02 giugno 2024

Le migliori canzoni dei Lùnapop


I 25 anni di 50 Special sono stati celebrati da tutti noi che stiamo pericolosamente spostando il circo della nostalgia verso la fine degli anni Novanta, ma non è soltanto per questo che iscriviamo i Lùnapop nel sempre più divisivo Festival di Indiscreto. I Lùnapop, attenzione, e non Cesare Cremoni che anche se ha scritto tutte le loro canzoni, oltre ad esserne il frontman, ci ha tenuto fin dall'inizio della sua carriera da solista a dividere i due periodi. Di certo i Lùnapop rimangono nell'immaginario collettivo perché per due anni, dal 1999 al 2001, hanno rappresentato gli adolescenti italiani verso la fine di un periodo molto caratterizzato. In tutto l'Occidente, beninteso, magari in Congo e Thailandia c'erano altre logiche.

Quando nel 1999 esce 50 Special siamo in pieno Ulivo mondiale: Clinton, Blair. Schrõder, Jospin, D'Alema che da poco è succeduto a Prodi alla presidenza del Consiglio. In questo clima i cinque ragazzi bolognesi riescono ad uscire dal gruppo, come il Jack Frusciante di Brizzi che pare averli ispirati. Cremonini, Nicola Balestri (Ballo, l'unico che in qualche modo rimarrà legato al leader), Michele Giuliani, Gabriele Gallassi e Alessandro De Simone, hanno un successo immediato e trasversale, e subito vengono spinti a pubblicare il loro primo album, che rimarrà anche l'unico, cioè ... Squerez?, che significa più o meno 'merda liquida'.

...Squerez? esce a fine novembre 1999, lanciato dal loro secondo singolo di vero successo, Un giorno migliore, e diventerà l'album italiano più venduto del 2000, epoca in cui ha ancora senso parlare di dischi venduti. In ...Squerez? c'è anche Qualcosa di grande, in realtà canzone più anziana delle altre, portata in giro prima del boom di 50 Special. Ed è proprio con Qualcosa di grande che i Lùnapop vincono il Festivalbar 2000, prima di andare in tournée, ritirare un'infinità di premi e lanciare altri singoli, fra cui Resta con me che portano al Festivalbar 2001. Proprio all'Arena di Verona si concluderà la loro breve storia, a causa di litigi per motivi finanziari e dell'inizio della carriera solista di Cremonini. I Lùnapop non sono durati mezzo secolo, come troppe band, ma per due anni di passaggio hanno raccontato al loro pubblico di Millennial un'Italia al tempo stesso leggera e ansiosa.

01 giugno 2024

Chocolat

 Prima o poi scriveremo una guida ai film per servi della gleba, cioè quei film che il pubblico maschile sopporta per amore di donne progressiste, come indennizzo per le serate di Conference League. Che nel 2000, quando al cinema abbiamo visto Chocolat (stasera alle 21.20 su La7d: fra Real Madrid e Musetti probabilità di rivederlo pari a zero), non esisteva, mentre già esisteva in embrione quel politicamente corretto che va infilato in ogni fiction. Il film di Lasse Hallstrōm è fondato su una meravigliosa Juliette Binoche, cioccolataia che insieme alla figlia arriva in un paesino francese negli anni Cinquanta. Va da sé che il paesino francese, il cui sindaco è interpretato da un bravissimo Alfred Molina, sia bigotto, conformista, chiuso, refrattario a qualsiasi novità. Come appunto l'arrivo di Vianne, cioè la Binoche, che in breve tempo diventa il centro della vita del paese, amata e odiata. È chiaro che un paese così di destra, che oggi voterebbe per il Rassemblement National o per Reconquéte, non sia felice per l'arrivo degli zingari, dove spicca Johnny Depp, e con la trama ci fermiamo qui. Detto questo, Chocolat si lascia guardare (con lo smartphone fisso su livescore.com, magari) anche se non va oltre il manierismo ed il luogo comune. La Binoche però sempre bravissima, con quel fascino un po' così della donna intellettuale, una delle attrici con più ruoli memorabili (nostri preferiti quelli in Film Blu e Il danno) che ci siano in circolazione.


31 maggio 2024

La generazione di Genny Di Napoli

Pietro Arese è il nuovo primatista italiano dei 1500 metri, cioè una delle gare più prestigiose dell'atletica e personalmente la nostra preferita insieme alla 4x400 nelle grandi manifestazioni: il suo 3'32"13 di Oslo, in una gara bellissima (pazzesca la vittoria in tuffo di Ingebrigtsen su Cheruiyot, Arese ottavo), poteva essere addirittura migliore viste le spallate prese nei primi giri e la distanza corsa all'esterno. Ma in senso storico il record di Arese, nessuna parentela con il famoso Franco anche lui ex primatista dei 1500 oltre che ex presidente della FIDAL, colpisce perché dopo 34 anni scavalca il tempo di un'icona dell'atletica italiana come Genny Di Napoli.

Icona poco vincente, almeno nei grandi appuntamenti all'aperto mentre indoor andava quasi sempre forte, dalla corsa elegantissima e naturale, con una struttura fisica alla Ingebrigtsen. E con la lunga carriera resa difficile dagli infortuni, su tutti quello che condizionò le sue prestazioni alle Olimpiadi di Barcellona, dove era tra i favoriti. Il 9 settembre del 1990 Di Napoli a Rieti, nel meeting forse più amato dagli appassionati (quel giorno c'erano anche Carl Lewis, che nei 100 arrivò davanti all'amico-rivale-gregario Burrell ma dietro a Witherspoon, ed anche un clamoroso Michael Johnson nei 400), corse in 3'32"78, battendo Morceli con quello che era uno dei migliori tempi mondiali dell'anno.

E che è diventato uno dei record italiani più longevi. Fra i record ancora in essere il più vecchio è quello di Fiasconaro negli 800, stabilito nel 1973, seguito dai 200 di Mennea nel 1979 e dagli 800 di Gabriella Dorio nel 1980. Di sicuro Di Napoli è stato uno degli atleti italiani più forti a non avere mai vinto una medaglia olimpica o mondiale, un riferimento per una generazione (lui è del 1968) di appassionati, un magnifico incompiuto (tutto relativo, perché le vittorie in Coppa Europa non le abbiamo dimenticate) che però nella vita post-atletica ha fatto anche tante altre cose.

 


 

Top Gun


Un capolavoro, senza se e senza ma. Top Gunquesta sera alle 21.20 su Italia 1, sintetizza gli anni Ottanta e il reaganismo meglio di mille saggi, e con questo sarebbe detto tutto. Questo film del 1986, da noi gustato in prima visione al defunto cinema Odeon, lascia sempre le stesse vibrazioni ed ha avuto anche un degnissimo seguito in Top Gun: Maverick, come tutti sanno. Come al solito non stiamo a ricordare la trama, limitiamoci alle nostre scene di culto. La foto al pilota sovietico, scattata da Goose (con una Polaroid!), mentre Cruise-Maverick sta volando rovesciato. L'improbabile partita di beach volley, con quei corpi maschili luccicanti, che secondo molti è il punto più alto dell'estetica criptogay. L'arrivo da videoclip in moto a casa della McGillis. Great balls of fire. La battaglia finale. I complimenti di Iceman. Il tutto con una colonna sonora clamorosa, da Take my breath away dei Berlin, opera di Giorgio Moroder, Danger zone di Kenny Loggins, anche questa arrivata da Moroder, il tema principale scritto da Harold Faltermayer, e altre. Da ricordare che Cruise era stato fin da subito il preferito di Tony Scott, che aveva scartato gli altri concorrenti generazionali, da Rob Lowe a Patrick Swayze, mentre la pur divina McGillis, incredibilmente ignorata nel sequel, fu scelta perché non si trovò l'accordo con Brooke Shields, all'epoca una vera superstar, battendo la concorrenza della allora sconosciuta Demi Moore.

30 maggio 2024

Calcio all'italiano

La Fiorentina ha perso la sua seconda finale consecutiva di Conference League, aggiungendo una delusione sportiva alla normale amarezza di fine ciclo. Sì, perché con tutta probabilità l’era di Vincenzo Italiano finisce qui, con una partita giocata al di sotto del proprio standard, accettando il calcio scarno dell’Olympiacos, e con i suoi tanti giocatori offensivi invece in linea con il resto della stagione. Anche se per una volta non c’è molto da recrimonare: Terracciano ha fatto almeno tre parate vere, Tzolakis nessuna, in una partita bloccata come lo sono tante finali e dove solo sui tabellini le squadre di Mendlibar e Italiano erano a specchio con il 4-2-3-1. I greci pronti a verticalizzare in fase di ripartenza e a buttare la palla in mezzo all’area quando il giuco si è sviluppatro sulla fasce, i viola più padroni del campo anche se Mandragora e soprattutto Arthur si sono limitati al compitino. Arriviamo per milionesimi ad osservare che tanti mezzi giocatori offensivi non ne fanno uno vero e non c’è bisogno di vedere e rivedere gli errori di Belotti, Kouamé e Ikoné, la fumosità di Nico Gonzalez, Barak, e Nzola, senza contare Beltran che ha giocato pochi minuti. Il discorso sugli attaccanti non deve far dimenticare la cattiva fase difensiva mostrata dalla Fiorentina per tutta la stagione, al di là di Atene: in Serie fra le squadre della prima metà della classifica nettamente la peggiore.

Poi il calcio è il calcio e non occorre essere italiani per osservare che il gol di El Kaabi, straordinario bomber di coppa ma dai viola cancellato per quasi 120 minuti, sarebbe stato annullato da molti arbitri anche al netto del mitologico arbitraggio internazionale che consiglia di non fischiare ogni volta in cui c’è qualcuno per terra. Il risultato non è tutto ma il risultato dice che l’Olympiacos è la prima squadra greca a vincere una coppa europea in 65 anni di partecipazioni, con l’unica ad andarci vicino che era stato il Panathinaikos allenato dall’immenso Ferenc Puskas, finalista nella Coppa dei Campioni 1970-71 e piegato 2-0 a Wembley dal grande Ajax di Michels e Cruijff dopo una partita a tratti violentissima. Ovviamente il più grande risultato di un club greco rimane quello del Pana, ma questo non toglie meriti all’Olympiacos attuale, che giocando più o meno così aveva eliminato altre favorite come Fenerbahce e Aston Villa, e al suo bomber trentunenne che

fino alla scorsa stagione era stato ben lontano dal grande calcio: l’anno scorso di questi tempi giocava in Qatar. Quanto a Mendilibar, seconda coppa europea in due stagioni dopo l’Europa League dell’anno scorso con il Siviglia in finale sulla Roma di Mourinho. L’età, 63 anni, la filosofia di gioco, ed una lunghissima storia di esoneri con la fortuna (sia al Siviglia sia all’Olympiacos è entrato in carica due mesi prima della grande vittoria) arrivata alla fine, impediscono anche agli esterofili più spinti di chiamarlo maestro. Le sue squadre, almeno nella loro versione europea, sono come quelle italiane di una volta.

Tornando alla Fiorentina, quale futuro per la squadra di Commisso che ripartirà quindi di nuovo dalla Conference League? Per il dispiacere del Torino, con Cairo ieri neotifoso viola (e del resto non è nemmeno tifoso del Torino), che per 116 minuti ha pensato di avere agganciato il treno europeo. In attesa dell’ufficialità della ‘decision’ di Italiano, con Palladino primo candidato alla successione, e delle prime mosse di Pradé e del nuovo direttore tecnico, Roberto Goretti, che prende il posto di Burdisso, qualche considerazione sulla rosa si può già fare. Quasi impossibile che i tanti prestiti (Belotti, Faraoni, Maxime Lopez, Arthur) vengano rinnovati o trasformati in qualcosa d’altro. In bilico la posizione di Bonaventura, a meno che non accetti un ridimensionamento finanziario adesso che non è scattata la clausola per il rinnovo automatico. Di base Kouamé dovrebbe rimanere, ma non è detto, mentre lo svincolato Duncan non ha avuto segnali ed infatti è in contatto con più club. Molto mercato ha Nico Gonzalez, che ha un contratto fino al 2028, ed è probabile che parta anche Martinez Quarta in modo da non perderlo a zero l’anno prossimo. Il recupero con l’Atalanta sarà una delle partite più tristi della storia viola recente.

Dalla Cina con furore


Pochi film hanno avuto un titolo italiano migliore dell'originale: Dalla Cina con furore, invece del cinese Jing Wu Men(la scuola di Jing Wu) e dell'inglese Fist of furystasera alle 21.20 su Cielo, è uno dei rari esempi. Questo uscito nel 1972 è il più famoso dei film di Bruce Lee, che in realtà ne fece da protagonista soltanto quattro, da non confondere con la sterminata produzione basata sul montaggio e sui quasi sosia, ed è a un primo livello la classica storia dell'allievo che vendica la morte del maestro, nel suo caso a colpi di kung fu. Ambientato nella Shangai del 1910, è interessante anche per il contesto storico, con Shangai città internazionale di fatto governata da Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Non che si vedano analisi alla Limes, beninteso. Proprio i giapponesi sono i cattivi della situazione, cosa rarissima al cinema tranne che nei film sulla Seconda Guerra Mondiale, fra razzismo e provocazioni. Al di là del fascino di Bruce Lee e della sua doppia anima, americana e honkonghese, consigliamo questo film per la forza ed i valori che esprime, anche se con gli occhi di oggi molti combattimenti risultano ridicoli. Di culto il modo in cui Chen punisce il cuoco traditore e l'uso del nunchaku, che avrebbe generato in Occidente tanti cattivi imitatori: in caserma, durante il servizio militare, il nostro vicino di branda si allenava in ogni momento libero generando una certa tensione. Ma Bruce Lee non aveva folgorato soltanto lui.

29 maggio 2024

Thiago Motta in carriera


 Bologna e il Bologna hanno preso davvero male l’addio di Thiago Motta. Con critiche, che ci possono stare, ed insulti che qualificano soprattutto chi li urla. Una situazione che costringe a ricordare che il prossimo allenatore della Juventus ha, dopo un anno non memorabile nelle giovanili del PSG, ha iniziato la carriera da allenatore di prima squadra nel 2019 con un esonero, dopo 10 partite, e che nessun tifoso del Genoa si è (giustamente) preoccupato per il suo futuro. Presa in mano la squadra da Andreazzoli a fine ottobre, non riuscì a festeggiare il Capodanno 2020 in panchina nonostante un buon inizio, vittoria con il Brescia ed onorevole sconfitta con la Juventus. Cacciato con la squadra ultima in classifica, che Preziosi affidò a Davide Nicola, che in quella stagione ricordata soprattutto per il Covid riuscì all’ultima giornata a strappare la permanenza in Serie A.

 

E lo stesso sarebbe accaduto anche a La Spezia, dopo un anno di disoccupazione, dove il predestinato (sulla fiducia, come molti predestinati) italo-brasiliano raccolse la difficile eredità di Italiano e fu più volte ad una partita dall’essere esonerato. E lo sarebbe stato prima di Natale, se non avesse vinto in trasferta contro il Napoli di Spalletti, senza fare un tiro in porta, grazie ad un autogol di testa Juan Jesus e ai miracoli di Provedel. Quella è stata la partita più importante della sua carriera di allenatore, subito dopo lo Spezia avrebbe cambiato marcia salvandosi brillantemente e Thiago Motta lo lasciò al momento giusto, senza avere niente in mano. Il resto è quasi storia di oggi, con il Bologna preso in mano a stagione iniziata, con l’aggravarsi delle condizioni di Mihajlovic, e tranquillo a centroclassifica, prima dell’exploit della stagione successiva, cioè questa.

 

Se invece di arrivare clamorosamente in Champions League, a 60 anni di distanza dall’ultima volta, fosse rimasto invischiato nella lotta per la retrocessione con un Bologna che ha giocatori pagati in totale circa 27 milioni di euro lordi (parliamo di ingaggi), meno di quelli delle retrocesse Sassuolo e Salernitana, in tanti avrebbero chiesto la sua testa. Insomma, è il solito discorso: il club e i tifosi pretendono di poter lasciare, se hanno opportunità migliori, ma non accettano di essere lasciati. Per fortuna non funziona così, nel calcio e nella vita, e chi ha potere contrattuale e immagine, come Thiago Motta in questo momento, fa benissimo a farsi rispettare perché la ruota gira. Chi gli augura di fare la fine di Maifredi, peraltro non una brutta fine, sta mettendo sul suo successore (con Italiano sarebbe proprio ruota che gira) al Bologna, senza Zirkzee e magari anche Calafiori, una pressione enorme. 

Mancino naturale

 È un peccato che Mancino naturale sia stasera alle 21.30 su Rai 1, perdendo molti appassionati di calcio che a quell'ora staranno guardando Fiorentina-Olympiacos, e le rispettive mogli, fuori di casa per un impegno di lavoro improvviso. Perché il film di Salvatore Allocca, uscito due anni fa, è un onestissimo film di genere, di quelli che ormai in pochi fanno, essendo i finanziamenti (una regione qua, una banca là, il tax credit, eccetera) del tutto svincolati dal gradimento del pubblico. È la storia, ambientata a Latina, di una madre vedova e nevrotica, un'ottima Claudia Gerini, che riversa tutte le aspettative sul figlio Paolo, chiamato così in onore di Paolo Rossi, bambino con un discreto talento calcistico. L'obbiettivo è farlo partecipare ad un torneo dove ci saranno i migliori talent scout italiani, situazione che fa entrare nel mirino di maneggioni che promettono provìni ovunque, dietro pagamento. Massimo Ranieri, pettinato quasi come Cuccia, è uno di questi, mentre Katia Ricciarelli è la nonna. Raccontato così (non spoileriamo la fine) sembra che il film sia ai confini del trash, invece è una commedia ben fatta, che porta molti di noi all'identificazione. Con il bambino presunto talento incompreso, con il parente che ci crede, con quello che non ci crede, con il genitore frustrato, con il rapporto spesso folle che le madri italiane hanno con i figli maschi, con una periferia dove quei pochi che sognano lo fanno in grande.

stefano@indiscreto.net


28 maggio 2024

Pretty Woman


Quante volte abbiamo visto Pretty Woman? Almeno una all'anno negli ultimi trent'anni. E stasera, alle 21.30 su Rai 1, sarà difficile non dare almeno un'occhiata almeno alla scena in cui Vivian, cioè Julia Roberts (da lì partì la sua vera carriera, mentre quella di Richard Gere si rilanciò), va a fare shopping in Rodeo Drive, prima trattata come una pezzente e poi come una regina. Perché la caratteristica del film che ha consegnato all'eternità la coppia Gere-Roberts, e di pochi altri film, è che vanno visti per così dire in diretta, sui canali generalisti. Non ci sogneremmo mai, noi che ieri sera abbiamo seguito fino all'ultimo rigore Fortuna Düsseldorf-Bochum (non stiamo scherzando), di cercare Pretty Woman in streaming e meno che mai di comprare il dvd, al di là del fatto che l'unico strumento che abbiamo per leggere i dvd sia la PlayStation. Tutti conoscono la trama di Pretty Woman, tutti hanno le loro scene di culto, inutile starle ad elencare. Il fascino di questo film del 1990 è che secondo noi si tratta di un brutto film, poco originale (Cenerentola e dintorni, il principe che salva la ragazza indifesa, le prostitute di buon cuore, i capitalisti cattivi), ma fatto benissimo e curato in ogni dettaglio. A partire dal lieto fine, che noi popolo bue pretendiamo. Così come pretendiamo la bellezza dei protagonisti, perché vogliamo sognare: i cessi stiano a casa a guardare gli spareggi di Bundesliga.

 

Gli anni di Bill Walton

 


Bill Walton non è stato soltanto uno dei più grandi centri della storia della pallacanestro, buono per un coccodrillo adesso che a 71 anni è morto di cancro, ma anche un personaggio unico, non spiegabile soltanto con le vittorie: i due titoli NCAA nella UCLA di John Wooden, i due titoli NBA a Portland e Boston, i mille riconoscimenti individuali fra un grave infortunio e l’altro, per non parlare di quelli minori (a fine carriera 38 interventi chirurgici, quasi tutti a caviglie e piedi). Senza dimenticare che Walton insieme a Sabonis e Jokic può essere considerato il miglior passatore di sempre nel suo ruolo, al di là delle statistiche e del fatto che lui facesse sempre la cosa giusta: infatti i suoi allenatori litigavano con lui non per questioni sportive ma per la sua libertà di pensiero, figlia del clima che si respirava nelle università californiane (era super-californiano lui stesso) dei primi anni Settanta. Fra l’altro lui non veniva da una famiglia di fanatici dello sport: il padre era insegnante di musica, la madre bibliotecaria la NBA non era l’obbiettivo della vita per nessuno di loro. Seguendo il fratello Bruce il piccolo Bill iniziò a giocare a pallacanestro, senza alcun segnale che avrebbe raggiunto i 2.11 dell’età adulta. Una storia, questa, già sentita molte volte (si pensi soltanto a Scottie Pippen), con una tecnica da playmaker, che a causa di una cresciuta improvvisa (a 16 anni in pochi mesi passò da 1.85 a 2.02) si incarna in un corpo da ala o da centro, come nel caso di Walton. Entrato nell’immaginario collettivo non soltanto per la pulizia tecnica clamorosa, ma anche per le sue performance come commentatore senza peli sulla lingua e per le sue comparsate in film e televisione. Padre, fra gli altri, di Luke, campione NBA con i Lakers (attualmente è assistente allenatore ai Cavs), come giocatore è stato uno dei più grandi ‘What if’ della storia: il Bill Walton 1976-77, che portò i Trail Blazers al titolo battendo prima i Lakers di Jabbar e poi i Sixers di Doctor J, al suo primo anno di NBA, è un manuale di basket ed è un dovere andarselo a rivedere su YouTube. Davvero strana la sua storia con la nazionale: ai suoi tempi i professionisti non potevano (né volevano, va detto) giocare in competizioni FIBA, quindi le sue esperienze sono soltanto giovanili: appena uscito dalla high school, nel 1970, fece parte della modestissima selezione statunitense ai Mondiale in Jugoslavia, che arrivò quinta battuta anche dall’Italia di Giancarlo Primo, mentre nel 1972, quando era una superstella al college, rinunciò alla convocazione per le Olimpiadi di Monaco, per motivi mai chiariti (si parlò anche di protesta contrio la guerra in Vietnam) e comunque con pentimento tardivo di Walton, visto che anche con quell’arbitraggio gli Stati Uniti con lui in campo avrebbero vinto l’oro in scioltezza. Un altro ‘se’ nella carriera di un fenomeno al tempo stesso grandissimo e incompiuto.

 

C'è troppa frociaggine?

 C'è troppa frociaggine? Una domanda che trae spunto dalla battuta di Papa Francesco detta ai vescovi, riferendosi alla eccessiva quantità di omosessuali presente nei seminari. Una battuta che nel mondo del politicamente e giornalisticamente corretto, di solito accodato acriticamente al Papa, ha scatenato reazioni, è il caso di dirlo, da checche isteriche. Anche perché si dovrebbe scrivere ciò che si è scritto di Vannacci... Al di fuori della battuta e dello scoop di Dagospia, copiato a denti stretti dai vaticanisti embedded (ma non da quelli televisivi, sempre in estasi tipo Bernadette), la posizione del Papa, oltre che della Chiesa Cattolica, sull'omosessualità era già nota: non è un crimine e nemmeno un comportamento che meriti discriminazioni, ma certo non deve essere promossa, favorita o anche solo accettata culturalmente dalla Chiesa.

L'evidenza dice che fra i sacerdoti la percentuale di gay sia superiore che fra gli operai e gli impiegati, ma lo si potrebbe dire per molti altri mondi, anche al femminile. Per certi versi, ma questo valeva soprattutto nel passato, il sacerdozio a volte fungeva da copertura. Ma al di là della Chiesa, le cui posizioni influenzano sempre meno persone, ci sono due discorsi enorme da fare e che noi con la consueta superficialità liquidiamo in due righe. Il primo è quello di marketing: come può, con l'Islam che avanza (vorremmo dire alle porte, ma purtroppo sono già entrati), il Papa ghettizzare i fedeli, o anche soltanto gli aspiranti sacerdoti, di vari orientamenti sessuali? L'unica vera arma dei cristiani contro l'Islam è quella della tolleranza: la libertà contro il peggio del peggio. Sempre in tema di marketing, la linea pro-gay dovrebbe essere obbligatoria per una destra libertaria, modello Wilders, che però in Italia ha sempre avuto poca fortuna.

Il secondo discorso è ancora più ampio e riguarda la società in generale. Con l'allarme lanciato tanti anni fa dalla scomparsa Ida Magli, che fece scalpore attaccando la femminilizzazione della società, della scuola ed in definitiva anche degli uomini occidentali. E ancora prima, a fine anni Ottanta, i saggi della più famosa antropologa italiana erano diventati pop evidenziando l'omosessualità latente che sta alla base della società non soltanto occidentale. Latente, appunto, perché dal punto sessuale e sociale l'omosessualità è sterile e la sua diffusione oltre certe percentuali è tipica delle civiltà in declino. La nostra domanda è riferita al qui e adesso, nell'Italia del 2024: c'è troppa frociaggine in giro?


27 maggio 2024

Atari o Intellivision?

 La notizia del passaggio del brand Intellivision ad Atari segna di fatto la fine di un’epoca, in realtà già finita da tempo. Quella della prima era d’oro dei videogiochi da casa, dominata inizialmente dalla console Atari VCS (poi 2600) lanciata da Atari nel 1977 e il cui scettro fu conteso da Mattel con il sistema Intellivision uscito un paio di anni dopo. Una battaglia tra una macchina graficamente inferiore ma con un catalogo amplissimo (composto anche da tante conversioni da arcade) e una più evoluta il cui punto forte erano di fatto le simulazioni sportive, molto più realistiche di quelle presentate sulla controparte.


Ma anche una battaglia che in Italia si giocò qualche anno dopo (l’Intellivision da noi uscì nell’estate del 1982), considerati i tempi tecnici di lancio in Europa molto diversi da quelli attuali, mentre nel contempo si affacciavano sul mercato anche i primi (e costosi) home computer. E a cui parteciparono come attori interessati direttamente sui due fronti i produttori indipendenti delle all'epoca cartucce, con brand destinati poi a fare la storia anche negli anni successivi (come Activision, nata da alcuni designer fuoriusciti da Atari) o semplicemente diventati icone dell’epoca (come Imagic).

Indimenticabili quindi la sorpresa dei primi platform così come le pubblicità tipicamente americane che mettevano a confronto le simulazioni di entrambi i sistemi. Ecco che i ragazzini si divisero in vere e proprie fazioni (meglio il joystick o il comando a disco?), dalle quali erano esclusi i possessori di console di minore successo come il Videopac proposto in Europa dalla Philips. Poi arrivò a sparigliare le carte il ColecoVision, ma era troppo tardi, con il temporaneo crollo di un’industria poi via via ripresasi alla grande per continuare fino ai giorni nostri. Con sistemi potentissimi che hanno cambiato l’esperienza videoludica mentre le vecchie console vivono tra il retrocomputing e i cosiddetti giochi homebrew sviluppati ex novo. E voi per chi eravate: Atari o Intellivision?

Le vallette di Mike Bongiorno


I 100 anni della nascita di Mike Bongiorno, nato il 26 maggio 1924, hanno giustamente ispirato tanti ricordi visto che Mike è stato un personaggio fondamentale per la cultura del nostro paese: se quasi tutti gli italiani parlano più o meno la stessa lingua il merito è anche suo, trovatosi al posto giusto nel momento giusto ma anche bravo nel creare uno stile né troppo alto, e quindi respingente, né troppo basso, tipo molta televisione di adesso rivolta ai subnormali. Ma non vogliamo fare gli storici della mutua e nemmeno il copia e incolla, quindi proponiamo un sondaggio che nel wokissimo 2024 in pochi oserebbero proporre: qual è stata la nostra valletta di Mike Bongiorno preferita?

Domanda maschilista soltanto in apparenza, perché per motivi anagrafici Mike era un uomo di altri tempi, ma le sue vallette non erano mai volgari e quasi tutte sono state donne di forte personalità, una personalità che spesso sono riuscite ad esprimere anche in televisione nonostante lui concedesse poco spazio (a chiunque, a prescindere dal sesso). Senza contare che le parole, anche quando erano poche, e i comportamenti di queste ragazze sono stati spesso più commentati di quelli del loro mentore. Facciamo in ogni caso fatica a considerare il ruolo di valletta di Mike più degradante di quello di Filippa Lagerback da Fazio o di quelli, peggio ancora, di tante telegiornaliste o intervistatrici, soprattutto sportive, le cui uniche skill sono tette e gambe (meglio quelle di niente, sia chiaro).

L'elenco che proponiamo è per forza di cose parziale, da tante che sono state le trasmissioni presentate da Mike Bongiorno: Lascia o raddoppia?, La ruota della fortuna, Telemike, Rischiatutto, Pentatlon, Bis, Superflash, Campanile sera, I sogni nel cassetto e mille altri, senza dimenticare gli 11 Festival di Sanremo di tempi in cui la valletta non veniva definita co-conduttrice (con Mike ricordiamo, fra le altre, Sylva Koscina, Maria Giovanna Elmi e Anna Maria Rizzoli). Il nostro voto è generazionale, come quasi sempre accade, e fra i nostri primi ricordi televisivi c'è Rischiatutto visto sul Brionvega in bianco e nero. Sabina Ciuffini forever, con Susanna Messaggio e Paola Barale subito dietro.

stefano@indiscreto.net

Ataman e i provinciali


Oscar Eleni
 nel reparto squilibrati dello Utah, davanti alla scogliera di arenaria nel parco di Capitol Hill, cercando un citofono per chiamare Pogacar, obbligandolo a spiegare cosa mangino e cosa bevano in Slovenia. Qualche segreto devono averlo se pensiamo che una nazione così piccola ci regala campioni in quasi tutti gli sport, come direbbe il cestista Doncic che  tenta di portare Dallas nelle finali NBA, come potrebbe confermare il nuovo dolcissimo cannibale del ciclismo, come ci ha spiegato mille volte Sergio Tavcar nelle sue telecronache, con i suoi libri. Citofonare Slovenia proprio nel giorno in cui  l’Italia dei motori  s’è desta applaudendo Bagnaia ma, soprattutto, la Ferrari che ha preso a calci, per una volta, il cinghiale della Red Bull, oscurando le medaglie delle farfalle tornate a volare con la Maccaraninella ritmica della regina Raffaeli? Be', lasciateci litigare davanti alle poche edicole rimaste scoprendo che l’invasione al petrodollaro nel grande calcio, tutto questo cincischiare nella speranza che Spalletti nasconda i peccati del sistema con la sua Nazionale, non ci ruberà le probabili emozioni promesse da una giovane squadra di atletica pronta per l’Europeo romano. Da Fabbri a Furlani, da Simonelli alla Iapichino, un plotone d’assalto che si presenta avendo battuto tanti primati nazionali, come direbbe Crippa, ma che è prontissimo a difendere i capitani, nella speranza che Jacobs e Tamberi stiano bene e che Tortu ritrovi sulla curva dei 200 quello che lo ispira nella staffetta.

Un giro di chiglia in mondi sportivi che inseguono la storia studiando davvero, come direbbero nel geniale Domenicale campaniano, augurandosi di avervi ingannato abbastanza per non parlare del basket in gramaglie che cerca di volare alto con  nuove divise e intanto scopre che l’infermeria di Azzurra è sempre più affollata dovendo far spazio a Fontecchio,  mentre non si trova più una sedia libera nel salotto dello psicanalista-commercialista che prova a convincere veterani appesantiti dall’età a sacrificarsi per Azzurra invidiando la pallavolo che con Velasco e De Giorgi sembra pronta per una bella Olimpiade, giochi senza frontiere, con troppe frontiere chiuse per guerra, altro che pace olimpica gridano gli stolti del momento felici di guadagnare ancora su armi e funerali. Purtroppo il basket e la sua Nazionale sembrano lontani da Parigi senza avere il permesso di fingersi indifferenti come i calciatori o, magari, i tennisti che adesso, invece, considerano i Giochi anche più importanti di un grande Slam. Potere dei manipolatori d’immagine che sanno come vendere.

Basket dei tapini che si fingono giganti e infatti nel giorno della finale di una Eurolega che vale tanto, con 19mila spettatori sulle tribune a Berlino,  una festa che interessa davvero e si vende alla grande, in una domenica dove qualsiasi ora andrebbe bene per avere pubblico, questo lilliput basket italiano mette alla stessa ora gara due di una semifinale scudetto fra Virtus Bologna e Reyer Venezia. Daranno la colpa a DMAX che voleva quell’ora per la sua diretta, si difenderanno spiegando che i giocatori di Bologna e Venezia erano stati avvertiti: giocate sereni, ma appena potete fingete di aver dimenticato il ruolo in commedia. Voi virtussini, sul più 22, recitate come se aveste smarrito  l’idea che si vince giocando da vera squadra secondo la legge Banchi, come quando vi siete fatti portare ai supplementari dopo il più 20 in gara uno, mentre voi reyerini, pur avendo voglia di mandare al diavolo uno come Wiltjer, provate a scavalcare la paura, dimenticando cosa costa giocare in trasferta senza il pivot che avrebbe dovuto salvarvi, riaprite i giochi così la gente si diverte.

Sono settimane che al convegno di psicologia fra i campi di lavanda in Provenza ci si domanda cosa succede in tanti sport se un Milan ai saluti dopo aver segnato tre gol si fa riprendere, se alla Juventus sembrano liberi di giocare persino a calcio, se le feste interiste hanno spalancato le porte e la porta che sembravano inespugnabili. Sono giorno in cui i maestri cantori del basket, ad esempio, non sanno spiegare perché per venti minuti una squadra, allenatore in testa, merita baci ed abbracci e poi, all’improvviso, i fenomeni diventano gli altri. A Messina e Banchi è andata comunque bene, ma non così all’allenatore del Real Madrid che cercava di replicare la vittoria dell’anno scorso, che aveva un bel vantaggio sul Panathinaikos del diabolico Ataman e stava convincendo Florentino Perez, già felice per la vittoria dei ragazzi della Real casa nel torneo per le nuove generazioni organizzato a Berlino dall’Eurolega, illudendolo che anche questo sarà un anno Real se Ancelotti rivincerà la coppa campioni.

Cosa passerà nella testa di certi giocatori? Sarà per questo che adesso molte società oltre a svenarsi per costose  “squadre” al seguito di allenatori importanti devono pagare anche  chi lavora sulla mente di multimilionari, di campioni a cui bisogna ricordare pure che a tavola non tutti vincono se sgarrano come potrebbe testimoniare Manila Esposito prodigio della nostra ginnastica. Mondo dello sport che finalmente ha scoperto altri mondi anche se poi chi non osa mai, chi non lavora sul serio, davanti al Barcellona che ha preso un ragazzone di 2 metri 08 centimetri nato in Burkina Faso, sogghigna negando che Mohamed Dabone sia nato davvero nel 2011 e possa già  fare la differenza in campo contro i diciassettenni. Per fortuna non tutti la pensano così e adesso non si squittisce più se ai campionati giovanili di molti sport fra i vincitori scopriamo ragazzi che, pur nati o cresciuti in Italia, figli di gente fuggita da orrori cominciando dalla povertà, hanno avuto il passaporto dopo anni di attesa. Lampo blu delle nostre brame dicci chi merita adesso le buone e cattive pagelle nel reame dove  si sta bene anche sentendosi dimenticati, felici di non doversi dispiacere per aver scelto altri rispetto a quelli che la Lega del basket, ad esempio, ha scelto per questa stagione.

10 Alla REYER anche nella domenica dove la prima squadra ha mancato la rimonta da meno 22  nella seconda partita con la Virtus e gli Under 17 sono stati battuti i finale dagli Orange di Bassano del Grappa, perché in settimana l’organizzazione del vulcano Brugnaro, sindaco, ma non soltanto di Venezia, aveva conquistato la semifinale del basket, lo scudetto con la femminile e due titoli giovanili fra ragazze e ragazzi. Come si dice, se non basta provateci voi.

9 Ad Ergin ATAMAN che forse avremmo fatto bene a tenere in Italia come giuravano quelli di Siena, un navigatore nel mondo dei canestri che dopo la doppietta con l’Efes ha dato gioia al popolo del Panathinaikos anche se restiamo sempre perplessi davanti ai tifosi ateniesi e  ai loro dirigenti.

8 A Dejan BODIROGA grande sul campo e ora grandissimo anche come dirigente  insieme a MOTIEJUNAS per una Eurolega che se davvero farà pace con la FIBA e le FEDERAZIONI verrà ricordato per il rivoluzionario più amato dal basket che già gli doveva molto come giocatore. Nella speranza di poter dire presto le stesse cose sul DATOME che PETRUCCI sta lanciando al vertice.

7 Ai VETERANI del REAL MADRID, RODRIGUEZ in testa, che dopo la delusione di Berlino, la rimonta subita in una finale che dopo 10’ sembrava già conquistata, hanno salutato avversari e tifosi con lo stile che dovrebbero avere sempre i campioni dello sport.

6 A FORTITUDO e CANTÙ se nelle semifinali del campionato di A2 non pretenderanno di essere trattate in maniera  diversa dalla favorita TRAPANI e dalla sorprendente TRIESTE. Bel finale per un campionato che permette alla RAI di stare anche sul basket offrendo un microfono al DE POL che fa bene il suo mestiere, guardia scelta come quando giocava.

5 Ai PRESIDENTI agitati che vediamo nelle semifinali del basket. State buoni se potete e prima di vedere il sesto uomo nella squadra avversaria, tipo un arbitro, guardatevi un po’ intorno e in casa vostra.

4 All’EUROLEGA che a Berlino ha organizzato davvero bene ma si è fatta sorprendere da quella che chiameremmo esuberanza delinquenziale dei soliti noti. Certo le polizie locali, dopo i lutti in certi stadi o palazzi, dovrebbero aiutare un po’ meglio.

3 Ai giocatori della VIRTUS che nelle  prime due partite di semifinale contro Venezia si sono fatti rimontare 20 e 22 punti. Smettere di giocare o giocare così con i sentimenti dei tifosi e dell’allenatore è davvero crudele come avrebbe detto Messina dopo essere stato quasi rimontato in gara uno da Brescia.

2  Ai campioni della NBA che fingono di non poter essere alle OLIMPIADI per motivi fisici e non per la paura di sfigurare davanti alle stelle vere che invece porterann


o gli STATI UNITI.

1 A POZZECCO se dovesse essere spaventato visto come giocano certi probabili azzurri. Lui ha sempre avuto la forza e la fantasia per dimostrare che anche se sei piccolo il basket ti può regalare scudetti e medaglie olimpiche.

0 Alla LEGA basket che abbiamo applaudito per aver dedicato ai grandi campioni del passato, da GAMBA a MENEGHIN, i premi per la stagione 2024, che nella domenica della finale di Eurolega a Berlino ha permesso una diretta televisiva su gara 2  da Bologna quasi alla stessa ora. Provincialismo, lo stesso mostrato da giornali che non hanno pubblicato neppure il tabellino.

Oscar Eleni

Miracolo alla Nicola

 Il Frosinone è la terza retrocessa in Serie B, insieme a Sassuolo e Salernitana, ma al contrario delle due compagne di sventura ha poco da rimproverarsi anche se il modo in cui ha perso con l’Udinese, con l’Empoli che poi ha trovato nel recupero il gol salvezza, fa male. La cilindrata della squadra di Stirpe non era diversa da quella di Empoli e Udinese, o di altre già salve come Verona e Lecce, ma qualcuno doveva retrocedere e non è che un finale del genere cambi il giudizio su un progetto e su un allenatore come Di Francesco. Semmai l’impresa l’ha fatta l’Empoli, con una partita enorme e disperata contro una Roma di altra categoria ma con il morale basso per l’esclusione dalla Champions, trovando con Niang un gol storico in molti sensi. Anche in quello di poter giocare il quarto campionato di fila in Serie A, cosa mai riuscita al club da 33 anni magnificamente gestito da Fabrizio Corsi. Un’altra impresa per Davide Nicola, che per una volta nella vita meriterebbe una squadra dalle ambizioni superiori e presa in mano in estate, un’altra impresa di un Empoli senza santi in Paradiso e con un bacino d’utenza appassionato ma limitato. Una realtà non fa tragedie di fronte alla spesso inevitabile retrocessione e che continua a formare giovani per le nazionali, mentre altri ne parlano e basta. Salva anche l’Udinese, Cannavaro non aveva grandio referenze se non le glorie da calciatore, ma le sue chance se le è giocate alla grande in queste 5 partite.

 

L’Atalanta ha continuato ad onorare lo sport pur essendo già sicura del posto in Champions, asfaltando il Torino che per la Conference deve mercoledì tifare Fiorentina. Le demenziali regole UEFA avevano messo in mano a Gasperini il destino europeo della Roma, in più la Lega ci ha messo del suo non facendo giocare le partite in contemporanea. È chiaro che il cosiddetto ‘sistema’ avrebbe avuto convenienza ad avere un’Atalanta quinta, quindi con clamorosi 6 posti nella rinnovata Champions a 36 squadre, ma è evidente che di questo sistema l’Atalanta non fa parte: perché mettersi a fare favori, oltretutto antisportivi, che non verranno mai restituiti? 

 

Al di là degli incastri di calendario non c’è dubbio che la Roma abbia finito in calando una stagione stranissima, con cambi dirigenziali importanti ed un piazzamento da Europa League che veniva ottenuto anche in stagioni considerate disastrose. L’effetto De Rossi è un’invenzione giornalistica e nemmeno di tutti i giornalisti, ma soltanto di quelli che imputano a Mourinho tutti i mali del mondo. L’ex Capitan Futuro ha preso in mano la squadra il 16 gennaio, dopo la sconfitta con il Milan a San Siro, con una Roma nona, 3 punti sotto il Bologna e 4 sotto l’Atalanta. Adesso, complice il crollo del Napoli, ed il calo di Lazio e Fiorentina e Lazio, il piazzamento è migliorato ma questi punti di distacco sono diventati 6 e 5. De Rossi ha però di sicuro portato un clima migliore, dentro e intorno alla Roma, insieme a qualche cambiamento tattico. Complice un buon calendario ha migliorato subito la classifica, facendo bene in Europa League eliminando il Milan e uscendo in semifinale con il Bayer Leverkusen, ormai descritto come una specie di Real Madrid ma i cui ingaggi sono due terzi di quelli della Roma. Di sicuro De Rossi ha dimostrato di essere un allenatore, con in più il patrimonio di amore dei tifosi che arriva dalla sua storia, anche familiare. Ma dire che, paragonato a Mourinho, abbia spiegato calcio è un po’ esagerato. E non è un caso che la Roma degli ultimi anni sia quasi abbonata al sesto posto, a prescindere dalle circostanze, con l’ultima qualificazione Champions che risale ai tempi di Di Francesco, in un contesto molto diverso. 

 

Chiusura in tono minore per Leonardo Bonucci, a 37 anni, da riserva poco giocante nel Fenerbahce, al termine di una stagione iniziata litigando con la Juventus, visto che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimanere, proseguita con l’Union Berlino fra pochi alti e molti bassi, e chiusa in Turchia. Questo finale nulla toglie alla carriera di Bonucci, colonna della Juventus dominatrice degli anni Dieci e della Nazionale di Euro 2020, con 9 scudetti (il primo, dal punto di vista però solo statistico perché era un Primavera, quello assegnato all’Inter dopo Calciopoli) e tutto il resto. Non ha mai goduto della buona stampa del più furbo e uomo di calcio Chiellini, altra colonna di una Juventus che iniziò a vincere con Conte in panchina, ed in generale non è stato Scirea, ma è uno di quei difensori detestati dagli avversari che un tifoso vorrebbe sempre avere nella propria squadra. Troppa personalità per fare l’allenatore in un mondo di finti umili, magari ci sorprenderà come commentatore.  


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Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...