16 maggio 2024

Maldini o Cardinale?

 Paolo Maldini o Gerry Cardinale? Non è un Di qua o di là scontato, perché non è scontato che un grande campione sia capace di gestire un club, anzi ci sono tanti esempi che dicono il contrario, e nemmeno che un manager sappia capire la specificità del calcio italiano, ed anche qui i casi negativi abbondano. Il pretesto è ovviamente la storia di censura denunciata da Alessandro Alciato riguardo alla sua intervista a Maldini per Radio Serie A, cioè la radio della Lega e nella testa di molti presidenti l'embrione della tivù della Lega stessa. Intervista in cui Maldini ha toccato vari temi, fra l'altro dicendo che non andrebbe mai in Italia a lavorare per una società diversa dal Milan, e in cui parlando dell'Inter (ma era evidente che stesse pensando alla sua ex squadra) ha sottolineato l'importanza della continuità nella struttura sportiva. Nostra traduzione grezza: Cardinale, hai fatto male a cacciarmi.

Intervista che noi abbiamo seguito su YouTube ma che a un certo punto è scomparsa per 24 ore, per poi ricomparire in seguito ad una telefonata di Maldini alla Lega. Episodio ricostruito da Alciato, che ha parlato di pressioni del Milan per non mandarla in onda, con il giornalista ex Sky, ora ad Amazon, che comunque in seguito a questo episodio ha interrotto la sua collaborazione con Radio Serie A. Insomma, ci sarebbe stato un tentativo di censura, peraltro mal riuscito, per evitare che le parole di Maldini fossero interpretate (come poi è stato da parte di chiunque le abbia ascoltate) come un attacco alla gestione attuale nel Milan, nel mirino anche di molti tifosi per cui l'aspetto sportivo viene prima dei bilanci. Parentesi: se un'intervista con toni pacati genera queste reazioni, cosa potrebbe essere in una tivù di lega la discussione su un caso da moviola?

Il Di qua o di là è quindi filosofico e va oltre Maldini, che nei suoi cinque anni da dirigente ha commesso errori ma anche fatto scelte eccellenti (a seconda del tipo di articolo si possono citare Giampaolo o Theo Hernandez), e Cardinale i cui obbiettivi finali nessuno in definitiva conosce se non per le briciole buttate lì ogni tanto dalla sua discutibile comunicazione. Il grande ex deve limitarsi a fare il tagliatore di nastri (tipo Zanetti, ma anche Antognoni o Totti quando venivano sopportati alla Fiorentina e alla Roma) e lasciar fare ai manager? Nulla impedisce al grande ex di studiare la gestione di una società e al manager di capire di calcio, ovviamente, però nella realtà dei fatti vediamo pochi dirigenti davvero bravi, anche in grandi club non soltanto italiani. Il calcio è troppo specifico anche all'interno dello sport. Ma rapportando tutto al presente e al Milan: Maldini o Cardinale?

stefano@indiscreto.net


15 maggio 2024

Rovazzi o Sala?

 Fabio Rovazzi o Beppe Sala? Un Di qua o di là che dimostra come sia arrivato il momento di lasciare Milano ed aprire un chiringuito in un paese CONCACAF, se soltanto non fosse una cazzata da limoncello-time. La vicenda è nota: il cantante-influencer per lanciare la sua nuova canzone, Maranza,  ha fatto una diretta Instagram durante cui lo smartphone gli è stato rubato da un maranza presunto vero. Maranza nella nuova accezione (maghrebino più zanza), quello con la tuta ed il borsello a tracolla, non più il generico tamarro di periferia dei nostri tempi. Una scenetta rilanciata da molti follower di Rovazzi e ripresa da tanti giornalisti e commentatori, soprattutto di destra, felici di vedere confermate le proprie tesi anche da un fake quasi palese.

In breve la verità è venuta fuori e così la canzone di Rovazzi e di Il Pagante (Giravo in Corso Como/Si è avvicinato un uomo/Mi ha chiesto una Marlboro e l’orologio/Non so che ore sono/In tasca sento un vuoto/Mi hanno pullappato (mi hanno derubato)/ Con una moto/ Ora ho un sogno solo/Vorrei diventare come uno di loro/Un maranza) ha avuto una pubblicità gratuita grazie alle reazioni stizzite, queste da sinistra, dell'assessore Pierfrancesco Maran ("Ma che bella trovata Rovazzi! Anche noi milanesi potremmo avere un’idea divertente di marketing nel farti causa per danni di immagine e simulazione di reato") e del sindaco Beppe Sala ("Qual è l’esempio che diamo ai nostri figli? Fai il furbo, mettiti in evidenza e sarai premiato con fama e soldi? È un esempio tristissimo. Mi auguro che Rovazzi ci ripensi perché fare il figo davanti a una cosa del genere è una cosa che non funziona").

La cosa sconcertante è che sia Rovazzi sia i politici locali si sono concentrati sull'aspetto mediatico della vicenda e non sulla sostanza. A Milano è davvero  più probabile, rispetto a qualche anno fa, che qualcuno ti rubi il telefono o faccia anche di peggio? Giudicate voi, come dicevano ai tempi di Telepiù. Sia Rovazzi sia Sala, in modi diversi, minimizzano la questione della microcriminalità, ormai con protagonisti quasi tutti stranieri o peggio ancora nuovi italiani: Rovazzi ne parla in maniera ironica in una canzone piena di citazioni anni Novanta e di prese per il culo nei confronti dei trapper di oggi, Sala non ne parla proprio (e quando a usare l'ironia è stato lui, come con la Milano-Gotham City dei Club Dogo, la cosa gli è venuta male), ed al di là dei reati sempre più ragazzi, senza nemmeno la scusa della periferia e del disagio, si comportano come maranza. Rovazzi o Sala?

stefano@indiscreto.net

 


14 maggio 2024

La banda degli onesti

Prendiamo nuovamente spunto da una notizia di cronaca (il sequestro a Napoli di circa 48 milioni di euro in banconoteda 50 euro contraffatte) per parlare di un altro film interpretato da Totò: La banda degli onesti. Uscito nelle sale nel 1956 e diretto da Camillo Mastrocinque, racconta la storia del custode Antonio Bonocore (Totò), del tipografo Giuseppe Lo Turco (Peppino De Filippo) e dell’imbianchino Cardone (Giacomo Furia) che si ritrovano con in mano cliché e carta filigranata trafugati da un condomino di Bonocore nientemeno che all’Istituto Poligrafico dello Stato. E che decidono, dopo tanti dubbi e spinti dalla necessità, di produrre loro stessi le banconote da diecimila lire (dei lenzuoli, di fatto).

Parte del filone più ‘serio’ delle pellicole interpretate dal principe De Curtis, La banda degli onesti include diverse scene entrate di diritto tra le migliori del suo repertorio. A partire dal confronto tra Bonocore e il prepotente ragionier Casoria (il sempre straordinario Luigi Pavese), amministratore dello stabile, passando per la spiegazione sociale che lo stesso portinaio dà al tipografo davanti a una tazza di caffè (con continue storpiature del cognome). “Questo è lei (la prima tazza di caffè, ndr) e questo è il capitalista, il profittatore (la seconda tazza, ndr). E questo è invece il capitale (lo zucchero). In origine sono senza zucchero tutti e due…”, fino alla leggendaria scena della produzione delle banconote.

Totò passa con disinvoltura dal comico al malinconico, dipingendo insieme agli altri protagonisti un mondo fatto di cambiali e vite sul filo della Lira. Da citare per tutti il dialogo tra Bonocore e il suo futuro sostituto, inviato dal vendicativo Casoria, che in poche battute ed espressioni (quella di Totò vale tutto il film) tratteggia il dramma della possibile perdita del lavoro. Iconico, oltre che primo grande film con Totò e Peppino insieme.

Paolo Morati



Forza Juve o Juve merda?

 Forza Juve o Juve merda? Purtroppo non siamo tornati nella nostra prima elementare, nella meravigliosa (anzi no) Italia del 1973, ma siamo soltanto rimasti colpiti da due fatti che a dispetto del titolo beceramente acchiappaclick (non siamo Proust e nemmeno Prost, viviamo di questo) ci offrono il pretesto per una riflessione seria, forse anche interessante. I due fatti sono ovviamente la risposta, urlata anche alla telecamera, di Sebastian Korda ai tifosi romani(sti) che lo avevano insultato per due ore durante il suo match con Cobolli, perché era avversario di Cobolli e perché fidanzato con la figlia di Nedved, e le frasi mormorate dalla bambina fiorentina prima di Fiorentina-Monza, accompagnando l'entrata in campo dei giocatori. Due fatti che a loro volta si presterebbero a un Di qua o di là, ma rimaniamo concentrati, non disuniamoci.

Il tema è sempre quello: perché oggi la Juventus è divisiva, a prescindere dai suoi rappresentanti e dai suoi risultati, più di quanto non sia l'altra squadra nelle città con derby di un certo livello (Inter-Milan, Roma-Lazio, Genoa-Sampdoria) o con rivalità regionali forti come potrebbero essere Bari-Lecce, Palermo-Catania, eccetera? Abbiamo scritto 'oggi' non a caso, perché nella citata Italia del 1973 ed anche in quella successiva non funzionava così. Le rivalità era generata dai derby o da antipatie di altro tipo, soprattutto personali: il compagno di banco o il collega antipatico erano il nemico, si tifava contro di loro e la loro squadra, non contro Zoff, Mazzola o Rivera. Non era un tifo migliore, beninteso, ma soltanto un tifo che aveva origine diversa.

Personalmente, riferendoci soltanto all'orticello della periferia ovest milanese, ai nostri tempi in genere tifava Juventus chi seguiva poco il calcio ma qualcosa doveva pur rispondere al terribile 'A che squadra tieni?'. Va da sé che quegli juventini d'epoca fossero poco divisivi, indifferenti anche di fronte ai vari 'La Juve ruba' dei tifosi della altre squadre, molto ambiti per completare le squadre dispari di interisti e milanisti. Ci sono varie teorie, ma secondo noi il cambiamento epocale come percezione sarebbe avvenuto con la Juventus di Moggi e Giraudo, parliamo quindi di trent'anni fa, ed è poi esploso ovviamente con Calciopoli e la benzina del web. Lì molti juventini si sono trasformati, generando anche figli di un certo tipo (quelli che allo Stadium gridano 'merda' ai rinvii del portiere avversario, ad esempio), ma molti sono anche rimasti distaccati come ai bei tempi. Va da sé che sia cambiato anche l'antijuventinismo: da invidia per una squadra forte e potente ad un livore assoluto, quasi antropologico, con tanto di giornalisti specializzati. Forza Juve o Juve merda? Korda o la bambina di Firenze?

stefano@indiscreto.net


13 maggio 2024

I dannati del ground

 Quinto Slam? Al Foro Italico manca lo spazio per respirare e mai come quest’anno ce ne siamo accorti, visto che sabato siamo stati agli Internazionali d'Italia dopo avere acquistato il biglietto Ground: 53 euro comprensivi di prevendita, circa il doppio dell’anno scorso (effetto Sinner? Ma Sinner non l’avrebbero mai messo lì), che davano diritto a vedere i match sul meraviglioso Pietrangeli e di spostarsi sui campi secondari seguendo l’ispirazione e l’interesse per un particolare tennista. Siamo quindi stati comparse paganti nel giorno in cui è stato stabilito il record assoluto di spettatori nella storia del torneo: 36.671 persone, 28.952 per la sessione diurna e e 7.719 per la sera.

Fra l'altro è già stato battuto il record totale di biglietti venduti in tutto il torneo, stabilito l'anno scorso con 298.537: si è già oltre quota 300.000 e il numero può crescere ancora, anche se l'uscita di scena, o la mai entrata in scena, degli italiani più forti, di Alcaraz, Djokovic, Nadal, eccetera, di sicuro non scatenerà la corsa al biglietto. Domanda: ma se Centrale e Grand Stand sono spesso semivuoti, come è possibile che vengano stabiliti questi record? Semplice: si sono venduti più biglietti ground, quelli per la classe media, e pazienza se si faceva fatica a camminare non diciamo per andare ai campi, ma anche soltanto per girare fra gli stand e per i campetti dove i maestri della FITP davano lezioni introduttive ai bambini.

Situazione affollamento molto peggiorata rispetto agli anni scorsi, che noi tossici possiamo risolvere facendo l'upgrade del biglietto (per l'ultima di Nadal ne valeva la pena) e che poco si presta alla demagogia: il tennis non è un bene di prima necessità e i prezzi dei biglietti (domani, un martedì pomeriggio lavorativo, sul Centrale non si trova niente per meno di 160 euro) sono bene evidenziati. Soprattutto non esiste il mitico 'prezzo giusto', perché noi sul Pietrangeli abbiamo fatto un quarto d'ora di coda per vedere Badosa-Shnaider, ma altri, anche senza problemi finanziari, troverebbero eccessivi 20 euro per Sinner-Alcaraz (sono gli stessi che poi li spendono per uno Spritz, prima di vedersi Frosinone-Inter con il pezzotto). Di sicuro il Foro Italico è troppo piccolo per ciò che il torneo è diventato, e piccolissimo per le ambizioni.

Però complessivamente noi, che qui abbiamo visto fra le altre cose anche una finale Arias-Higueras in un Centrale quasi completamente vuoto e in un contesto di abbandono, questa esperienza la consiglieremmo. Si respira una buona aria, come negli sport di successo accade raramente. E qualche coda, anche per andare in bagno, è preferibile al mortorio da parrocchietta. Certo anche i più motivati si accorgono di essere polli da spennare.


Cinque per Napier


 Oscar Eleni incatenato fra i pianeti cercando di far ragionare almeno il Sole ed Urano, destinati ad incontrarsi controvoglia. Nell’anno bisesto succede di tutto, si rinasce o si rimuore, anno olimpico che ci porterà doni e sventure, nella speranza che non siano le bombe a dare il ritmo nella cerimonia d’apertura sulla Senna, la vera grande novità, stare fuori dallo stadio e dare a più persone il piacere di guardare ed applaudire. Una finzione per far credere che davvero si pensa alla gente, alla democrazia, alla pace, quando invece sentiamo che la produzione di armi arricchisce i soliti noti, che la salute gestita dai privati crea imperi e scale per avere giornali, posti privilegiati nei parlamenti, grano a profusione soprattutto per chi andrà al parlamento europeo dove dicono si possa guadagnare tanto facendo nulla, fingendo di sostituire bene chi si è fatto eleggere sapendo che non sarebbe mai andato a Bruxelles.

Il vuoto intorno a noi come dice Elio. nella splendida intervista di Veltroni sul Curierunparlando di musica senza inganni, del mondo che finge di aiutare e poi si siede da un’altra parte se una famiglia, una personahanno problemi  che meriterebbero il vero impegno invece di sentir strimpellare organetti che suonano sempre la stessa musicaUn po’ come il coro di chi guarda con disperazione troppe edicole chiuse e si domanda perché i giornali vendono sempre meno, cominciando magari da quelli “sportivi”

Siamo confusi trovando tanto interesse per feste sportive dove fa più notizia una borraccia che cade, “per caso?”sulla testa del Djokovic poi eliminato di un torneo rimasto senza campioni e senza italiani. Certo sapranno spiegarci perché il ritiro, o la fuga, della Giorgi (debiti o cosa?) meriti più spazio dell’agonismo vero, dello sport senza inganni o quasi. Parole al vento, vuoi mettere la caccia di Milan e Napoli al nuovo allenatore? A proposito, il martirio per un Pioli che dovrebbe arrivare secondo nel campionato dominato dall’Inter spiega tutto, ma perché stupirsi direbbero Ancelotti, Spalletti, Gasperini che nel loro viaggio verso la beatificazione sono passati nell’inferno dove chi ha dobloni pensa di poter fare dire di tutto? L’esempio Napoli non sembra interessare a nessuno e forse ci sarà un allenatore che ancora darà il suo aiuto a DDL.

Senza fermarsi a ragionare sulla mischia emotiva che avremo in atletica per un campionato Europeo a Roma che precede di poco l’Olimpiade, sapendo cosa si dovrebbe privilegiare, ma con la certezza di vedere stravolto tutto, anche se ci sarà felicità vedendo che in Europa si può fare meglio che davanti al mondo.

Giornate che sembrano calde, ma restano scivolose, soprattutto se arriva la grandine. Sul basket ai play off avevamo scritto, ma poi ci hanno messo un primo chiodo sulla bara del pensiero preferendo il messaggio con programma e partite, nascondendo quel pianto sull’Europa matrigna che aveva respinto le nostre società, quella denuncia sulla candeggina versata per farci credere che davvero chi governa federazione, lega, società, sono alleate per il bene  comune, inermi davanti a vivai prosciugati, conniventi con  formule che al momento  distruggono invece di costruire.

Sul basket che smazza fra le otto migliori, come sempre, torneremo a ragionare quando avremo le semifinaliste, ma di sicuro non si può restare insensibili davanti ai primi verdetti e allora chiamiamo tutti gli allenatori della mente, i più ricercati, i più bravi, per spiegare, ad esempio come dal più venti si possa essere raggiunti, come dopo un primo quarto luccicante si diventa pulviscolo del Forum notando più il Napier che uscendo dal campo si dà un cinque da solo che tutto il resto, scoprendo che il giocatore è proprio quello, felice con se stesso e pazienza se dovrebbe essere l’uomo che apparecchia la tavola per i compagni. Certo con quelli che gli hanno messo di fianco si fa una certa fatica a capire.

Play off per stordirci, ma per fortuna c’è già chi pensa ai problemi veri, diciamo quelli della Nazionale. Dove governano sono felici di poter mettere sulla maglia azzurra il marchio che dovrebbe farci volare alla faccia di chi pensa che la salvezza per chi vola davvero possa arrivare da altre organizzazioni non nazionali. Dove si tenta di ragionare, invece,  si stanno preparando i marines per aiutare davvero Gianmarco Pozzecco che al raduno in Trentino vorrebbe gente non sfiduciata o  denudata dal campo come si è visto per probabili azzurri all’inizio del playoff.

Per fortuna ai basket morenti resta il piacere di avere cose da leggere su siti dove mettere insieme pranzo e cena è già difficile, ma dove la passione aiuta nella speranza che chi legge capisca. Viva allora il Domenicale campaniano dedicato proprio a Pozzecco che fa stare sulla spiaggia con tanti altri per salutare la nave Azzurra al varo come gli indigeni che non volevano vedere partire Titino Manfredi mentre il capoccia De Salvo Sordi con il ragioniere lo salutava dal bastimento  che salpava l’ancora. Sarebbe ora per le pagelle dicono su Urano bruciato dal sole, ma in tempo di playoff i voti arriveranno alla fine dei quarti, anche se qualcosa  va pure premiato o castigato.

10 All’ARMANI scandalosa di gara uno che si è nascosta dietro i grandi del passato, da Gamba a Kenney, passando per Cerella che ha chiuso la  sua carriera a Treviglio, che ha mostrato le pudenda ad oltre 9000 persone e non è stata neppure fischiata perché la gente sa capire e Spalletti come ospite bastava ed avanzava. A lui penseranno quando gli stessi incensatori di oggi si domanderanno  perché anche il calcio regala ad Azzurra gente non di primissimo piano.

9 Al GALBIATI di Trento che, contrariamente a tanti ex Olimpia, ex giocatori di Messina, pur infilando una lama rovente nel cuoricino di Ettorre, ha pensato soltanto ad abbracciare colossi come il suo capitano Forray.

8 A COLDEBELLA e alla presidentessa di REGGIO EMILIA per aver costruito una società di grande qualità qualsiasi possa essere il risultato finale contro Venezia e i suoi spettri.

7 All’URANIA MILANO, uscita bene dai play off di A2 dopo una dura battaglia con la Verona del RAMAGLI, perché  sappiamo che CREMASCOLI la costruirà davvero una società che ripossa dare un derby serio a Milano. Campionato di A2 che dovrebbe essere l’orgoglio del sistema anche se non merita più di una breve per i famosi giornali sportivi.

6 Al BRIENZA di Pistoia se riuscirà a spiegarci come fa la sua squadra a rimontare e spesso a vincere anche da meno 20, cosa che stava accadere pure in gara uno a Brescia. Un mistero che pure i suoi colleghi e qualche allenatore della mente vorrebbe scoprire.

5 Alle paginone che ci ricordano la NAZIONALE, il CAMPIONATO, il raduno in TRENTINO, perché non è davvero questo che si aspettano i dimenticati della base, i sottopagati che portano al basket nuove generazioni. Spendete meglio le vostre poche risorse.

4 Alla LEGA che dopo aver avuto il grande regalo di solo dirette televisive per i play off , grazie a DMAX ed Eurosport,non è riuscita a convincere le società che sarebbe meglio diversificare gli orari di inizio, senza dover costringere i televedenti, quelli che danno share, a scegliere.

3 Alle INTERVISTE pregara che sono anche più banali dei commenti dopo le partite, Vale per il basket e  tutti gli altri sport. Vale per chi dovrebbe essere licenziato per proposta di aria fritta.

2 Agli ARBITRI che continuano a litigare mentre sui campi la gente  che già li insultava adesso perde la pazienza e la serata al ristorante perché davanti alla revisione televisiva i cari grigionipassano anche sei, sette minuti.

1 Ad ARMANI e REYER che anche se passeranno i quarti di finale si porteranno dietro una prima partita giocata davvero senza cuore, senza testa.

0 All’EUROLEGA che ha confermato di voler giocare anche nella prossima stagione con lo stesso calendario massacrante. Loro dicono che la formula funziona, cosa testimoniata da incassi e affluenze di pubblico, ma come soluzione, per chi ha perso magari due o tre giocatori per infortunio, suggeriscono di spendere per avere rose più ampie. Diciamo che loro sono pronti al matrimonio più con la NBA che con la FIBA e le FEDERAZIONI. Una guerra in più che ci farà tanto male.


12 maggio 2024

Le migliori canzoni di Claudio Villa

 Il giorno della Festa della Mamma è l'occasione giusta per iscrivere al divisivo Festival di Indiscreto un gigante della musica italiana come Claudio Villa, interprete di centinaia di canzoni, fra cui la celeberrima Mamma, lanciata a suo tempo da Beniamino Gigli, e in qualche caso anche autore. Autentico divo negli anni Cinquanta, detiene ex aequo con Domenico Modugno il record di vittorie a Sanremo (4: nel 1955 con Buongiorno tristezza, nel 1957 con Corde della mia chitarra, nel 1962 con Addio... addio e nel 1967 con Non pensare a me), con una carriera lunghissima e strana, con il grande successo concentrato negli anni Cinquanta e nella prima metà dei Sessanta, la quasi scomparsa e infine il ritorno alla grande negli Ottanta con quelle che oggi sono le sue interpretazioni più cercate in streaming, ancora più di quelle degli anni d'oro.

Davvero difficilissimo anche per chi come noi conosce bene, per interposti genitori, Claudio Villa effettuare scelte indiscutibili. Fra le sue interpretazioni pure quella più iconica è probabilmente Granada, scritta nel 1932 dal messicano Agustin Lara e cantata da tanti, da Sinatra a Pavarotti: ma la versione del cantante romano, datata 1957, fa venire i brividi ancora oggi. Della prima parte della carriera, segnata dalla rivalità con Luciano Tajoli ed escludendo altre decine di successi come interprete puro, inseriamo la sua prima grande canzone come cantautore, cioè Binario, con cui in coppia con Nilla Pizzi vince nel 1959 il Festival di Barcellona. Molti fan la ritengono una sua canzone minore e forse hanno ragione, ma per Villa fu importante.

Certo per chi non ha vissuto quell'epoca il Claudio Villa stampato nella memoria è quello delle mille polemiche con gli organizzatori di Sanremo, di culto quella del 1982, e contro i colleghi cantanti rei di non saper cantare (per sua fortuna non ha visto ciò che è accaduto dopo la sua morte avvenuta nel 1987, a 61 anni, annunciata da Pippo Baudo durante il Festival). personaggio televisivo ingiustamente confinato, e autoconfinatosi, soprattutto negli anni Settanta, nel ruolo dello stornellatore romano, protagonista del gossip con storie private intricatissime e leggende metropolitane (Laura Betti sosteneva che gli intellettuali lo odiassero per le grosse dimensioni del suo pene), pose da duro. Ma al di là della cronaca l'interpretazione di Un amore così grande, del 1984, scritta qualche anno prima da Guido Maria Ferilli e Antonella Maggio, è di un livello tale da rasentare l'Assoluto, con tutto il rispetto per la bravura di Mario Del Monaco e per il compitino dei Negramaro. Che voce Claudio Villa.


Nemo o Vannacci?

 Nemo o Vannacci? La vittoria del cantante svizzero all'Eurovision 2024 si presta ad un Di qua o di là più politico che musicale. E del resto tutti guardiamo l'Eurovision Song Contest per l'evento in sé stesso e per le discussioni collegate, non certo perché siamo in astinenza da tamarrate pop con l'aggravante del'inglese che domina e che quindi rende intercambiabili quasi tutti. La The Code di Nemo sarebbe potuta essere in gara per la Svezia come per la Germania, per l'Estonia come per l'Irlanda. Il tifo, perché di questo si sta parlando, è quindi quasi sempre pro o contro una bandiera, un popolo, un'idea, una posizione politica.

Clamoroso il caso di Israele, che le giurie per così dire di qualità hanno collocato al dodicesimo posto e che il televoto (soltanto la Croazia ha raccolto più consensi popolari) ha trascinato al quinto: evidentemente il cittadino medio non coincide con il fuoricorso o il liceale con la kefiah, con i giornalisti e i professori (non la totalità, ma una minoranza rumorosa) che rimpiangono la propria gioventù. E così canzoni già poco trascinanti, spesso prive di un vero pubblico anche in patria (non è il caso di Angelina Mango, la cui canzone è anch'essa tamarrissima, da giostrina, ma almeno ha un mercato), assumono importanza per altro, dai travestimenti ai presunti messaggi.

Il messaggio di Nemo, presentatosi sul palco di Malmö in gonnellino e pelliccetta rosa, riguarda l'accettazione, la propria e quella degli altri, di una identità sessuale non binaria. Un messaggio non gradito e soprattutto indifferente a molti telespettatori, con il generale Vannacci che ha sintetizzato questo stato d'animo commentando l'Eurovision: "Il mondo al contrario è sempre più nauseante".  Il tema non è ovviamente l'identità sessuale non binaria: al di fuori del popolo di Twitter di questo tema non frega niente a nessuno, né pro né contro. Il tema è il fatto che tutta una serie di idee venga data per scontata, silenziando chi la pensa diversamente. Nemo o Vannacci?

stefano@indiscreto.net


10 maggio 2024

La migliore tennista italiana


Chi può essere considerata la migliore tennista italiana di sempre? La triste uscita di scena di Musetti a Roma, seguita ai forfait ugualmente male spiegati di Sinner e Berrettini (perché fare conferenze stampa per dire niente?), ha intristito chi segue il tennis soltanto quando ci sono italiani maschi forti. Sono gli stessi media che spaccano il cazzo, è proprio il caso di usare questa espressione, con il sessismo, il montepremi, eccetera.

Il nostro lutto è però soprattutto l’addio al tennis di Camila Giorgi, una che forte lo è stata solo a sprazzi. Un addio nel suo stile: senza parole finte e nemmeno parole sincere messe in bella copia tipo Totti con Veltroni-Costanzo, ma proprio senza parole. Da diva, che non deve giustificarsi. È quindi arrivato il momento di collocarla in prospettiva storica, al di là della contabilità che guardando ai best ranking WTA (lei è stata 26) non la metterebbe nemmeno nelle prime 10: davanti ha Schiavone, Pennetta, Errani, Vinci, Farina, Reggi, Cecchini, Grande, Garbin e le contemporanee Paolini e Trevisan.

Andando all’era pre-computer impossibile non citare Lucia Valerio, nei quarti al Roland Garros e a Wimbledon in tempi in cui si viaggiava poco, Silvana Lazzarino, che a Parigi è stata semifinalista, e ovviamente Lea Pericoli, personaggio pop da noi amatissimo ma anche giocatrice vera, più volte capace di entrare negli ottavi al Roland Garros e Wimbledon. Ci piace citare anche Maud Levi Rosenbaum e Annelies Bossi Ullstein, semifinaliste a US Open (nel 1930!) e a Parigi, diventate italiane per matrimonio. Del resto se ci appropriamo delle medaglie dell’inglese Fiona May non si capisce perché dovremmo trattare diversamente le tenniste.

Nostra citazione generazionale, e non solo per il quarto di Wimbledon con la Evert visto da tutti come Milan-Cavese o Springsteen a San Siro nel 1985, per Laura Golarsa ed il suo stile unico, almeno per un’italiana. E un angolo del cuore anche per la sofferenza di Mara Santangelo, poco italiano anche il suo, che si percepiva nel gioco e che poi avremmo trovato confermata nel suo bellissimo libro. Domanda senza primi, secondi o terzi livelli, molto semplice: chi è stata la migliore tennista italiana di sempre?

Per noi la risposta è abbastanza scontata: Francesca Schiavone per punte di rendimento, su tutte ovviamente il Roland Garros 2010, e continuità ad alto livello per un decennio (almeno nei quarti in ognuno degli Slam in singolare, almeno in semifinale in ognuno degli Slam in doppio), è difficile da discutere. Non è nemmeno vero che il suo tennis metteva in palla le migliori, come si diceva spesso, perché le sue vittorie contro Top 10 sono state ben 30. La Giorgi, come Balotelli, poteva essere la più forte di tutti, almeno in Italia, ma purtroppo non lo è stata e nemmeno ci è andata vicina.

stefano@indiscreto.net

09 maggio 2024

Mentana o Gruber?


Enrico Mentana o Lilli Gruber? Li citiamo in ordine di apparizione, Mentana al Tg7 delle 20 e la Gruber subito dopo, con il suo Otto e mezzo che quasi mai inizia alle otto e mezzo. Stiamo parlando dello scazzo tutto mediatico avvenuto fra i due giornalisti lunedì sera e proseguito nei giorni scorsi, fino alla chiusura temporanea delle ostilità decretata da un comunicato bulgaro di Cairo, che non dava nella sostanza ragione a nessuno. La materia del contendere la conoscono tutti quelli che come noi tristemente vivono attraverso i media (qui la nostra ricostruzione scritta ieri per il Corriere del Ticino) e solo ad un primo livello riguarda lo sforamento di Mentana, cosa che peraltro tocca anche la Gruber con i programmi che seguono.

Sia Mentana sia Gruber sono a La7 da prima che Telecom la svendesse a Cairo, genio della pubblicità ma anche nel comprare tutto (dalla RCS al Torino) a prezzi di saldo o gratis, ed è probabile che si stiano guardando intorno, soprattutto Mentana che ha il contratto in scadenza: adesso sembra che qualunque potenziale disoccupato di lusso sia cercato da Discovery, sul modello del calciomercato che in questi giorni suggerisce che Milan e Napoli avranno in panchina cinque allenatori per uno (spoiler: nessuno sa un cazzo). Il punto però non è secondo noi questo, bensì l'antipatia di tipo quasi antropologico fra Mentana e la Gruber, con la politica che c'entra poco visto che entrambi sono più o meno di sinistra.

Mentana rappresenta il giornalismo pop, anche se è nato nella Rai (era vicedirettore del Tg2 quando la Gruber era a Berlino per la caduta del Muro) il suo marchio è quello di avere fondato il Tg5, mentre il Tg7 è nella sostanza uno one man show, a volte noioso perché fra il pre, il durante e il dopo Mentana dà la stessa notizia tre volte. La Gruber rappresenta invece il giornalismo per un target teoricamente più alto, quello, per sintetizzare, dei borghesi di sinistra di discreta cultura, che fa numeri inferiori ma che può essere venduto meglio ed è comunque utile all'editore che su altri tavoli, primo fra tutti il Corriere della Sera, sostiene invece il governo di destra. Nell'Italia di una volta sarebbero stati pensionati e nemmeno tanto baby, 68 anni lui e 66 lei, in quella di oggi sono al centro del dibattito. Mentana o Gruber?

08 maggio 2024

Cosa rimane delle Super Finals 2024

 Il tempo ci scappa via veloce e chiude le porte della stagione europea dei club di volley, con le finali di Coppa dei Campioni, per una volta ci piace chiamarla così, maschile e femminile, disputate domenica scorsa ad Antalya, la Rimini turca, davanti a 9.000 spettatori nonostante l'assenza di squadre locali. Invertito il programma abituale si parte coi ragazzi, ennesima finale italo-polacca tra la nostra gloriosa Itas Trentino e i recenti campioni di Polonia dello Jastrzebski Wegel, lo scorso anno sconfitti dai loro connazionali dello Zaska. Non c'è stata partita, i nostri (...) hanno dominato dall'inizio alla fine (3-0), grazie a una battuta forzata ma precisa e a un grande sistema di difesa. Mvp il fenomeno Michielettosupportato da tutti i compagni, soprattutto da Lavia e Sbertoli reduci da infortunio (positivo per la Nazionale). Podrascanin, il leader storico, al quarto tentativo è riuscito vivere per la prima volta questa conquista, peccato vada via.

A Trento sono serviti tredici anni per volare così alto, dopo averlo fatto tre volte in precedenza. Reduce da un campionato deludente, anche sfortunato, dopo aver perso la guida sicura di Angelo Lorenzetti (campione d'Italia a Perugia) sostituito da Fabio Soli, ha certamente salvato la stagione. Comunque la solidità e la serietà della società garantiscono un futuro vincente, i tramonti rosa non finiranno. Per i favoriti polacchi un'altra delusione europea, nonostante la presenza delle stelle francesi Toniutti, Patry, Fournier, e di un allenatore prestigioso come Mendes, in ogni modo il loro movimento rimane importante e certamente noi abbiamo molte cose  da imparare, soprattutto per quello che riguarda strutture e visibilità.

A seguire si è disputata la finale femminile, tra l'Antonio Carraro Imoco di Conegliano e il Vero Volley Allianz Milano, che dopo la Coppa Italia e la Supercoppa Italiana si sono ancora una volta ritrovate. La spunta al tie break Conegliano, in una partita dove le nostre squadre non hanno espresso il loro miglior gioco. Alti e bassi, molti gli errori, però alla fine le venete hanno affrontato il quinto set in maniera decisa mantenendo un muro invalicabile, con Plummer protagonista mentre in un mondo alla rovescia incredibilmente abbiamo avuto Haak a zero (però implacabile nel corso della partita) ed Egonu un punto.

È la seconda Champions (ecco, abbiamo detto Champions) per l'Imoco, gli aggettivi per descrivere questa storia meravigliosa li abbiamo finiti nel precedente pezzo dedicato allo scudetto, i numeri dei trofei sono da capogiro un esempio di gestione non solo per il volley. Tra lacrime ed emozioni forti si chiude però un ciclo: ci saranno saluti importanti per quella che è una grande famiglia, l'immensa Robinson torna negli Usa nella loro nuova lega insieme a Gennari, Plummer è diretta all'Eczacibasi in Turchia, mentre Robin De Kruijf si ritira dopo 8 anni consecutivi di successi, una bandiera vera, nessuna ha marcato tanti punti come lei nella storia della squadra. Coach Santarelli perde il suo storico vice (7 anni insieme) Valerio Lionetti, che inizia un percorso da capo allenatore in A2 a Macerata, affermando che sarà difficile salutarlo: questo spiega molto bene il cemento che ha unito questo gruppo, aspettando gli arrivi di Gaby e Zhu, cercando di rimanere al vertice anche se non potrà vincere sempre.

Il giudizio su Milano era rimasto sospeso in attesa di questo ultimo treno. Non può che essere negativo, non in assoluto perché stiamo comunque parlando di una finale di Champions ma in relazione agli investimenti fatti in sede di mercato, primo fra tutti Paola Egonu. Tre finali perse, fuori dalla corsa scudetto in semifinale con Scandicci subendo due pesanti 3-0. Un modo di perdere, prima ancora dei risultati, che spinge a riflettere su cosa sia mancato per vincere qualcosa, ricordando però che già ad inizio stagione tante erano le perplessità sugli acquisti di bande deficitarie in ricezione (Bajema e Daalderop) mentre Cazaute spesso era in panchina. E si conoscono i limiti di Sylla, mentre Orro in difficoltà sovraccaricava e sfiniva di palloni il suo opposto. Coach Gaspari, sostenuto nella sua carriera da un papà importante nel mondo arbitrale, sembra non essere in grado di scalare vette di una certa altezza. Iniziare la finale con Daalderop titolare, una in panchina da due anni (uno al Vakif l'anno scorso) chiude qualsiasi discorso, lui che tra l'altro è stato il primo allenatore di Conegliano nel 2012 a lasciare solo macerie.


La stella di Paola Egonu non ha brillato come si sperava, lei che le finali la ha fatte vincere a tutti i club dove ha giocato. Alla sua quinta è stata al di sotto delle sue capacità, preoccupando anche in ottica Nazionale, con una Antropova affamata alle spalle. Stranamente da Guidetti al Vakifbank è durata un anno, in senso tecnico sembra che il suo percorso di crescita si sia un po' fermato. Crediamo però che con Velasco sarà tutta un'altra cosa, Allenata in un certo modo può ritrovarsi, dipende tutto da lei. L'occasione olimpica, supportata dalla squadra e dalla salute, non può sbagliarla.

È stato per Milano anche l'anno del trasferimento da Monza, rinnegando i natali pur continuando ad allenarsi in Brianza, riempiendo il Palalido in tutti i modi possibili, attraverso prezzi stracciati negli ultimi giorni (5 euro) senza farsi troppi scrupoli con i suoi tifosi e gli abbonati. A livello mediatico al volley questa operazione non ha portato benefici, basti pensare che le Super Finals sono passate solo su Dazn (nonostante i bagher di Giorgia) e i giornali hanno trattato l'evento senza concedere lo spazio che meritava, ma questo è successo anche nel corso del campionato. Non sapendo quanto lo sponsor Allianz abbia contribuito,si può dire che forse era meglio restare a Monza. Nella grande città è complicato crearsi spazio e tornare indietro non sempre è possibile.

Alberto Rapuzzi

07 maggio 2024

Eurovision 2024: la partita di Malmö


Se la memoria non ci inganna il primo Eurovision Song Contest che abbiamo seguito, in piena pre-adolescenza, fu quello del 1983. Si tenne a Monaco di Baviera con in gara Riccardo Fogli, classificatosi all’undicesimo posto. Il brano era Per Lucia. Scoperto per caso scanalando il sabato sera sul televisore a colori appena sbarcato in casa, da lì non ce ne siamo persi uno, anche negli anni di assenza italiana, A 41 stagioni (sigh) di distanza entriamo oggi nella settimana decisiva dell'edizione numero 68 che si svolge Malmö, in Svezia. Aperta parentesi: quando eravamo ragazzini per noi il Malmö (anzi il ‘Malmoe’, come ci piaceva chiamarlo) era la squadra di calcio che aveva perso la finale di Coppa dei Campioni contro il Nottingham Forest nel 1979. Finale vista in gita di classe con i compagni delle elementari. Chiusa parentesi. Riaperta parentesi: meglio o peggio del millesimo PSG-Real di cui già il giorno dopo non ci ricordiamo?


Dicevamo che oggi, con la prima semifinale, si apre la gara canora che assegna il microfono di cristallo (tre le vittorie italiane) e che vede La noia di Angelina Mango tra le canzoni favorite, almeno stando alle quote dei bookmaker. Manifestazione blindata, considerate anche le polemiche sulla partecipazione di Israele (vietate le bandiere palestinesi), e ospitata in Svezia dopo l’ennesima vittoria degli scandinavi, con Tattoo di Loreen sospinta dalle giurie ai danni del trionfatore del televoto, il finlandese Käärijä e la sua Cha Cha Cha. Con tanto di fischi. Una situazione che potrebbe ripetersi anche quest’anno, con protagonisti ad esempio il croato Baby Lasagna (Rim Tim Tagi Dim) o lo svizzero Nemo(The Code), in una situazione di pronostici a dire il vero ancora piuttosto fluida e dove conteranno gli elementi scenografici ma anche il timing dell’esibizione.

A questo proposito, altre polemiche sono state innescate dai cambi di regolamento che ora consentono di televotare fin dall’apertura della finale (come accade a Sanremo) quindi anche senza teoricamente aver ascoltato i brani o viste le esibizioni già dalle semifinali. Una,modifica, hanno fatto notare i più critici, arrivata guarda caso proprio l’anno in cui la Svezia è stata estratta come prima a cantare. Svezia tra l’altro odiata da molti seguaci della manifestazione per avere in mano ormai da tempo i fili dell’organizzazione con conseguenti accuse di godere di favoritismi. Del resto l’Eurovision Song Contest, con buona pace di Toto Cutugno che nel 1990 lo vinse intonando Insieme 1992, è una gara che da un lato promuove la cosiddetta unione tra popoli (United by Music lo slogan permanente) ma dall’altro evidenzia i legami fra alcuni di loro così come le rivalità geopolitiche. E questo ancor più dopo l’allargamento via via sempre maggiore dei partecipanti che quest’anno sono 37. Con ritorno del Lussemburgo e uscita tra le altre di Bulgaria, Romania e Slovacchia, per lo più per ragioni economiche.

In tutto questo l’Italia ha quasi sempre goduto di un’ottima accoglienza, in particolare dopo il ritorno in gara avvenuto nel 2011 (secondo posto di Raphael Gualazzi). Forse perché abbiamo buoni rapporti con tutti ma anche perché di norma portiamo un prodotto dignitoso che non strizza l’occhio a un pubblico particolare, evitando baracconate varie. Poi per vincere di nuovo sono serviti i Måneskin, con un genere non certamente considerato ‘all’italiana’, ma sarà interessante vedere cosa accadrà quest’anno con Angelina Mango che già dalle prime prove sembra – stando a chi le ha viste – portare un’esibizione de La noia capace di lasciare il segno. Vincitrice? Difficile. Top5? Probabile.

Il giovane Berlusconi e la rivolta dei Puffi


Su Il Giovane Berlusconi abbiamo letto quasi soltanto critiche negative, ma a noi il documentario in tre parti appena visto su Netflix è piaciuto. Il lavoro di Simone Manetti ci sembra infatti staccarsi dalla quantità enorme di libri e ricordi video di Silvio Berlusconi che stanno uscendo, a quasi un anno dalla sua morte. Perché non è un'agiografia in senso stretto, anche se le interviste più importanti (Dell'Utri, Freccero, Dotti) sono di suoi collaboratori, sia pure diventati a un certo punto ex (Freccero e ovviamente Dotti), mentre alcuni fedelissimi (Confalonieri e Galliani) sono sembrati un po' bolliti. E perché il grande materiale video, scelto con cura, in un certo senso parla da solo: Raimondo Vianello che durante Pressing invita a votare Forza Italia è imbarazzante anche a trent'anni di distanza, vale più di mille pistolotti dell'Augias o del Giannini della situazione.

Insomma, lo consigliamo. Ma non ci importa di fare recensioni, quanto di ricordare un episodio citato nel documentario, che fece epoca: la cosiddetta 'Rivolta dei Puffi'. Molti conoscono o ricordano la storia principale, cioè la sospensione delle trasmissioni di Canale 5, Italia e Rete 4 in diverse regioni, tra il 13 ed il 16 ottobre 1984, per ordine di pretori che ritenevano illegale il mandare in simultanea (non in diretta, erano cassette mandate in onda alla stessa ora: il meccanismo della syndication, né più né meno) trasmissioni nelle varie regioni italiane. Craxi, allora presidente del Consiglio, fece in modo di ripristinare le trasmissioni con un decreto e qualche mese dopo blindò la sua iniziativa con quello che è ricordato come Decreto Berlusconi, reiterato fino a diventare legge.

In quei giorni convulsi dell'ottobre 1984 in molte città italiane ci furono manifestazioni, molte spinte da Berlusconi ma molte anche no, di persone che chiedevano di poter vedere di nuovo i tre canali sul loro televisore. Ma soprattutto i centralini della Rai e dei giornali furono intasati da ragazzini si lamentavano di non poter vedere i loro cartoni animati, in particolare i Puffi. Proteste ingigantite ad arte e non tutte genuine, come abbiamo detto (in stile marcia dei quarantamila), ma che in molti casi arrivavano dal profondo ed esprimevano sentimenti reali. Ovviamente sbeffeggiati da chi non capiva che stava nascendo, o forse era sempre esistita, una generazione fondamentalmente apolitica (e quindi di destra, secondo una certa visione), disposta a protestare per motivi che alla allora classe dirigente sembravano inconcepibili.



06 maggio 2024

Menotti o Bilardo?


Cesar Luis Menotti o Carlos Bilardo? La morte dell'allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978 riapre l'eterno confronto con quello dell'Argentina campione nel 1986. Menottismo contro bilardismo: più dichiarazioni ideologiche che realtà concrete, vista l'importanza che Menotti dava alla preparazione fisica e alla difesa, che infatti non toccava quasi mai. Però sia in Argentina sia in Italia questi due grandi tecnici sono sempre stati visti in contrapposizione, anche per le differenti epoche di cui sono stati involontarie icone: Menotti del regime militare, Bilardo del ritorno alla democrazia.

La loro storia è simile: coetanei, entrambi nati nel 1938, entrambi calciatori che l'Albiceleste l'hanno sfiorata (ma la carriera di club del regista Bilardo è stata nettamente meglio di quella dell'enganche Menotti), entrambi uomini di cultura ed in questo senso alieni rispetto al calcio dell'epoca e di oggi, entrambi campioni del mondo, entrambi con una lunga, nel caso di Menotti lunghissima, carriera nei club vincendo pochissimo (di fatto un Metropolitano per ognuno), e venendo spesso contestati.  Ed entrambi con una storia segnata dal rapporto con Maradona.

Che Menotti fece esordire sedicenne in nazionale, salvo poi non convocarlo per il Mondiale in casa (fu uno degli ultimi tre scartati per arrivare a 22) e pentirsene, impostando su di lui il quadriennio successivo, mentre Bilardo si affidò totalmente a lui, in maniera non troppo diversa da quanto ha fatto Scaloni con Messi. Certo Maradona, con la ferita del 1978 che non si era mai davvero rimarginata, ha sempre avuto più calore (ricambiato) nei confronti di Bilardo ed anche in questo caso, con epoche vicine, i confronti sono difficili perché l'Argentina 1978 aveva un livello medio dei singoli molto più alto. In ogni caso i due non si sono mai amati e non hanno mai perso l'occasione per criticare il rivale: adesso Menotti non lo può più fare, e Bilardo purtroppo non è in grande forma. Menotti o Bilardo?

Melli e dannati


 Oscar Eleni, ispirato da Lorenz, felice di stare nella giungla indonesiana per poter intervistare Rakus, l’orango ferito che per cinque giorni si è curato da solo con le erbe e non vuole farci sapere se ce ne sono di utili se, ad esempio, diventi pazzo con il fuoco di un santo. Con lui, però, si sta bene e si può capire meglio l’armonia del mondo che sembra sorridere anche se c’è chi gioca con le bombe e parla di guerra senza vergognarsi perché diventa più ricco, fingendosi più giusto. Sono giorni dove è difficile fare ginnastica con i sentimenti perché mentre festeggi le staffette che prendono il passaporto per le Olimpiadi sulle piste di Nassau ecco la sirena che svuota tre cantieri sulla Senna.

Nel giorno dei brindisi per la famiglia dei velocisti che riabbraccia Jacobs ecco Marcello vanificare il bronzo mondiale andando fuori zona nel cambio con Patta che in finale volava con le scarpe giuste perché in qualificazione i giudici gli avevano negato le sue, costringendolo ad usare quelle di un quattrocentista. Pazienza, perché è il giorno dove anche la 4x100 femminile si prende un posto a tavola sotto la torre Eiffel. Benedetta atletica, grande Fabbri, bellissimo Riva sui 1500, nel giorno in cui la pallavolo fa il pieno di gloria in Europa, viva Trento, viva Conegliano e anche MILONZA come dice per irritarci il carissimo Rapuzzi voce  appassionata del volley, nel mattino radioso delle ginnaste con Manila Esposito, napoletana taglia forte ispirata da Geolier oltre che dal magnifico rettore Casella, maestro di chiavi del regno, che si prende addirittura 4 ori. Ci voleva per dimenticare le curve vuote di stadi dove il calcio si barrica vedendo politici invasori e invasati, era l’ambrosia giusta per non deprimersi vedendo la fine televisiva di trasmissioni che ci rendevano felici: prima Splendida Cornice con la ex cestista Cucciari al timone, poi il Viva Rai 2 del Fiorello immaginifico e sublime.

Niente drammi, ci mancherebbe di essere depressi nel giorno in cui il basket ha scelto le sue otto principesse per il ballo delle regine, quello dove la Virtus Bologna potrebbe diventare la Elisabetta che taglierà la testa all’Armani che le ha regalato il fattore campo e si è vestita da Maria Stuarda nel pomeriggio salvato da capitan Melli difendendo un secondo posto che avrebbe forse meritato Brescia, l’avversaria per Milano prima di pensare alle finali di giugno, il minimo richiesto alle più ricche del reame.

Basket che non ascolta il vento di chi vorrebbe rinnovare, cambiare, che non legge il Domenicale, che non capisce le basket visioni, i messaggi della sua base, mondo in agitazione perché non è detto che Petrucci sarà rieletto per la quarta volta vista la fronda del Nord Est e della Lombardia. Pallacanestro che onora i suoi ex campioni che hanno attraversato la linea finale della vita, prima il Motto biellese che sapeva farsi amare e poi Giusto Pellanera, il grande alpino, come lo vedeva il Bell di Vision, per rocce con colori diversi, prima quelle virtussine poi sulle montagne della Fortitudo, ex azzurri, grandi personaggi.

Palla al cesto che congeda con dolore anche due grandi società dal massimo torneo. Brindisi era già condannata prima di perdere a Brescia, Pesaro ha retto poco a Venezia mentre Treviso volava sulle alucce di una Tortona  stonata, condannata alla retrocessione dopo 17 anni nel massimo campionato onorato spesso e vinto anche nell’età dell’oro di Walter Scavolini e del suo cardinale protettore  Puglisi.

Una settimana per truccarsi e pensare in grande perché da sabato DMAX ed Eurosport offriranno i play off anche a quelli che non  hanno DAZN e non possono chiedere a Trinchieri, voce tonante di questa rete, perché si arrabbia se i giornalisti lituani lo stuzzicano chiedendogli se i suoi kaunisti sono con la mente già in vacanza. Strano questo risentimento per chi viene dall’Italia e sa bene come vengono maltrattati gli allenatori. Pensiamo a Pioli che oggi viene torturato come due anni fa capitò al Simone Inzaghi che ha dovuto persino spiegare perchè l’Inter battuta dal Sassuolo sembrava distratta dopo tante feste per lo scudetto della seconda stella. Caro Rakus, orango gentile, adesso è il momento per  pagelle che dividono e fanno squillare  per insulti  anonimi.

10 Ancora una volta a Gianluca Basile e alla sua vita nuova sui campi e fra preziosi amici randagi per aver spiegato i suoi “ tiri ignoranti” che erano meravigliosi quando lui e gli altri “banditi” di Tanjevic  con Fucka al timone si prendevano l’oro europeo.

9 Al MELLI che sta facendo impazzire chi non sa ancora se davvero resterà a Milano. Lui, intanto, fa canestri che aiutano, guida una ciurma di marinai spesso indolenti che potrebbero anche rivincere lo scudetto, anche se la Virtus ha  pure il fattore campo a favore oltre al talento di squadra.

8 Al VAZZOLER che anche da dimissionario era sulle tribune del PALAVERDE a festeggiare con il popolo trevigiano per una salvezza strameritata da Veleno VITUCCI e dai suoi giannizzeri risvegliati dopo l’inizio da brividi con 9 sconfitte.

7 Ad Elio GIULIANI e Simone FREGONESE, due grandi colleghi che come addetti stampa per grandi società come PESARO e TREVISO hanno reso dolce il naufragare di qualsiasi polemica, aiutando tutti, rendendo bello il nostro lavoro. Hanno lasciato, uno si occupa di arte e l’altro brinda con le pallavoliste. Buona fortuna cari amici.

6  A Giorgio ARMANI che sicuramente ha brindato al titolo della sua under 19, uno scudetto giovanile che mancava dai tempi dorati quando l’Olimpia aveva un’anima diversa. La vittoria sui gioielllini di Tortona racconta che finalmente le grandi società forse pensano positivo anche per i vivai.

5 A VARESE se festeggiando Nico MANNION e la salvezza dimenticherà gli errori nella costruzione di una squadra che comunque ha  fatto spesso il tutto esaurito a Masnago.

4 Al caro BONICIOLLI se ancora una volta volesse prendersi colpe che non sono certo sue e che con SCAFATI ha sognato prima di perdere Logan e poi il treno giusto. Lo ha fatto sempre in una carriera dove davvero meritava molto  di più.

3 A SASSARI se butteranno via il bambino che sembra poter crescere bene con l’acqua sporca di un finale di campionato che avrebbe potuto essere grandioso senza inciampare sulle radici della fatica dopo i tormenti con e per BUCCHI.

2 A PESARO per una stagione balorda, diventata veleno con le dimissioni di Ario COSTA, in caduta libera cacciando BUSCAGLIA, portando nel gorgo SACCHETTI che ora qualcuno mette pure alla sbarra.

1 Agli ARBITRI se, oltre a festeggiare giustamente la designazione olimpica del MAZZONI al terzo mandato fra i cinque cerchi, non ragioneranno su questa stagione appesantita dal VAR con partite che sono quasi sempre durate più di due ore.

0 Al BASKET come popolo che sembra non fare abbastanza per riavere in edicola luci come quelle dei tempi in cui i Giganti e il mondo di Aldo Giordani erano la voce della base e non dei padroni. Adesso abbiamo soltanto Basket MAGAZINE, bellissimo, con tante storie da leggere e ritagliare, ma, purtroppo, è soltanto mensile. Voi che potete, ridate un settimanale che abbia anima e voglia di tenere svegli i padroncini di oggi.


Oscar Eleni

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