26 luglio 2024

Giochi senza frontiere

 Con una delle più brutte cerimonie di apertura di sempre i Giochi Olimpici di Parigi 2024 sono iniziati ufficialmente. La sfilata in barca sulla Senna è stata troppo dispersiva, senza la magia e il calore di uno stadio: paradossalmente proprio la pioggia battente ha creato il minimo sindacale di atmosfera, ma non è il caso di discuterne troppo visto che della cerimonia di apertura importa soltanto a chi non è interessato allo sport. Da questa baracconata (come definire l’Ultima Cena in chiave drag queen?) che ha ricordato un po’ Giochi senza frontiere e un po’ l’Eurovision Song Contest non sono usciti bene né i valori olimpici né la grandeur della Francia, al di là della retorica di un logorroico Estanguet, di un Bach in versione fanboy (“Parigi, la città dell’amore”) e di un Macron asciutto e istituzionale. Da salvare la parte dance e la chiusura in crescendo con il grande ritorno di Celine Dion e l’Hymn a l’Amour portato al successo da Edith Piaf. Quanto a noi, Gianmarco Tamberi e Arianna Errigo sono stati i portabandiera della grossa spedizione italiana, con lo schema uomo-donna replicato da tanti. Ma tutto l’insieme ha fatto sì che i portabandiera di fatto scomparissero, messi sullo stesso piano di tutti gli altri: LeBron James non si è quasi visto. LeBron James.

Alla fine l’unico momento che entra davvero nella storia è quello dell’ultimo tedoforo, introdotto a Berlino 1936: ecco, con la torcia passata da Zidane a Nadal a Serena Williams a Nadia Comaneci a Carl Lewis a Laure Manaudou a Tony Parker si era partiti molto bene, un misto di stelle francesi e internazionali, poi i tedofori sono diventati tutti francesi e la chiusura, cioè l’accensione del braciere olimpico, è stata assegnata a Marie Jose Perec e Teddy Riner. Confessiamo di avere sperato fino all’ultimo in Michel Platini. Tanti campioni e qualche mezza figura, in ogni caso come emozioni si è andati lontanissimi dal Paavo Nurmi 1952 e soprattutto dal Muhammad Ali 1996. Gli atleti hanno comunque sempre il loro perché e del resto era impossibile non metterli.  

In caso di attentato con morti le Olimpiadi andrebbero avanti lo stesso? Non è una domanda accademica, perché è bastato il sabotaggio dei TGV e qualche allarme bomba per gettare nel panico la Francia proprio nel giorno della cerimonia di apertura. Niente è controllabile al 100%, soprattutto nei paesi democratici, quindi il morto può sempre arrivare, in qualsiasi situazione. È chiaro che il precedente da considerare è quello di Monaco 1972, quando un gruppo di terroristi palestinesi uccise 11 atleti israeliani: una vicenda più volte raccontata in libri e film (Munich di Spielberg il più famoso), mentre meno raccontato è il dibattito sportivo che avvenne dopo quei fatti. Avvenuti il 5 e 6 settembre, quasi a metà dei Giochi. Meno raccontato perché non ci fu alcun dibattito: il CIO dopo un giorno di stop decise di proseguire con le gare (si era a metà del programma dell'atletica, fra l'altro) cavandosela con una cerimonia commemorativa generica: l’allora presidente Avery Brundage non fece alcun riferimento ai fatti ma solo a imprecisati valori olimpici da difendere. Quanto alle bandiere a mezz’asta, i paesi arabi e l’Unione Sovietica dissero di no. Israele ritirò i suoi atleti dalle rimanenti gare, ma non chiese di sospendere i Giochi e del resto la sensibilità dell'epoca era diversa. E gli atleti delle altre nazioni? In gran parte se ne fregarono, tante è vero che i pochi che dissero no a questa indifferenza sono passati alla storia: su tutti l’olandese Wilma van den Berg, fra le favorite dei 200 metri, che dopo aver vinto il suo quarto di finale si ritirò in omaggio alle vittime. Tornando al presente, nel 2024 è inimmaginabile che i Giochi possano andare avanti dopo episodi del genere e lo sanno tutti, ma proprio tutti. Ma è meglio non pensarci. Da adesso soltanto sport, senza respiro.

25 luglio 2024

Squadra Italia

 Aspettando la cerimonia di apertura dei Giochi con buona parte dei potenti della Terra ed anche Sergio Mattarella, volato a Parigi insieme al sempre più istituzionalizzato Tamberi, portabandiera con Arianna Errigo, facciamo il quadriennale, antipatico e doveroso discorso sul peso delle medaglie prima che queste medaglie si materializzino. Discorso che ha un punto fermo, dato dalla logica: le medaglie negli sport di squadra, anche i meno popolari, sono più preziose perché (ovviamente) più rare e perché nascono da un movimento che non si può improvvisare, mentre quelle negli sport individuali possono invece essere generate da singoli progetti di successo, quando non da talenti sbocciati dal nulla (quanti giavellottisti aveva avuto Trinidad prima di Walcott?), e non necessariamente da una massa di praticanti. Non è che l’Italia sia piena di marciatori e di fiorettisti, eppure la programmazione e le strutture del CONi e delle federazioni, per non dire lo stipendio statale, permettono spesso agli azzurri di primeggiare.

Questa premessa per dire che il probabile record di medaglie non cancellerà il fatto che a Parigi siamo con soltanto quattro squadre, le due di pallavolo e le due di pallanuoto, peraltro tutte forti, le due di pallavolo di più. Non ci siamo nel calcio, nella pallacanestro, nella pallamano, nell’hockey su prato e nel rugby a 7. In altre parole 10 fallite qualificazioni sulle 14 possibili. Situazioni non casuali, perché l’ultima partecipazione con il calcio maschile è del 2008, mentre l’Italia femminile non si è mai qualificata da quando il calcio delle donne è ai Giochi, cioè dal 1996. La pallacanestro maschile è stata ai Giochi una volta nelle ultime cinque edizioni, a Tokyo con Sacchetti in panchina, mentre l’ultima partecipazione delle donne è del 1996. Facile la statistica sulla pallamano e sul rugby a 7, non c’è bisogno di controllare almanacchi: mai stati alle Olimpiadi. L’ultima volta dell’hockey su prato ai Giochi è invece... Roma 1960, per la nazionale maschile qualificata di diritto, mentre le donne non ci sono mai state (a Roma il torneo non era previsto). A nostro onore va anche detto che quando baseball e softball sono stati ai Giochi le selezioni azzurre sono quasi sempre riuscite a qualificarsi. Il miracolo sportivo italiano, figlio di condizioni particolarissime, merita quindi un approfondimento più che l’esaltazione acritica del medagliere.

Il forfait di Sinner ha gettato nello sconforto Malagò e media italiani, come è giusto che sia: non è solo il numero 1 per l'ATP, ma è anche il numero uno dello sport italiano per distacco. Questa era la sua Olimpiade e magari a Los Angeles ci sarà ancora una grande Sinner ma nessuno oggi può saperlo, nemmeno lui. Perché siamo condizionati dal ventennio di Federer, Nadal e Djokovic, ma ad altissimo livello tante carriere sono durate meno di quattro anni. Rimanendo sul presente e sui tabelloni sorteggiati oggi, bisogna dire che agli azzurri non è andata bene. Musetti parte con Monfils ed è in una parte di tabellone insidiosa: tirato a lucido potrebbe arrivare ad un quarto di finale contro Zverev, cioè il detentore del titolo. Arnaldi potrebbe farcela contro Fils, avendo come orizzonte l’ottavo contro Djokovic. Darderi è in forma ma ha un primo turno durissimo con Tommy Paul, mentre Vavassori ha poche speranze già contro Martinez. In generale nella parte bassa del tabellone Alcaraz sembra avere la strada spianata, con tutto il rispetto per il Medvedev da terra, mentre sopra Djokovic dovrà fare molta più fatica per presentarsi all’appuntamento da lui più atteso. Chiaramente tutto scompare di fronte al probabile secondo turno Djokovic-Nadal: difficile immaginare una partita più carica di tensioni, motivazioni, storia. La sceneggiatura perfetta l'avrebbe messa come finale.

Fra le donne la Paolini deve confermare la sua nuova enorme dimensione: per la finalista di Roland Garros e Wimbledon un primo turno non facile con la Bogdan e l’orizzonte di un quarto di finale con la Krejcikova, occasione buona per rifarsi della finale di Wimbledon e prendersi una medaglia. Potrebbe finire già al primo turno l’Olimpiade della Cocciaretto, contro una Shnaider relativamente on fire, e della Bronzetti contro una Vekic rinata. Guardando il tabellone è impossibile che la Paolini non abbia pensato alla semifinale contro la Gauff, che la ‘vecchia’ Paolini l’ha battuta due volte su due, e alla finale contro la Swiatek che a Parigi è sembrata di un altro pianeta. Un anno fa avremmo parlato di Paolini felice di passare il primo turno, non bisogna dimenticarsene mentre schiacciamo di aspettative una tennista andata forse oltre i suoi limiti. Di certo l'ottimismo ottuso che si respirava fino a due giorni fa ("Cinque medaglie in cinque specialità" e cose del genere), senza pensare al fatto che comunque Sinner non era il favorito per l'oro e nemmeno per l'argento, ha ceduto il passo ad un pessimismo cosmico altrettanto ingiustificato. Invece almeno una medaglia può senz'altro uscire dai doppi: Errani-Paolini, Bolelli-Vavassori e anche Errani-Vavassori nel misto che tristemente parte dagli ottavi di finale. 

Di sicuro i bookmaker, ma sarebbe meglio dire il mercato, non vedono benissimo i tennisti azzurri. L’oro di Musetti in singolare si gioca a 50, quello di Darderi a 100, quello di Arnaldi a 150, mentre il grande favorito è ovviamente Alcaraz, a 1.85 con Djokovic a 3.50. Quanto alla Paolini, il suo oro è quotato a 16.00 e dintorni, lontamnissimo dall’1.45 della Swiatek, ma anche ben sotto le quote di Gauff e Rybakina. Se guardiamo tutti gli sport, lo scenario che vede l’Italia vincere 12 o più medaglie d’oro è pagato a 2.00, secondo noi molto bene, mentre questo particolarissimo Under è a 1.72: insomma, il caso Sinner che poi non è un caso ma una scelta (sbagliata) ha tolto un po’ di ottimismo a tutti. Nelle specialità da copertina troviamo un nuovo oro di Jacobs quotato a 15, tantissimo, mentre quello di Tamberi è a 2.50. Nel nuoto l’oro azzurro più probabile è quello di Thomas Ceccon nei 200 dorso, quotato a 2.50, mentre nella pallavolo è notevole che l’Italia di Velasco sia favorita, quindi con la quota più bassa, a 3.00, mentre la nazionale maschile di De Giorgi è a 6.50. Un oro nel mirino anche quelli di Tommaso Marini nel fioretto, 2.75, ed uno in cui sperare è Filippo Ganna nella cronometro, a 3.25 secondo favorito dietro Tarling.

24 luglio 2024

L'oro di Sinner

 Le Olimpiadi di Jannik Sinner non sono ancora iniziate, ma sono già finite. Nessuna Sinnermania mediatica a Parigi 2024, e purtroppo in concreto nessun Sinner. Che dopo il quarto di finale di Wimbledon perso con Medvedev ed una breve vacanza con la fidanzata Anna Kalinskaya si era allenato per una settimana, ma non era mai davvero stato bene. La spiegazione ufficiale della tonsillite è discutibile, non perché siamo tutti medici di Google ma perché ci sarebbe stato ancora qualche giorno per guarire ed eventualmente entrare in forma durante il torneo, come Djokovic e Nadal hanno fatto mille volte. E così dopo il no a Tokyo l’assenza forzata a Parigi: il numero 1 del mondo non sembra scaldarsi troppo per i cinque cerchi, ma la rabbia disperata con cui altri numeri 1 hanno inseguito (Federer) e stanno inseguendo (Djokovic) l’oro olimpico in singolare avrebbe dovuto consigliarlo diversamente. Poi è chiaro, se uno sta male non può e non deve giocare. Di sicuro Sinner non può essere a giorni alterni eroe nazionale, in Davis o agli Australian Open, o traditore della patria se cerca di giocare solo quando sta bene. Su tutto c’è che i tennisti di solito devono pochissimo alla nazione che rappresentano, sono imprenditori che rischiano in prima persona sul mercato e non mantenuti che devono ringraziare il colonnello o il maresciallo dopo un’eliminazione in batteria. Sul piano strettamente tennistico ci sta che Sinner abbia deciso di guarire bene e di presentarsi al top nelle settimane che precedono gli US Open sull’amato cemento. Vederlo il 6 agosto in campo a Montreal sembrerà strano, ma non è fantatennis perché sulla carta il programma di Sinner è questo. Non è una scelta troppo diversa da quella del 2021, presa con un altro allenatore (Piatti) e da un altro Sinner. La vicenda è stata tirata troppo in lungo, superando il termine (20 luglio) per la sostituzione di un singolarista con un nuovo tennista? Ora il posto di Sinner in singolare sarà preso da Vavassori, già iscritto per i doppi, e non dal più meritevole Cobolli. Ma sono pensieri che scompaiono di fronte a quello più semplice: l'Italia ha perso il suo sportivo più famoso, al di là di una medaglia che sarebbe comunque stata dura da conquistare. E meno male, con il senno di poi, che a metà aprile Sinner aveva detto no all'idea di fargli fare il portabandiera alla cerimonia inaugurale. 

Hanno ancora senso le Olimpiadi? Nel giorno in cui sono iniziate le gare della dell’edizione numero 33, la trentesima fra quelle effettivamente disputate, la domanda è d’obbligo e la risposta è un grosso sì. Ci riferiamo all’aspetto sportivo, senza inerpicarci in analisi geopolitiche e finanziarie, anche se è evidente che i Giochi siano anche politica. La realtà è che per quasi tutti gli atleti delle 39 discipline (32 invece sono gli sport) presenti a Parigi le Olimpiadi rappresentano il massimo, almeno come prestigio. Discorso scontato per gli sport che senza la presenza olimpica non esisterebbero, come il tiro con l’arco e il pentathlon, ma anche per quelli che hanno una vita e un loro successo anche durante il quadriennio come pallacanestro, pallavolo, atletica, nuoto. Particolare il discorso per il tennis, tornato ai Giochi da Seul 1988 dopo l’edizione dimostrativa di Los Angeles, e per il ciclismo che da Atlanta 1996 ha i professionisti. L’oro olimpico non vale Wimbledon, ma quasi (quasi, ripetiamo) tutti i tennisti ci tengono molto ed anche Djokovic lo vive come qualcosa che manca alla sua carriera. Stessa cosa per il ciclismo, almeno per quello su strada visto che invece la pista ha i Giochi come punto d’arrivo: l’eventuale oro di Parigi per gli addetti ai lavori non vale una Parigi-Roubaix, ma anche in questo caso i campioni ci tengono e le assenze clamorose, come quella di Pogacar, sono figlie di diverse motivazioni.

Insomma, l’unico sport olimpico in cui l’oro olimpico vale pochissimo è il calcio, che proprio oggi è partito con un incredibile Argentina-Marocco, a Saint-Etienne. Marocchini in vantaggio 2-0 per la gioia del pubblico quasi tutto dalla loro parte, nel senso di composto in gran parte da tifosi marocchini, poi rimonta degli argentini incattiviti per i fischi all'inno. Gol di Giuliano Simeone, 2-2 segnato nel recupero e poi caos totale, con ben sette invasioni di campo. Partita sospesa per due ore, intanto il VAR ha decretato che il pareggio di Medina è irregolare. Sembra che abbia vinto il Marocco 2-1 e già dire 'sembra' è grave... Sicuro il ricorso argentino e giustificata la furia di Mascherano per una partita interrotta più volte e chiaramente irregolare. Caso sportivo ma anche politico, perché il Marocco (con i suoi tifosi, spesso formalmente francesi) deve giocare almeno altre due volte.  

Al di là di questo caos e della sofferta vittoria della Spagna sull'Uzbekistan, mentre la Francia ha battuto gli Stati Uniti nettamente per il punteggio ma in realtà soffrendo anche lei, per il calcio un'altra Olimpiade difficile. E non soltanto perché gli uomini sono Under 23, quasi 24 (bisogna essere nati dopo l’1 gennaio 2001), più tre fuori quota mentre fra le donne l’età è libera, ma perché lo stesso governo del calcio ha sempre boicottato i Giochi per evitare qualsiasi prospettiva che diventassero un Mondiale bis, come ad esempio accade nella pallavolo. A questo giro colpisce il livello basso dei fuoriquota, a partire da quelli della Francia: il parigino Mbappé ha scelto a malincuore di ubbidire al Real Madrid, così Henry ha dovuto accontentarsi di Lacazette che lo ha subito ripagato. Un po’ più alto il livello dell’Argentina con Julian Alvarez, ma è incredibile che in un paese del genere non si sia trovato niente di meglio rispetto a Rulli e Otamendi. Nemmeno la Spagna ha fuoriquota scintillanti ma insieme a Francia e Argentina (vedremo il risultato con il Marocco...) è la favorita, con i suoi tanti giovani in rampa di lancio, anzi già ben lanciati, da Alex Baena e Pau Cubarsì, passando per Fermin Lopez e tanti altri. Il Brasile di Endrick non ha passato il preolimpico, ma è stato un caso. Meno strano che per la quarta Olimpiade consecutiva sia assente l’Italia, con i fallimenti che portano la firma di Ferrara, di Di Biagio e di Nicolato anche se ovviamente le colpe sono da distribuire.

In questa rubrica quotidiana il Guerin Sportivo proverà, senza riuscirci perché la magia delle Olimpiadi è che ognuno ne trae sensazioni e ricordi diversi, a trovare il senso di tutto ciò che seguiremo a tempo pieno, cercando di evitare la retorica sul taekwondo, il fioretto o il breaking. Perché non è che tutte le medaglie abbiano lo stesso peso, anche se per tre settimane sarà impopolare dirlo. L’Italia con il 70% di atleti militari, il doppio rispetto a 20 anni fa, e ben messa in molte discipline-medaglificio (soltanto nella scherma molti prevedono 5 o 6 ori), ha ottime battere il suo record di 40 medaglie, stabilito proprio 3 anni fa a Tokyo, e quello dei 14 ori di Los Angeles 1984. Inutile dire che il difficilissimo oro di Jacobs e quello possibile di una dalle due squadre di pallavolo, che sarebbe il primo della storia, oscurerebbero tutto il resto ed è giusto così perché chi esce da una selezione durissima vale di più rispetto a chi emerge fra quattro gatti, oltretutto con il doping dello stipendio statale.

Fino alla fine abbiamo sperato in un cambio, adesso è definitivo. Fra i grandi protagonisti di Parigi 2024 non ci sarà Caitlin Clark, a pensare bene vittima della logica dell’anzianità di servizio (spiegazione che ci sta, visto che la più giovane convocata ha 27 anni) e del non bruciare i giovani, a pensare male (ed è così che la pensiamo) di invidia per la sua visibilità mediatica e di malcelato razzismo. Quattro giorni fa l’All-Star Game della WNBA, roba di solito indigeribile come l’equivalente maschile, con lei e Angel Reese, anche lei supertalento emergente, in campo nel Team WNBA che ha giocato contro la nazionale olimpica, ha battuto ogni record di audience per una partita femminile. A Parigi una enorme occasione persa non per gli USA, che l’oro lo vinceranno comunque fischiettando, ma per la pallacanestro femminile che avrebbe potuto catturare l’attenzione di bambine generaliste davanti al televisore.

20 giugno 2024

Parlare di politica?

 Si può parlare di politica in un contesto sportivo? Una domanda che nasce dall'attualità, cioè dalle prese di posizione di alcuni calciatori francesi, da  Mbappé a Thuram, in vista delle imminenti elezioni in Francia, ma anche come al solito da fatti personali. Uno dei nostri primi ricordi, negli spogliatoi del campo Kennedy (periferia ovest di Milano, ça va sans dire), era un cartello pieno di raccomandazioni igieniche, con l'aggiunta significativa di "È vietato parlare di politica". Non era una raccomandazione ideologica, ma banalmente un modo per prevenire litigi in quello che era un centro sportivo pubblico. Era ed è così ancora oggi in tanti club privati, dove gli iscritti non hanno voglia di avvelenarsi in quelle due ore anche se poi magari litigano per una decisione del VAR o per l'importanza storica da attribuire a Barella. L'idea di fondo, valida (o non valida) da Mbappé all'ultimo degli amatori, è che ci sono contesti in cui agli altri frega zero delle tue idee politiche.

Come prevedibile destra contro Mbappé e Thuram, peraltro piuttosto tiepidi nella loro presa di posizione (Mbappé è addirittura macroniano, mentre Thuram è costretto dal padre a fare quello intelligente), e sinistra a favore nel nome della libertà di espressione (e se Deschamps avesse dichiarato il suo sostegno a Zemmour?). E microcensure quasi dappertutto, con la FIGC e altre federazioni che cercano di prevenire le domande di questo tipo, riuscendoci benissimo visto che molti inviati sono per loro natura embedded. L'unica cosa che non si può censurare è il nazionalismo, diversamente le nazionali non esisterebbero. Ma la domanda di fondo non cambia: si può parlare di politica sfruttando la propria popolarità derivante da sport o spettacolo?

La risposta più diffusa è un no, soprattutto nel calcio visto che club e procuratori ammaestrano i giocatori in questo senso. Può valere il sì per posizioni molto generiche (nessuno è contro la pace) o per slogan vuoti come quello sul cambiamento climatico, e se proprio uno non si sa mordere la lingua può al massimo dire qualcosa di progressista, se non di sinistra. Lo citiamo spesso come esempio di giornalismo e quindi lo ricitiamo: perché quel servizio del Guerin Sportivo del 1976, con le preferenze politiche giocatore per giocatore (non erano congetture, il 90% degli interpellati rispose), oggi non sarebbe possibile? Eppure chi prova a chiedere c'è sempre, in tanti in questi anni ci hanno provato. La nostra personale risposta al sondaggio è un grosso sì, non è che sulle politiche francesi il parere di Scamacca valga di meno di quello di un trapper. Al di là del fatto che lo sportivo agonista sia naturalmente di destra, anzi per certi versi sia un sintesi di quelle che molti da un po' (il primo a farlo ci sembra sia stato Bersani) definiscono 'le destre', proprio per forma mentale.


Alfa Romeo Arna la più brutta


Esistono nella storia auto più brutte dell'Alfa Romeo Arna? Be', sì. Potremmo elencarne un centinaio senza nemmeno aprire Google. Però l'Arna è rimasta nell'immaginario collettivo come uno dei più colossali flop, in rapporto alle ambizioni. Ne parliamo oggi perché nel giugno del 1984, 40 anni fa che ci sembrano ieri, una campagna pubblicitaria martellante la propose come auto delle vacanze per la classe media ed infatti quell'anno fu l'unico in cui la Arna vendette discretamente. La follia dell'operazione Arna, nata e portata avanti quando l'Alfa Romeo era di proprietà dell'IRI (dal 1982 ne era presidente il Prodi post-sedute spiritiche), stava nell'essere un ibrido fra la Nissan Pulsar, auto peraltro già sul mercato europeo con il nome di Cherry, e l'Alfasud. L'accordo Alfa-Nissan prevedeva che la gran parte dell'assemblaggio avvenisse in Italia e qui iniziarono problemi produttivi enormi, fra Pratola Serra e Pomigliano d'Arco, perché le scocche Nissan mal si adattavano all'avantreno Alfasud e c'era quindi bisogno di una parziale riprogettazione. Insomma, la Arna tirò a campare fino al 1987, fra vendite risibili e campagne pubblicitarie memorabili ("Arna, e sei subito alfista", proprio di quel 1984, ma anche la criminale "Arna, kilometrissima Alfa" di qualche tempo dopo), senza contare le marchette in tanti film d'epoca e le citazioni postume, come quella nei Cesaroni.

Elkajer al Verona


Una data fondamentale del calcio anni Ottanta è quella del 19 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri. Quando il Verona acquistò Preben Elkjær-Larsen, per tutti noi Elkjaer, dal Lokeren. Un colpo da un miliardo di lire, per il solo cartellino, arrivato pochi giorni dopo il dispiacere per avere perso Iorio alle buste con la Roma ed in un momento in cui sembrava che Galderisi potesse tornare alla Juventus. Quella sera Elkjaer fu anche straordinario protagonista nella vittoria della Danimarca sul Belgio all'Europeo, un torneo ad 8 squadre ben diverso dall'attuale formula 'cani e porci'. Al Belgio guidato da un diciottenne Scifo, sedotto e abbandonato da Bearzot, per qualificarsi alle semifinali sarebbe bastato un pareggio, ma in vantaggio per 2-0 si fece rimontare dalla nazionale di Piontek, con il 3-2 firmato proprio da Elkjaer con una grande azione personale in una partita che ci gustammo minuto per minuto ad Albisola, dove come da nostro costume scroccavamo le vacanze a casa degli amici e dove eravamo barricati in casa per un diverbio di uno del nostro gruppo con alcuni tamarri locali (ad Albisola!), un superclassico delle vacanze degli adolescenti milanesi e romani. Ma tornando a Elkjaer, i competenti e forse anche gli incompetenti sanno quanto sarebbe stato importante nello scudetto del Verona, nei 9 anni magici della Serie A, 1982-1991, 7 squadre diverse per 9 scudetti ed un hype, merito anche del Mondiale 1982, irripetibile.

18 giugno 2024

Diretta o differita?

 Ci siamo mai chiesti cosa significhi la trasmissione in diretta di un evento sportivo? Gli scommettitori e i tifosi senz'altro lo hanno fatto. In teoria la diretta dovrebbe essere la possibilità, per lo spettatore, di vedere l’azione ‘dal vivo’ quindi nel momento in cui accade come se si trovasse – o quasi – allo stadio. Nella realtà questo non è tecnicamente possibile e ancora meno lo è quando si assiste a un evento con le piattaforme di streaming. Con le latenze della DAZN e dell'Amazon Prime Video della situazione che sono troppo dipendenti dai vari processi di codifica, così come dalla connessione. Insomma, spesso va di lusso quando i secondi di ritardo rispetto alla realtà sono dai 15 ai 20. 


Quanto appare sullo schermo è comunque in differita, per motivi prettamente tecnici ed il buffering è un male necessario: 30 secondi sono pur sempre meno dei 3 minuti di differita con cui nella Polonia comunista (o meglio, nella Polonia sotto la minaccia sovietica, perché Jaruzelski non aveva il profilo del dittatore comunista ed infatti il suo primo pensiero era evitare un'invasione da parte dell'URSS) venivano mandate in onda le partite della nazionale per nascondere gli striscioni pro Solidarnosc. Tornando a noi, il cuore della questione è semplice: nel mondo del 2024 accettiamo di essere in ritardo di qualche decina di secondi?

Nella maggioranza dei casi non si direbbe, visto che per chi scommette e per chi è tifoso è impensabile non sapere subito, in stile radio, cosa stia succedendo, attraverso notifiche web o, appunto, la vecchia radio. Ogni tanto per mettere alla pari le televisioni si sente parlare di ritardare il segnale del DTT o del satellite, in modo almeno di ovviare al problema dell'esultanza del vicino. Ci sembra una soluzione simile a quella di chi vorrebbe tornare nel tennis alle racchette di legno, ma ha una sua logica. Ci teniamo per la fine il vero problema e cioè che non riusciamo più a vedere lo sport in differita, sia pure di poco. Non resistiamo alla tentazione di 'mandare avanti' per essere alla pari almeno con gli altri telespettatori. Non riusciamo a non sapere il risultato, noi che centellinavamo partite NBA con una settimana di ritardo.


Retequattro sponsor del Milan


Rete 4, o Retequattro come si scrive ai tempi, sponsor del Milan. Il 18 giugno 1984, 40 anni fa che sembrano ieri, l'annuncio ufficiale di una sponsorizzazione che fa pensare a Silvio Berlusconi. Ma il Milan è di Giussy Farina e rimarrà suo fino a quando ad inizio 1986 glielo scipperanno (in preparazione, grazie anche alla collaborazione di Mark Hateley, un libro di Indiscreto di quelli che faranno storia), mentre Retequattro è controllata dalla Mondadori (dove Berlusconi non è ancora entrato).

Giornata di grandi annunci, per un canale che per due anni ha davvero fatto concorrenza a Canale 5 con grandi personaggi (Tortora, Baudo, Biagi, Costanzo) ed una sfida a viso aperto (come dimenticare Dynasty contrapposto a Dallas?), visto che Liedholm, appena tornato al Milan, firma come opinionista di Caccia al 13. Tutto bello, però a fine agosto la Fininvest compra il 50% di Rete 4, che sta perdendo tanti soldi, in attesa di prendersela tutta, e Berlusconi decide di riposizionarla: non più rivale di Canale 5, con anche velleità giornalistiche, ma rete per un pubblico femminile di cultura medio-bassa.

E il Milan? La maglia con la scritta Retequattro si vedrà soltanto in qualche amichevole e prima del campionato sarà sostituita con quella marchiata Oscar Mondadori: non ha senso che un canale di telenovelas sponsorizzi una squadra di calcio. Milan-Retequattro diventerà una maglia per collezionisti e oggi vale sui 1.000 euro. Quanto al canale, in tempi recenti c'è stato il tentativo di riportarlo alle origini generaliste e giornalistiche del periodo Mondadori. Ecco, un tentativo.

17 giugno 2024

Il sorpasso dei comunisti


 Le elezioni europee del 17 giugno 1984, quaranta anni fa, sono ricordate come quelle del sorpasso del PCI nei confronti della DC, dopo un inseguimento durato tutto il dopoguerra. 33,3% dei voti validi per il partito che sfruttò anche l'effetto Berlinguer, il segretario morto pochi giorni prima e al quale il 26 giugno sarebbe succeduto Natta, guadagnando molto (per quell'epoca in cui un decimale era oggetto di incredibili analisi) rispetto alle Politiche dell'anno prima in cui aveva preso il 29,9. Tutto sommato la Democrazia Cristiana di Ciriaco De Mita non andò male: 32,9% come nel 1983. La delusione fu il PSI di Craxi, presidente del Consiglio, che si aspettava un balzo in avanti trainato da un'Italia in ripresa economica ma rimase inchiodato all'11,2%. Malino i partiti laici (PRI e PLI insieme, il PLI da solo), MSI sotto il 7%. Due differenze enormi con la situazione odierna. La prima: votò l'82,47% degli aventi diritto, contro il 49,6% del 2024, segno che per mille motivi si riteneva che le elezioni avessero un impatto sulla vita ed il Fantozzi con gli occhi pallati che seguiva ogni dibattito va contrapposto a noi che ormai cambiamo canale ogni volta che intercettiamo un talk show politico. La seconda: sommando PCI, PSI (che era un partito di sinistra, bisogna ricordarlo), Democrazia Proletaria e Radicali, si arrivava al 50% dei voti, senza contare che la DC dell'epoca era governata dalla sinistra del partito.

Pillole di Messina


 Oscar Eleni con le tasche piene di miglio soffiato per salvare piccioni tedeschi che vogliono abbattere, chiedendo l’aiuto delle volpi inglesi trovate nel distretto dei laghi, un mondo meraviglioso. Manie tipiche dei vecchi, difendere chi sembra inerme. Un po’ come dovrebbero fare i giornalisti, ma queste sono giornate dove prevale il portatore d’incenso e nella nebbia organizzata da chi tiene il turibolo ci si perde. Obbligati a battere le mani per tutto quello che ci viene imposto più che proposto, sfogliando pagine azzurre in giornali rosa, rileggendo storie già raccontate mille volte per farci credere anche in quello che sembra impossibile. Se ne accorgerà Spalletti se dovesse andare male l’Europeo come nei primi secondi contro l’incredula Albania che scartava il regalo. Lo capirà Pozzecco se la crociata per la Nazionale di basket non avrà fortuna in Portorico.

Stagione del basket che festeggiando Boston, lo sapremo stanotte, ha chiuso la parte mercantile per aprire le porte al mese dei sogni olimpici nella speranza che nessuno li bombardi, ma già l’europeo di calcio in Germania fa registrare arresti per gente che va allo stadio con bombe carta e coltelli, mentre la polizia francese ferma tutto quello che sembra fuori posto, basta che non si arrivi agli strangolamenti americani. Scusate la fretta, ma i malati devono prendersi una pillola ogni ora e non hanno tempo per stare alla tastiera, disturbando. Vi serviamo pagelle express nella speranza di ritrovare fantasia più che salute.

10 A MESSINA per il suo scudetto nella stagione dove ha vinto anche sbagliando, ha trionfato anche quando in tribuna sbadigliavano e i nemici lo volevano sul rogo.

9 A Luca BANCHI per come ha combattuto con una Virtus nata settimina come diceva Scariolo. Bella stagione, grande inizio, finale senza benzina.

8 Al POZZECCO che ci  fa sognare a bocce ferme, quando le palle gireranno noi saremo tutti con lui che dal Curierun ci spiega che il mondo sarà anche grigio, o magari blu, ma potrebbe diventare azzurro.

7 A Peppe POETA che dopo il  tirocinio con Messina e l’apprendistato con Pozzecco sembra pronto per una bella carriera da allenatore solista che ama il gruppo, magari a Brescia.

6 A MAGRO se troverà subito un porto di quiete per continuare un lavoro che a  Brescia ha fatto benissimo.

5 Al POCO SPAZIO che viene dato per il trattato di pace e collaborazione che hanno firmato associazioni giocatori, allenatori, leghe, procuratori (?). Certo quando questa pace risulterà autentica se ne parlerà di più.

4 Al DOMENICALE campaniano perché ogni volta che abbiamo la fortuna di leggerlo, godendoci ogni parola, ci viene il magone vedendo invece come è diventato il giornalismo da imbucati, vestiti e mangiati.

3 Al PETERSON che ogni giorno, scrivendo, sorridendo, incontrando i suoi vecchi leoni, ci fa sentire inutili, troppo vecchi. Viva Dan.

2 Agli arbitri delle finali scudetto se non reclameranno tutti, anche quelli delle prime tre partite, la medaglia che è stata data a quelli che hanno diretto la partita scudetto, tutto questo sperando di capire perché SAHIN fosse fuori dalle finali

1 A TRIESTE se dovessero vantarsi di aver preso il meglio da Varese, anche se questa è la grande verità per la gioia di  chi è davvero contento e canta davanti al Pala Rubini.

0 A TRAPANI se in mezzo alle meritate feste per la promozione non si darà spazio soltanto alle cose belle, dimenticando le polemiche.

16 giugno 2024

Le migliori canzoni dei Negramaro


Ispirati dal G7 in Puglia dedichiamo ai Negramaro questa puntata del sempre più divisivo Festival di Indiscreto, di cui si è discusso molto anche a Borgo Egnazia. I Negramaro sono uno di quei pochi gruppi che hanno resistito, visto che il loro successo insieme dura ormai da un quarto di secolo, alla maggiore visibilità del frontman. Anche perché Giuliano Sangiorgi non è soltanto il cantante, ma anche l'autore pressoché unico di tutte le canzoni degli 8 album in studio, oltre che autore anche per altri. Ma il rapporto con gli altri cinque (Lele Spedicato alla chitarra, Ermanno Carlà al basso, Danilo Tasco alla batteria, Andro Mariano e Pupillo De Rocco alle tastiere e alla parte elettronica) è evidentemente più solido dell'invidia e della distribuzione dei proventi.

Scegliere tre canzoni dei Negramaro è davvero difficile, mai come in questo caso sono utili le classifiche dello streaming che, come da regolamento, integriamo con una scelta (che non riveliamo) della redazione di Indiscreto. Cominciamo con Parlami d'amore, brano trainante dell'album La finestra (come altri dei Negramaro prodotto da Corrado Rustici), con cui vincono il Festivalbar 2007, vale a dire l'ultima edizione nella gloriosa storia del Festivalbar. Da lì parte una nuova fase dei Negramaro, fra grandi live (San Siro, con relativo disco), colonne sonore di film, collaborazioni varie, ed anche problemi come l'operazione di Sangiorgi alle corde vocali.

Oltre al pubblico in Negramaro hanno sempre avuto dalla loro parte la critica, cosa che li ha aiutati a durare nel tempo ed anche a mascherare gli insuccessi (si pensi soltanto alla canzone dell'ultimo Sanremo, Ricominciamo tutto, che in tanti davano per vincitrice). Credibili al concertone del primo maggio come nelle gare di tormentoni estivi, di sicuro non vivono di ricordi ed infatti alcune delle loro hit più fortunate sono recenti: nelle nostre votazioni entrano quindi Attenta,  del 2015, contenuta nell'album La rivoluzione sta arrivando, e La prima volta, del 2017, uno dei singoli uscitida Amore che torni. Sono ormai durati così a lungo che il loro pubblico è transgenerazionale, anche se la parte Millennial è dominante.

14 giugno 2024

L'inquilina del piano di sopra


Uno dei rari film con Lino Toffolo protagonista, e guardandolo si capisce perché siano rari, è L'inquilina del piano di sopra, che questa notte alle 2:45 sarà riproposto dal benemeritò Cine34. A suo tempo, ma non al cinema perché nel 1977 avevamo 10 anni, lo guardammo soprattutto per la meravigliosa Silvia Dionisio, icona di un filone erotico con pretese intellettuali che scoprimmo grazie al Guerin Sportivo, nell'epoca meravigliosa in cui modelle e attrici posavano con le maglie delle squadre (lei lo fece con quella del Torino dell'ultimo scudetto) perché ai lettori non interessavano soltanto gli esercizi di De Zerbi e lo scudetto dei bilanci. Qui la Dionisio  è nella parte di Aurora, i cui incontri con il fidanzato (Teo Teocoli, improbabile marchese) fanno indispettire i vicini di casa invidiosi, fra grida e mugolii. Fra questi vicini il professor Arturo Canestrari, cioè Toffolo, che prima la ammonisce e poi inizia a sbavarle dietro, dandole anche lezioni private di 'cultura'. La trama è inconsistente, Cannavale e Pippo Franco in altre occasioni sono stati più divertenti e qui se la cavano di mestiere, così si rimane inchiodati al film soltanto per il fascino magnetico della Dionisio. Che gli appassionati di calcio ricordano e onorano anche per la copertina del 45 giri El Mundial, canzone ufficiale di Argentina '78 scritta da Morricone, che ebbe un certo riscontro in Europa ma che in Argentina fu superata da una produzione locale.

13 giugno 2024

Uomo Indiscreto 2023-24, le nomination

 Un altro anno è passato e siamo ancora qui, a eleggere l'Uomo Indiscreto. Cioè quella persona, nella categoria 'Personaggio pubblico' e in quella 'Commentatore', che meglio rappresenti i nostri valori: divisività al limite del trollaggio, gusto per la provocazione, culto del cazzeggio, leggerezza, atteggiamento positivo verso la vita. Anche se Indiscreto ha 24 anni di vita, gli Indiscreto Awards (all'estero sono conosciuti anche così) sono arrivati soltanto alla quarta edizione dopo quelle del 2021, del 2022 e del 2022-23.

Come al solito chiediamo nei commenti a questo post di indicare le vostre proposte di nomination (massimo tre a testa per categoria) per queste due categorie e per quella 'Hall of Fame', riservata a commentatori un tempo molto attivi e amati ma ora spariti, o quasi, per motivi diversi: stanchezza, bolsezza, antipatia di altri utenti e/o della stessa redazione del sito, rifiuto dei personalismi, tempo, cambio di gusti, eventi negativi, morte. La direzione di Indiscreto ha deciso di inserire di diritto nella Hall of Fame anche i vincitori di ogni anno. Nel caso fossero già hall of famer il riconoscimento andrebbe al secondo classificato, o comunque al primo classificato non già presente nella Hall of Fame. La direzione ha altresì deciso di abolire i premi per tifoseria, nell'ottica della valorizzazione del brand dei premi principali, e si riserva di introdurre il bolsometro, per eleggere il personaggio o l'utente più bolso.

La solita precisazione, per quanto ci riguarda: l'Uomo Indiscreto è secondo noi un personaggio comunque positivo, che non lascia indifferenti. Di solito, basta scorrere la classifica, premia i commentatori più ironici ed autoironici, che prendono in giro ma anche si fanno prendere in giro, accettando lo scherzo. Insomma, la gente che nel nostro piccolo cerchiamo di frequentare. Per il personaggio pubblico le considerazioni sono ovviamente diverse, perché non è che Trump o Putin scrivano su Indiscreto (ma Vannacci potrebbe farlo). Suggerimenti accettati fino al 7 luglio, poi dal 7 al 14 votazioni che non a caso termineranno con la finale degli Europei.

Uomo Indiscreto

2021: Tyu Tyu (secondo Nicola Peluchetti, terzo Marcopress)

2022: Nicola Peluchetti (secondo Tyu Tyu, terzo Marcopress)

2022-23 The Great Reset (secondo Nicola Peluchetti, terzo Dane)

Uomo Indiscreto (Personaggio pubblico)

2021: Trump (secondo Berlusconi, terzo Salvini)

2022: Putin (secondo Soumahoro, terzo Zelenski)

2022-23: Generale Vannacci (secondo Berlusconi, terzo De Zerbi)

Hall of Fame

2021: Tyu Tyu

2022: Tani, Nicola Peluchetti

2022-2023: Emiliano Torracca, The Great Reset


Quanto costa mantenere un gatto


Quanto costa mantenere un gatto o un cane? Insomma, un animale domestico di quelli più diffusi. Abbiamo letto una notizia basata su una ricerca di Changes Unipol elaborata dall'IPSOS, secondo cui la spesa per un animale domestico supera i 1.000 euro l'anno. Sui 70 euro al mese di media per un gatto o un cane, a cui aggiungere 180 euro l'anno per spese veterinarie. Siccome facciamo parte del 56% degli italiani che possiede, ci piace dire 'gestisce', almeno un animale domestico (causa troppo dolore nell'età adulta siamo stati senza solo due mesi nel 2021), questi dati ci hanno fatto riflettere.

Anche in positivo, visto che i Millennial sono la fascia di età che maggiormente considera l'animale come un membro della famiglia (all'85%), mentre per noi X e ovviamente per i Boomer (quelli veri e non quelli che semplicemente dicono che rap e trap fanno schifo) la percentuale scende. Detto che ogni razza, oltre che ogni specie, ha esigenze e quindi costi diversi dalle altre, senza contare le dimensioni, abbiamo fatto due conti con la nostra amata Soraya, principessa meno triste della Soraya originale e alla quale presto affiancheremo un compagno. Un gatto più centrato sull'umido che sul secco può costare quasi 2 euro di umido (senza andare al risparmio, stando in zona Schesir, piuttosto diamo la disdetta a Sky) al giorno e circa 10 euro di secco alla settimana, quindi di pura alimentazione non lontano dai 100 euro al mese.

È chiaro che un gatto più amante del secco, e ce ne sono tanti che al di fuori dei croccantini mangiano quasi niente, costi meno di alimentazione, per non parlare di un gatto che venga nutrito con avanzi (ma in questo caso ci sono diversi alimenti pericolosi, il risparmio di oggi è l'intervento chirurgico di domani). Anche per un cane vale il discorso secco-umido, con quantità ben diverse da quelle del gatto: senza fare l'esempio estremo degli alani, per anni abbiamo vissuto di fianco a due bellissimi, il cibo umido per un cane di taglia media supera tranquillamente i 1500 euro l'anno, quindi aggiungendo secco, visite mediche e tutte quelle altre cose che i proprietari di cani sanno non è strampalato dire che a parità di salute il cane costi almeno il doppio del gatto (e un ventesimo di un figlio, anche se il figlio fa risparmiare su altre cose). Inutile citare i casi particolari, perché abbiamo frequentato gatti bisognosi di cure pesanti e cani da battaglia, ma in generale si può dire che siano stati e saranno i soldi meglio spesi della nostra vita.

Jerry West

 Chi è stato Jerry West? No, non intendiamo quelle poche righe di coccodrillo su uno dei più grandi giocatori, e di sicuro il più grande costruttore di squadre (nessuno ha mai creato nella NBA tre diversi cicli vincenti, lui lo ha fatto due volte ai Lakers e poi agli Warriors), di tutti i tempi, ma su chi è stato davvero. Personaggio straordinario, capace di raccontarsi in un libro bellissimo, West by West - My charmed, tormented life (se fossimo gente seria e non quaquaraquà compreremmo i diritti per l'Italia), che affascina per come West abbia attraversato quasi un secolo di America in situazioni molto diverse e sempre con disagio, mai godendosi i successi. Di seguito qualche cosa che ci eravamo appuntati ai tempi, per costruirci intorno riflessioni mai fatte.

L'episodio decisivo della vita di West è la morte del fratello David nella Guerra di Corea. Jerry aveva 13 anni, abitava in un paesino di minatori (di carbone) in West Virginia ed aveva un padre che lo picchiava a sangue e minacciava di ammazzarlo, al punto che lui si era abituato a dormire con un fucile sotto al letto per eventualmente ammazzarlo prima lui. Unico amico, è sempre West che parla-scrive, il classico canestro in giardino, solo che il giardino era quello dei vicini. Il padre sarebbe diventato più gentile all'aumentare del successo di Jerry, campione statale con la high school, quasi campione NCAA con West Virginia, oro olimpico a Roma e poi 14 anni nei Lakers prima di fare l'allenatore (abbastanza bene) e il dirigente.

West è spesso stato molto critico nei confronti di un sistema che governa la gente usando la sua stessa ignoranza e se l'è presa sia con gli industriali sia con i minatori (suo padre non lo era in senso stretto, era l'elettricista della miniera), che preferiscono spendere per una macchina nuova che per l'istruzione dei figli. Si rendeva conto di essere lui stesso parte del sistema ed infatti soprattutto negli ultimi anni rimpiangeva il fatto di avere rifiutato dopo la carriera da giocatore molte proposte di candidatura: "Da politico puoi fare la differenza, da personaggio della pallacanestro no, anche se sei famoso. La glorificazione degli atleti è senza senso".

West era il bianco più forte in una NBA di dimensioni ridotte e di interesse nemmeno paragonabile a quello di oggi, già con i campioni in larga maggioranza neri. Ringraziò Fred Schaus, suo coach ai Lakers, per avere istituito la regola che ogni Laker dovesse stare in stanza, se possibile, con uno di un'altra razza. Il rispetto dei giocatori neri, dall'amico Elgin Baylor ad altri, sarebbe stato fondamentale per il successo come dirigente. Non  a caso gli spogliatoi delle sue squadre sono stati sempre buoni ambienti, anche se frequentati da gente con personalità molto diverse. Soltanto lui poteva far funzionare insieme per un decennio Magic e Kareem, e la prova si è avuta con Kobe-Shaq con i Lakers di West e Kobe-Shaq senza West.

La carriera di West è il festival del What if. I due più grossi sono conosciuti da tutti. Al draft del 1960 era lui il grande obbiettivo di Red Auerbach, che fece l'impossibile per portarlo ai Celtics tramite scambi: ci fosse riuscito non sarebbe diventato il personaggio NBA più odiato da West, al di là di quanto già odiasse i Celtics. Il secondo è quello riguardante Julius Erving, sul quale lo West allenatore dei Lakers avrebbe voluto costruire una dinastia: Doctor J e Jabbar, non male. Ma Jack Kent Cooke, l'uomo che avrebbe svenduto i Lakers a Jerry Buss, si oppose perché riteneva gli ex ABA giocatori da circo.


Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...