci sarebbe stato un tentativo di censura, peraltro mal riuscito, per evitare che le parole di Maldini fossero interpretate (come poi è stato da parte di chiunque le abbia ascoltate) come un attacco alla gestione attuale nel Milan, nel mirino anche di molti tifosi per cui l'aspetto sportivo viene prima dei bilanci. Parentesi: se un'intervista con toni pacati genera queste reazioni, cosa potrebbe essere in una tivù di lega la discussione su un caso da moviola?

Il Di qua o di là è quindi filosofico e va oltre Maldini, che nei suoi cinque anni da dirigente ha commesso errori ma anche fatto scelte eccellenti (a seconda del tipo di articolo si possono citare Giampaolo o Theo Hernandez), e Cardinale i cui obbiettivi finali nessuno in definitiva conosce se non per le briciole buttate lì ogni tanto dalla sua discutibile comunicazione. Il grande ex deve limitarsi a fare il tagliatore di nastri (tipo Zanetti, ma anche Antognoni o Totti quando venivano sopportati alla Fiorentina e alla Roma) e lasciar fare ai manager? Nulla impedisce al grande ex di studiare la gestione di una società e al manager di capire di calcio, ovviamente, però nella realtà dei fatti vediamo pochi dirigenti davvero bravi, anche in grandi club non soltanto italiani. Il calcio è troppo specifico anche all'interno dello sport. Ma rapportando tutto al presente e al Milan: Maldini o Cardinale?

stefano@indiscreto.net


15 maggio 2024

Rovazzi o Sala?

 Fabio Rovazzi o Beppe Sala? Un Di qua o di là che dimostra come sia arrivato il momento di lasciare Milano ed aprire un chiringuito in un paese CONCACAF, se soltanto non fosse una cazzata da limoncello-time. La vicenda è nota: il cantante-influencer per lanciare la sua nuova canzone, Maranza,  ha fatto una diretta Instagram durante cui lo smartphone gli è stato rubato da un maranza presunto vero. Maranza nella nuova accezione (maghrebino più zanza), quello con la tuta ed il borsello a tracolla, non più il generico tamarro di periferia dei nostri tempi. Una scenetta rilanciata da molti follower di Rovazzi e ripresa da tanti giornalisti e commentatori, soprattutto di destra, felici di vedere confermate le proprie tesi anche da un fake quasi palese.

In breve la verità è venuta fuori e così la canzone di Rovazzi e di Il Pagante (Giravo in Corso Como/Si è avvicinato un uomo/Mi ha chiesto una Marlboro e l’orologio/Non so che ore sono/In tasca sento un vuoto/Mi hanno pullappato (mi hanno derubato)/ Con una moto/ Ora ho un sogno solo/Vorrei diventare come uno di loro/Un maranza) ha avuto una pubblicità gratuita grazie alle reazioni stizzite, queste da sinistra, dell'assessore Pierfrancesco Maran ("Ma che bella trovata Rovazzi! Anche noi milanesi potremmo avere un’idea divertente di marketing nel farti causa per danni di immagine e simulazione di reato") e del sindaco Beppe Sala ("Qual è l’esempio che diamo ai nostri figli? Fai il furbo, mettiti in evidenza e sarai premiato con fama e soldi? È un esempio tristissimo. Mi auguro che Rovazzi ci ripensi perché fare il figo davanti a una cosa del genere è una cosa che non funziona").

La cosa sconcertante è che sia Rovazzi sia i politici locali si sono concentrati sull'aspetto mediatico della vicenda e non sulla sostanza. A Milano è davvero  più probabile, rispetto a qualche anno fa, che qualcuno ti rubi il telefono o faccia anche di peggio? Giudicate voi, come dicevano ai tempi di Telepiù. Sia Rovazzi sia Sala, in modi diversi, minimizzano la questione della microcriminalità, ormai con protagonisti quasi tutti stranieri o peggio ancora nuovi italiani: Rovazzi ne parla in maniera ironica in una canzone piena di citazioni anni Novanta e di prese per il culo nei confronti dei trapper di oggi, Sala non ne parla proprio (e quando a usare l'ironia è stato lui, come con la Milano-Gotham City dei Club Dogo, la cosa gli è venuta male), ed al di là dei reati sempre più ragazzi, senza nemmeno la scusa della periferia e del disagio, si comportano come maranza. Rovazzi o Sala?

stefano@indiscreto.net

 


14 maggio 2024

La banda degli onesti

Prendiamo nuovamente spunto da una notizia di cronaca (il sequestro a Napoli di circa 48 milioni di euro in banconoteda 50 euro contraffatte) per parlare di un altro film interpretato da Totò: La banda degli onesti. Uscito nelle sale nel 1956 e diretto da Camillo Mastrocinque, racconta la storia del custode Antonio Bonocore (Totò), del tipografo Giuseppe Lo Turco (Peppino De Filippo) e dell’imbianchino Cardone (Giacomo Furia) che si ritrovano con in mano cliché e carta filigranata trafugati da un condomino di Bonocore nientemeno che all’Istituto Poligrafico dello Stato. E che decidono, dopo tanti dubbi e spinti dalla necessità, di produrre loro stessi le banconote da diecimila lire (dei lenzuoli, di fatto).

Parte del filone più ‘serio’ delle pellicole interpretate dal principe De Curtis, La banda degli onesti include diverse scene entrate di diritto tra le migliori del suo repertorio. A partire dal confronto tra Bonocore e il prepotente ragionier Casoria (il sempre straordinario Luigi Pavese), amministratore dello stabile, passando per la spiegazione sociale che lo stesso portinaio dà al tipografo davanti a una tazza di caffè (con continue storpiature del cognome). “Questo è lei (la prima tazza di caffè, ndr) e questo è il capitalista, il profittatore (la seconda tazza, ndr). E questo è invece il capitale (lo zucchero). In origine sono senza zucchero tutti e due…”, fino alla leggendaria scena della produzione delle banconote.

Totò passa con disinvoltura dal comico al malinconico, dipingendo insieme agli altri protagonisti un mondo fatto di cambiali e vite sul filo della Lira. Da citare per tutti il dialogo tra Bonocore e il suo futuro sostituto, inviato dal vendicativo Casoria, che in poche battute ed espressioni (quella di Totò vale tutto il film) tratteggia il dramma della possibile perdita del lavoro. Iconico, oltre che primo grande film con Totò e Peppino insieme.

Paolo Morati



Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...