06 giugno 2024

Quanto vale l'oro


Quanto vale l'oro? Risposta da compitino a questo quesito da e per Google: 2.360 dollari all'oncia, mentre stiamo scrivendo queste righe, per usare il parametro più diffuso, o se preferite circa 70 euro al grammo (un'oncia è 28,3 grammi). Ovviamente la domanda non è questa, ma riguarda l'opportunità di investire in oro dopo una lunga e stimolante discussione avvenuta l'altro giorno con un supercompetente, anche in buona fede perché non aveva qualcosa da venderci. Senza stare a copiare i grafici che tutti vediamo sul web, si può dire che sia in termini nominali sia in dollari rettificati con il potere d'acquisto l'oro si trovi sui suoi massimi storici. E quindi? Corriamo dall'elegante Compro Oro sotto casa con il lingottino, l'anello, la sterlina della Prima Comunione? Nella foto una sterlina d'oro uguale a quella che ci regalarono nel 1976, quando ricevemmo il sacramento nella chiesa intitolata ai Santissimi Nabore e Felice.

Risposta: non ancora, a meno di averne bisogno per mangiare o per l'abbonamento a DAZN. Perché le varie guerre e le incertezze politiche in mezzo mondo stanno rendendo gli acquisti di oro, chiaramente come riserva di valore, sempre più una scelta moderna nonostante la fine di Bretton Woods (ormai più di mezzo secolo fa) e quindi del sistema di cambi che aveva come architrave la convertibilità dei dollari in oro. Una scelta, questa della nuova corsa all'oro, non soltanto della Russia della situazione, stato o privati di grossa cilindrata (possono fregarti il Chelsea, ma non lingotti tenuti in Svizzera), ma anche del fu Occidente: la Banca d'Italia è una di quelle nel mondo con più oro (2.452 tonnellate, abbiamo letto sul suo sito, quasi come la Bundesbank ma più, per dire, della Cina) e sembra voglia andare avanti. In ogni caso consigliamo come lettura serale questo riassunto riguardante l'evoluzione del 'nostro' oro: la cosa che ci ha più impressionato è che alla fine del vecchio mondo monetario, quindi l'inizio degli anni Settanta, le riserve auree dell'Italia fossero circa le stesse di oggi. Qualcuno dà per scontata una guerra? Saremmo contenti solo per quelli che "Il turismo è il nostro petrolio".

A favore dell'oro anche questo periodo di taglio dei tassi, visto che per sua natura l'investimento in oro è improduttivo, ma non volevamo andare sui massimi sistemi perché anche fra le persone comuni, anche fra i giovani, stiamo notando una maggiore propensione a regalare o comprare oro nell'ottica (tutta da dimostrare) che sia qualcosa di solido, di trasportabile in caso di disastro (cosa che non è il monolocale per designer norvegesi o fuoricorso pugliesi criptogay), di poco soggetto alle scelte della politica e per certi aspetti paradossalmente (visto quanto è antico) decentralizzato e relativamente scarso come potrebbe esserlo un Bitcoin. Domanda finale: comprare (anche ETF, ovviamente), tenere, vendere oro? Nella nostra ignoranza siamo per tenere, a meno di non essere trascinati nella Terza Guerra Mondiale. La parola ai competenti ma soprattutto agli incompetenti, perché i soldi sono i loro.

05 giugno 2024

Per chi votare alle Europee 2024


Per chi votare alle Europee 2024? In questo fine settimana, sabato 8 giugno dalle 15 alle 23 e domenica 9 giugno dalle 7 alle 23, in Italia si voterà per il il rinnovo dei nostri, si fa per dire, 76 parlamentari europei e confessiamo che, pur essendo da sempre interessati alla politica, sentiamo queste elezioni ancora meno di quanto sentiamo gli Europei di calcio. Eppure quello europeo è da sempre un voto ideologico, quindi in teoria dovrebbe scaldare di più rispetto agli altri dove contano le alleanze, le convenienze e le mitiche 'persone'. Inoltre i leader dei principali partiti, dalla Meloni alla Schlein a Conte, ma anche di quelli minori, hanno fatto a gara nell'usare i toni più duri, quelli più da titolo. Niente, siamo scarichi e forse anche bolsi (presto proporremo il bolsometro).

Detto questo, proponiamo il nostro solito sondaggio, con voto segreto anche se il bello è dichiararlo e discuterne, in questo spazio dove commenteremo previsioni, svolgimento, exit poll e risultati reali di queste elezioni che in ogni caso avranno riflessi anche sulla politica italiana, ricordando lo sbarramento del 4% dei voti validi espressi, che mette diversi partiti sul filo delll'esclusione. Nel 2019 stravinse la Lega, con il 34,26% dei voti, davanti al PD in tandem con Siamo Europei (cioè Calenda) con il 22,74. A seguire i 5 Stelle con il 17,06, Forza Italia con l'8,78, Fratelli d'Italia con il 6,44. Sotto il 4%, paradossalmente ma non troppo, due partiti con Europa nel nome, come +Europa (3,11% insieme a una specie di movimento dei sindaci) ed Europa Verde, cioè i Verdi di Bonelli. L'ultimo partito-alleanza sopra l'1%, ci perdonino gli altri se non li citiamo, la Sinistra di Fratoianni con l'1,75%, dove c'era dentro un po' di tutto (anche i resti dell'indimenticata lista Tsipras, purtroppo non Tsitsipas).

Venendo all'attualità, bisogna dire che i partiti sono rimasti più o meno quelli e che quindi un confronto con cinque anni fa, pur in un'Italia profondamente diversa (primo governo Conte, alleanza 5 Stelle-Lega), ci può stare. L'ultimo sondaggio IPSOS, pubblicato sul Corriere della Sera, dice Fratelli d'Italia 26,5%, PD 22,5%, 5 Stelle 15,4%, Forza Italia 9,2%, Lega 8,6%, Alleanza Verdi Sinistra 4,6%, Stati Uniti d'Europa (cioè vari movimenti, soprattutto +Europa e Italia Viva) 4,1%, Azione 3,6%, Libertà (vari gruppi, ma soprattutto il Sud chiama Nord di Cateno De Luca) al 2% e Pace Terra Dignità (vari gruppi, con Santoro frontman) all'1,9%. Proponiamo anche il controsondaggio: per chi non votereste mai? Ma in concreto, per chi votare alle Europee 2024? La nostra serietà è dimostrata dal fatto che non proponiamo l'opzione De Zerbi, un cui movimento supererebbe facilmente il 4%.

04 giugno 2024

The Rossellinis

 Fra le tante cose che ci siamo segnati di vedere su RaiPlay, secondo la prima legge dello streaming (passi più più tempo a cercare cose da guardare che a guardarle), finalmente ne abbiamo vista una: The Rossellinis, il film del 2020 di Alessandro Rossellini che è riduttivo definire documentario. Perché se il filo conduttore è la storia della famiglia Rossellini, schiacciata dal mito di Roma città aperta, il racconto ha il passo di una commedia che si mescola a tragedia, con protagonista proprio il regista. In questo caso, diversamente dal nonno, con un solo film nel curriculum: questo. Arrivato dopo una vita piena di episodi poco edificanti, dalla droga alle continue richieste di soldi alla zia Isabella, raccontati senza farsi sconti.

Ed il fascino del film sta proprio qui: la durezza estrema con cui viene raccontata una famiglia allargatissima che oggi ai più giovani dice poco ma che per almeno tre decenni ha alimentato le cronache e i pettegolezzi. Una durezza sfociata in scelte di vita anche estreme, condivisa dai sei figli di Roberto Rossellini (uno di questi, Renzo, è il padre di Alessandro), dalle ex mogli e dai troppi parenti. Al punto che paradossalmente la persona più normale di tutti sembra Ingrid Bergman, che per amore scelse di mettersi in stand-by a Hollywood e girare per qualche anno bruttissimi film in Italia, lottando per recuperare i figli che le erano stati tolti con una sentenza che oggi sarebbe incredibile.

Alessandro Rossellini va in giro per il mondo, dalla Svezia al Qatar a New York, ad ascoltare il punto di vista di tutti e a farsi trattare male da tutti, con lo spettatore che vista la sua sgradevolezza ostentata fa naturalmente il tifo per chi lo tratta male. Senza dubbio la capofamiglia è Isabella, l'unica capace di accettare la luce riflessa dei genitori (lei è una dei tre figli, su sei, di Rossellini avuti con la Bergman) e quindi di sfruttarla, mentre gli altri hanno tutti in qualche modo provato a smarcarsi. Su tutti Robertino, ex stella del jet-set e noto a noi popolo bue per il suo fidanzamento con Carolina di Monaco, che vive appartato in Svezia nella vecchia e bellissima casa della madre, che in un'intervista (non in The Rossellinis, anche se esprime gli stessi concetti) disse una volta: "Meglio essere spettatori intelligenti che cattivi registi o attori".


Marotta for president

Giuseppe Marotta presidente dell’Inter, non soltanto un meritato premio alla carriera visto che rimane amministratore delegato dell’area sportiva del club campione d’Italia anche nell’era di Oaktree, breve o lunga che sarà. Succede a Steven Zhang, diventando così il ventiduesimo (contando una volta sola Massimo Moratti, che lo è stato per due periodi) presidente della storia nerazzurra, con la prospettiva di continuare a governare l’Inter come fa dalla fine del 2018, anche se le logiche sono cambiate. Da una proprietà poco presente, che comunque ha sempre pompato soldi nell’Inter fino all’ultimo, ad una che gli starà con il fiato sul collo, visto che il consiglio è quasi totalmente targato Oaktree, e non è detto che ripiani ogni perdita pur avendo la cilindrata per farlo. Certo è che Marotta ha invertito una tendenza negativa, non soltanto a livello sportivo, e che questo è il punto più alto di quasi mezzo secolo di carriera. Il miglior dirigente calcistico italiano, in serie A1 (in A2 è Sartori), è lui e non da oggi. Ma nonoistante il doppio incarico di prestigio le mani saranno adesso meno libere.

Il licenziamento per giusta causa di Allegri, reso noto venerdì scorso, non era poi per una causa tanto giusta se sono bastati due giorni, la minaccia del tribunale ed un colloquio con Elkann per arrivare ad una transazione dall’importo ancora non ufficiale ma che di sicuro soddisfa l’allenatore ed il suo staff, lasciandogli le mani libere per prendere la differenza se ci sarà un’offerta stimolante. Non proprio una vittoria di Giuntoli, che comunque adesso costruirà il futuro con un allenatore di suo gusto.

Perché il Centro-Sud è quasi scomparso dalla Serie A? Considerando della stessa zona il Sassuolo retrocesso ed il Parma promosso, vanno giù Frosinone e Salernitana, su Como e Venezia. Nella sostanza nel campionato 2024-25 le squadre più settentrionali sopra Cagliari, Lecce e Napoli saranno le due romane. Situazione che unita al discorso sulle proprietà (salite tre straniere, scese tre italiane) e alle cinque lombarde si presta a mille analisi, anche se non ne faremo nessuna. Ricordiamo soltanto che fra le prime 20 città d’Italia per numero di abitanti ci sono Palermo (quinta), Bari (nona), Catania (decima), Messina (tredicesima) e Taranto (diciannovesima). E che di queste soltanto il Palermo, con il City Football Group, ha una proprietà ambiziosa anche se certo non manderà al Barbera né Guardiola né Haaland. Il Bari è prigioniero di De Laurentiis, che in caso di promozione lo perderebbe, le altre tre sono in C.


Il Chelsea dell’era Boehly è la società peggio gestita del mondo, in proporzione al budget a disposizione, ma con il contratto quinquennale di Enzo Maresca è riuscita stupire ancora. Beninteso: stiamo parlando di un ottimo allenatore, ancora relativamente giovane, con il bollino di qualità di Guardiola del quale è stato vice e del quale è quasi un clone anche fisicamente. Ma il senso di un contratto quinquennale sfugge ai più, ricordando come in meno di due anni il Chelsea sia riuscito a chiudere rovinosamente l’era Tuchel, a svenarsi per Potter, pagandolo come un grande calciatore, a richiamare Lampard per niente e a buttare altri soldi per il disastroso Pochettino. Certo non hanno un dirigente come Ivan Gazidis, da poco tornato in pista come presidente del Sain-Etienne a proprietà canadese.

03 giugno 2024

L'ordine del tempo


Per questa sera consiglieremmo il bellissimo Amarsi un po', alle 23 su Cine 34, ma su Indiscreto lo abbiamo già recensito e così per una volta parliamo di un film che non ci piaciuto come L'ordine del tempo. Una vera rarità, perché di solito opere di questo tipo le abbandoniamo dopo tre minuti e quindi non le recensiamo nemmeno. Ma questo di Liliana Cavani, intercettato sull'on demand di Sky Cinema, pur essendo il peggior film visto per intero negli ultimi anni in un certo senso ci ha conquistato perché sintetizza tutto ciò che non ci piace del cinema italiano, ormai del tutto svincolato dal gradimento del pubblico. Non significa che tutti i film italiani siano insuccessi, anzi, ma soltanto che gli incassi reali al cinema ed il successo nel tempo in televisione non sono decisivi nelle scelte produttive e artistiche.

Il film, presentato nel 2023 a Venezia, altro non è che uno dei milioni di tentativi (alcuni anche riusciti benissimo) di riproporre lo schema del Grande Freddo, con alcuni amici che si ritrovano in una casa, spesso di vacanza, in questo caso a Sabaudia, facendo emergere i tanti non detti dei loro rapporti e riflettendo su un futuro che sembra non esserci. In L'ordine del tempo questo assume un significato letterale, visto che l'esistenza di questo gruppo e anche dello stesso pianeta è minacciata da un meteorite, con il pericolo intuito soltanto dalla domestica peruviana e dagli addetti ai lavori, fra cui uno del gruppo, l'onnipresente (nel cinema italiano) Edoardo Leo, qui nei panni improbabilissimi dell'astronomo tormentato.

Il film è tenuto in piedi dalla presenza vitale di Alessandro Gassmann, ma per il resto è il festival dei luoghi comuni e della verbosità, con un cast anche di buoni nomi (Claudia Gerini, Kseniya Rappaport, Francesca Inaudi, Valentina Cervi, Angela Molina, il tedesco specializzato in tedeschi, SS o Wermacht a seconda del film, Richard Sammel che qui però fa il trader di Borsa) ma in mezzo ad una storia inconsistente che ha la consulenza scientifica di Carlo Rovelli, cioè l'autore del libro, e nessun personaggio a cui ci si appassioni. Quindi delle loro rivelazioni (una vecchia storia lesbica, una fresca storia di corna, un amore tormentato, un disastro finanziario) non ce ne importa niente, anzi speriamo che questa borghesia venga davvero distrutta dal meteorite. La curiosità c'è però per la casa di Sabaudia: sembra abusiva, al livello di quella di Montalbano. Unico guizzo della Cavani la sottolineatura dell'appartenenza di classe sociale, fatta tramite la domestica, ma i Vanzina con Asuncion e Conception avevano già detto tutto quaranta anni prima.

Prima dei saluti

 Oscar Eleni a rapporto sulla grande strada argentina che porta verso il Pizzo Torre per confessare al grande gufo grigio, fratello dell’allocco che domina in Lapponia, il disagio della passione. Aspettando Olimpiadi che ci vorrebbero rubare con le bombe, gli attentati, nella speranza che le notizie nascano soltanto da grandi risultati, ecco il giugno della follia. Euroscogli  di grande atletica, di calcio tormentato per la nazionale di Spalletti. In mezzo, per chi sogna canestri da metà campo, le finali del basket. Confusione televisiva, tormenti al momento di dover scegliere fra un bel lancio di Fabbri e un bel canestro fra Bologna e Milano, sognando la resurrezione di Lazzaro Jacobs non soltanto nella staffetta che dovrebbe almeno ridarci il vero Tortu, pregando che siano tutte notti magiche da vivere bene se davvero l’atletica ci darà più di 20 medaglie europee, senza litigare troppo, con la musica giusta, anche se non sarà sempre magia come quando Gianna Nannini e Bennato ci accompagnavano in una estate italiana che non faceva i conti con Maradona. Certo non sarà facile scegliere e, soprattutto, sembra impossibile avere garanzie per non processare Jacobs e il suo guru se dovessero andar male, avere garanzie che la finale del basket più classica non sarà intossicata da polemiche, minacce, anche se a Milano e Bologna si stanno già impegnando per confondere chi arbitra più delle letterine per avere la palla prigioniera invece della pallacanestro, per dare a giocatori in scadenza (ma non lo sono sempre?) la scusa buona al momento di tradire o Messina oppure Banchi.

Aspettando Godot e la prima partita di finale giovedì sera, seguendo la scia del calcio a mercato sempre aperto, ecco le prime bombe puzzolenti. Giocatori delle finaliste con valigia pronta. Allenatori delle due storiche regine, forse non le più belle, di sicuro le più ricche, messi già in graticola e misteriosamente in viaggio per altri troni. Dovrebbero spiegarci perché Banchi potrebbe lasciare la Virtus per andare a Baskonia e quali sarebbero i motivi per far cambiare idea a Messina sul fatto che Milano è davvero l’ultimo porto nella sua gloriosa carriera. Il bue che grida cornuto all’asino sta già scatenando i dietrologi che hanno la tenda fissa davanti alla Fiera bolognese e al Forum di Assago. L’unica verità dolorosa per le due finaliste e che la regina decapitata lascerà sul patibolo della finale anche tutto il resto perché potrebbero fare la fine del Barcellona che, come accadde soltanto nel 2017, Bartzokas regnante, ha chiuso la stagione senza prendersi niente come il Villeurbanne del confuso Parker. Per la verità la Virtus e Banchi hanno fatto subito l’amore in piazza appena Scariolo se ne è andato lasciandogli l’incombenza della supercoppa, mentre Messina non ha davvero mai brindato dopo aver perso con Napoli la finale di coppa Italia, mortificato in eurolega, come il garibaldino di  Grosseto che comunque gli è arrivato davanti.

Mentre il calcio brinda e si tormenta perché Como e Venezia, due neopromosse in serie A, hanno stadi non proprio da massima serie, i lariani infatti, giocheranno a Verona, il basket aspetta di capire se Trapani è davvero più forte della Fortitudo che ha perduto gara uno e anche Aradori, indeciso se tifare per la grande tradizione di Cantù, borgo magico con tante coppe e scudetti da accarezzare, o per la storia della Trieste che al basket e allo sport italiano ha dato campioni meravigliosi. Stiamo parlando della A2 ignorata da edicole in chiusura come al Washington Post. Con questo dilemma ci si lascia proponendo pagelle al rosolio modificato.

10 Al PETRUCCI che, per far dimenticare come ha trattato il Sacchetti che aveva riportato il basket italiano ad una Olimpiade, ci ha assicurato un contratto garantito per Pozzecco anche se non dovesse superare le Termopili in Portorico, unica strada per arrivare a Parigi.

9 A BRESCIA e VENEZIA per lo stile che hanno mostrato accettando il duro verdetto del campo. Speriamo che i loro generali trovino società pronte a rinforzare il blocco che ha reso comunque difficile la vita alle regine.

8 A PARIGI perché la squadra di basket che ha già vinto una coppa e farà la finale per il titolo contro Monte Carlo ci garantisce che non tutto finirà con i Giochi olimpici.

7 A SLOUKAS per averci perdonato quando ci siamo dimenticati di lui e della sua grandezza dopo la finale di coppa vinta con il Panathinaikos di ATAMAN che non sembra intenzionato a cambiare scenario e ponte magico anche se qualcuno pensa che potrebbe essere lui il dopo Messina nel caso in cui il presidente-tecnico Ettorre suggerisca a Dell’Orco e ad Armani l’uomo che ha studiato in Italia e per primo ha scoperto il tesoro ormai sepolto di Siena.

6 A TRENTO per  la calma mostrata quando ALVITI ha chiesto di poter andare a tirare altrove. Speriamo che invece riesca a trattenere BILIGHA come ha fatto con FORRAY.

5 A PETRUCCI per averci ricordato che con l’età si perde la memoria perché quando lui dice di avere avuto tanti avversari nelle corse per la presidenza del basket facciamo fatica a ricordarci il nome di un vero avversario, così come quelli in questa corsa da anni bisesto.

4 Ai GIOCATORI delle finaliste che sono anche in scadenza di contratto se non dimostreranno ai gufi della Lapponia che un vero professionista, anche se mercenario, si batte fino in fondo per la casata che lo ha ingaggiato.

3 A BANCHI e MESSINA se dimenticheranno chi davvero, anche fra i loro amici più cari, ha cercato di metterli in difficoltà anticipando probabili campagne acquisti, mine che in spogliatoio hanno già fatto saltare sicuramente i nervi più fragili.

2 Agli ARBITRI se davvero si sono spaventati per la famosa lettera dove venivano invitati a ricordare che il basket è uno sport senza contatti. Un falso, direbbe il grande fondatore che si inventò il gioco per non far oziare quelli del football. Un falso, direbbero tutti quelli che sanno bene come l’attacco faccia vendere i biglietti, ma è la difesa che conquista la gente e le vittorie.

1 Al PROGRAMMATORE TELEVISIVO che in queste giornate di giugno ruberà alla passione le immagini che uno dovrà registrare maledicendo la concomitanza degli orari.

0 Alla nuova CHAMPIONS del calcio, tantissime partite, una fiera meravigliosa ma costosa, se dovesse ispirare BODIROGA e l’EUROLEGA già confusa dall’ingresso dei “campioni” di DUBAI nel mondo magico del basket a Est di Bruxelles.


Ancelotti da sette

La quinta Champions League vinta da Carlo Ancelotti come allenatore, che va sommata alle due Coppa dei Campioni da giocatore, è stata la terza in ordine di sofferenza, ricordando i rigori con la Juventus a Manchester o il colpo di testa di Sergio Ramos al 90’ contro l’Atletico Madrid, e ha dimostrato che la quinta della Bundesliga, arrivata a 27 punti dal Bayer Leverkusen (a sua volta con una rosa di valore medio-alto, certo non stellare) può mettere sotto per metà partita il più grande club del mondo, pieno di campioni e bene allenato, usando le sue stesse armi, cioè lasciandogli l’iniziativa e ripartendo in massa. Poi nel secondo tempo il Real ha preso in mano la situazione e nessuno, dopo le tante occasioni fallite dal Borussia Dortmund nel primo tempo, avrebbe scommesso un euro sui tedeschi di Terzic. In mezzo alle celebrazioni la solita domanda, che possiamo dividere in due. Ancelotti avrebbe salvato l’Empoli? Nicola avrebbe condotto il Real alla sua quindicesima Champions? No. No. Non è vero che tutti gli allenatori sono uguali, perché in ogni contesto ci sono quelli bravi e quelli che non lo sono.

Il licenziamento per giusta causa, della Juventus nei confronti di Allegri, è qualcosa di clamoroso e di difficile da spiegare. Perché se si andrà in tribunale le chance del club di risparmiare i 18 milioni, questo il costo aziendale lordo, residui per Allegri e il suo staff sono pari a zero. Non è che un litigio, oltretutto privato (non ci si riferisce quindi al gesto fatto in campo dopo la finale di Coppa Italia), con il direttore sportivo, sia una giusta causa di licenziamento, altrimenti nessun allenatore esonerato avrebbe mai visto un euro. Ad un primo livello l’idea della Juventus è quella di chiedere 18 per ottenere, mettiamo, 6, insomma di arrivare a una transazione contando sulla voglia di Allegri di tornare ad allenare subito. Ad un secondo è un’altra picconata elkanniana sull’era di Andrea Agnelli, proprio negli stessi giorbi in cui si è consumata l’abiura definitiva della Superlega, con la riammissione nell’ECA adesso diretta da El-Khelaifi, improbabile paladino del calcio di tutti.

Quando finirà l’era De Laurentiis al Bari? Dopo la clamorosa vittoria-salvezza al Liberati contro la Ternana i tifosi del Bari continuano a chiedere un cambio di proprietà, che comunque per la legge attuale dovrebbe avvenire entro il 2028. La tigna nel mantenere due club di prestigio e con un bacino di utenza ampio (Bari è la nona città d’Italia per numero di abitanti), invece di mettere in piedi un serio progetto di seconda squadra come Juventus e Atalanta, si spiega soltanto con le previsioni di aumento enorme del valore dei brand sportivi nei prossimi anni (la stessa scommessa che in altra situazione ha strangolato Zhang). Vendere il Bari fra 3 anni sarà più conveniente, a meno che una promozione in A costringa ad accelerare l’operazione. In ogni caso a nessun tifoso piace sentirsi una seconda scelta o una seconda squadra (espressione usata qualche mese fa da De Laurentiis), vale anche quando la prima è il Real Madrid e quindi figuriamoci con il Napoli. Situazione che non può trascinarsi fino al 2028.

Battendo la Cremonese il Venezia è diventato la terza promossa in A insieme a Como e Parma. Tre club con una grande storia (ma quale club non ha una grande storia?) ed un presente gestito da stranieri: americani i capitali di Parma e Venezia, indonesiani quelli del Como. Questo significa che esattamente metà della Serie A 2024-2025 sarà formata da squadre controllate da persone o aziende non italiane. Una realtà che si presta a mille considerazioni, ma con due che superano le altre 998. La prima: gli imprenditori locali, o comunque italiani, di una certa cilindrata sono in proporzione meno rispetto a una volta, nell’economia in generale e non soltanto nel calcio. La seconda: il calcio italiano ha potenzialità ancora inesplorate, comunque un club italiano si compra meglio rispetto ad un pari rango inglese, ed inoltre può legarsi a discorsi turistici ed immobiliari inimmaginabili per qualsiasi altro paese: certo un pazzo può andare in vacanza a Ipswich o a Wolverhampton, ma non si tratta di turismo di massa.


Fuori Acerbi, fuori Scalvini. La sfortuna ha deciso al posto di Spalletti, così nei 26 per gli Europei a questo punto dovrebbe entrare Gatti. E togliamo il condizionale nel caso il c.t. voglia tentare di nuovo l’azzardo (per come la pensa lui) della difesa a tre, quindi con la necessità di avere in rosa sei difensori centrali. Domanda da bar cattivo: ma c’era bisogno che Gasperini giocasse con tutti i titolari una partita inutile come quella con la Fiorentina? La risposta è semplice. La partita non era inutile, perché al di là del fatto che l’Atalanta l’abbia persa c’erano da conquistare un terzo posto, eguagliando il suo miglior piozzamento di sempre (ottenuto altre tre volte, sempre con Gasperini) e quasi tre milioni di euro in più. Con un altro metro etico-sportivo l’Atalanta avrebbe dovuto allora perdere con il Torino e dare alla Roma la chance di conquistare il sesto posto italiano in Champions. Ma Gasperini prova sempre a giocare, per questo è antipatico a molti addetti ai lavori, come si è notato dai tanti complimenti a denti stretti per l’Europa League.

02 giugno 2024

Le migliori canzoni dei Lùnapop


I 25 anni di 50 Special sono stati celebrati da tutti noi che stiamo pericolosamente spostando il circo della nostalgia verso la fine degli anni Novanta, ma non è soltanto per questo che iscriviamo i Lùnapop nel sempre più divisivo Festival di Indiscreto. I Lùnapop, attenzione, e non Cesare Cremoni che anche se ha scritto tutte le loro canzoni, oltre ad esserne il frontman, ci ha tenuto fin dall'inizio della sua carriera da solista a dividere i due periodi. Di certo i Lùnapop rimangono nell'immaginario collettivo perché per due anni, dal 1999 al 2001, hanno rappresentato gli adolescenti italiani verso la fine di un periodo molto caratterizzato. In tutto l'Occidente, beninteso, magari in Congo e Thailandia c'erano altre logiche.

Quando nel 1999 esce 50 Special siamo in pieno Ulivo mondiale: Clinton, Blair. Schrõder, Jospin, D'Alema che da poco è succeduto a Prodi alla presidenza del Consiglio. In questo clima i cinque ragazzi bolognesi riescono ad uscire dal gruppo, come il Jack Frusciante di Brizzi che pare averli ispirati. Cremonini, Nicola Balestri (Ballo, l'unico che in qualche modo rimarrà legato al leader), Michele Giuliani, Gabriele Gallassi e Alessandro De Simone, hanno un successo immediato e trasversale, e subito vengono spinti a pubblicare il loro primo album, che rimarrà anche l'unico, cioè ... Squerez?, che significa più o meno 'merda liquida'.

...Squerez? esce a fine novembre 1999, lanciato dal loro secondo singolo di vero successo, Un giorno migliore, e diventerà l'album italiano più venduto del 2000, epoca in cui ha ancora senso parlare di dischi venduti. In ...Squerez? c'è anche Qualcosa di grande, in realtà canzone più anziana delle altre, portata in giro prima del boom di 50 Special. Ed è proprio con Qualcosa di grande che i Lùnapop vincono il Festivalbar 2000, prima di andare in tournée, ritirare un'infinità di premi e lanciare altri singoli, fra cui Resta con me che portano al Festivalbar 2001. Proprio all'Arena di Verona si concluderà la loro breve storia, a causa di litigi per motivi finanziari e dell'inizio della carriera solista di Cremonini. I Lùnapop non sono durati mezzo secolo, come troppe band, ma per due anni di passaggio hanno raccontato al loro pubblico di Millennial un'Italia al tempo stesso leggera e ansiosa.

01 giugno 2024

Chocolat

 Prima o poi scriveremo una guida ai film per servi della gleba, cioè quei film che il pubblico maschile sopporta per amore di donne progressiste, come indennizzo per le serate di Conference League. Che nel 2000, quando al cinema abbiamo visto Chocolat (stasera alle 21.20 su La7d: fra Real Madrid e Musetti probabilità di rivederlo pari a zero), non esisteva, mentre già esisteva in embrione quel politicamente corretto che va infilato in ogni fiction. Il film di Lasse Hallstrōm è fondato su una meravigliosa Juliette Binoche, cioccolataia che insieme alla figlia arriva in un paesino francese negli anni Cinquanta. Va da sé che il paesino francese, il cui sindaco è interpretato da un bravissimo Alfred Molina, sia bigotto, conformista, chiuso, refrattario a qualsiasi novità. Come appunto l'arrivo di Vianne, cioè la Binoche, che in breve tempo diventa il centro della vita del paese, amata e odiata. È chiaro che un paese così di destra, che oggi voterebbe per il Rassemblement National o per Reconquéte, non sia felice per l'arrivo degli zingari, dove spicca Johnny Depp, e con la trama ci fermiamo qui. Detto questo, Chocolat si lascia guardare (con lo smartphone fisso su livescore.com, magari) anche se non va oltre il manierismo ed il luogo comune. La Binoche però sempre bravissima, con quel fascino un po' così della donna intellettuale, una delle attrici con più ruoli memorabili (nostri preferiti quelli in Film Blu e Il danno) che ci siano in circolazione.


31 maggio 2024

La generazione di Genny Di Napoli

Pietro Arese è il nuovo primatista italiano dei 1500 metri, cioè una delle gare più prestigiose dell'atletica e personalmente la nostra preferita insieme alla 4x400 nelle grandi manifestazioni: il suo 3'32"13 di Oslo, in una gara bellissima (pazzesca la vittoria in tuffo di Ingebrigtsen su Cheruiyot, Arese ottavo), poteva essere addirittura migliore viste le spallate prese nei primi giri e la distanza corsa all'esterno. Ma in senso storico il record di Arese, nessuna parentela con il famoso Franco anche lui ex primatista dei 1500 oltre che ex presidente della FIDAL, colpisce perché dopo 34 anni scavalca il tempo di un'icona dell'atletica italiana come Genny Di Napoli.

Icona poco vincente, almeno nei grandi appuntamenti all'aperto mentre indoor andava quasi sempre forte, dalla corsa elegantissima e naturale, con una struttura fisica alla Ingebrigtsen. E con la lunga carriera resa difficile dagli infortuni, su tutti quello che condizionò le sue prestazioni alle Olimpiadi di Barcellona, dove era tra i favoriti. Il 9 settembre del 1990 Di Napoli a Rieti, nel meeting forse più amato dagli appassionati (quel giorno c'erano anche Carl Lewis, che nei 100 arrivò davanti all'amico-rivale-gregario Burrell ma dietro a Witherspoon, ed anche un clamoroso Michael Johnson nei 400), corse in 3'32"78, battendo Morceli con quello che era uno dei migliori tempi mondiali dell'anno.

E che è diventato uno dei record italiani più longevi. Fra i record ancora in essere il più vecchio è quello di Fiasconaro negli 800, stabilito nel 1973, seguito dai 200 di Mennea nel 1979 e dagli 800 di Gabriella Dorio nel 1980. Di sicuro Di Napoli è stato uno degli atleti italiani più forti a non avere mai vinto una medaglia olimpica o mondiale, un riferimento per una generazione (lui è del 1968) di appassionati, un magnifico incompiuto (tutto relativo, perché le vittorie in Coppa Europa non le abbiamo dimenticate) che però nella vita post-atletica ha fatto anche tante altre cose.

 


 

Top Gun


Un capolavoro, senza se e senza ma. Top Gunquesta sera alle 21.20 su Italia 1, sintetizza gli anni Ottanta e il reaganismo meglio di mille saggi, e con questo sarebbe detto tutto. Questo film del 1986, da noi gustato in prima visione al defunto cinema Odeon, lascia sempre le stesse vibrazioni ed ha avuto anche un degnissimo seguito in Top Gun: Maverick, come tutti sanno. Come al solito non stiamo a ricordare la trama, limitiamoci alle nostre scene di culto. La foto al pilota sovietico, scattata da Goose (con una Polaroid!), mentre Cruise-Maverick sta volando rovesciato. L'improbabile partita di beach volley, con quei corpi maschili luccicanti, che secondo molti è il punto più alto dell'estetica criptogay. L'arrivo da videoclip in moto a casa della McGillis. Great balls of fire. La battaglia finale. I complimenti di Iceman. Il tutto con una colonna sonora clamorosa, da Take my breath away dei Berlin, opera di Giorgio Moroder, Danger zone di Kenny Loggins, anche questa arrivata da Moroder, il tema principale scritto da Harold Faltermayer, e altre. Da ricordare che Cruise era stato fin da subito il preferito di Tony Scott, che aveva scartato gli altri concorrenti generazionali, da Rob Lowe a Patrick Swayze, mentre la pur divina McGillis, incredibilmente ignorata nel sequel, fu scelta perché non si trovò l'accordo con Brooke Shields, all'epoca una vera superstar, battendo la concorrenza della allora sconosciuta Demi Moore.

30 maggio 2024

Calcio all'italiano

La Fiorentina ha perso la sua seconda finale consecutiva di Conference League, aggiungendo una delusione sportiva alla normale amarezza di fine ciclo. Sì, perché con tutta probabilità l’era di Vincenzo Italiano finisce qui, con una partita giocata al di sotto del proprio standard, accettando il calcio scarno dell’Olympiacos, e con i suoi tanti giocatori offensivi invece in linea con il resto della stagione. Anche se per una volta non c’è molto da recrimonare: Terracciano ha fatto almeno tre parate vere, Tzolakis nessuna, in una partita bloccata come lo sono tante finali e dove solo sui tabellini le squadre di Mendlibar e Italiano erano a specchio con il 4-2-3-1. I greci pronti a verticalizzare in fase di ripartenza e a buttare la palla in mezzo all’area quando il giuco si è sviluppatro sulla fasce, i viola più padroni del campo anche se Mandragora e soprattutto Arthur si sono limitati al compitino. Arriviamo per milionesimi ad osservare che tanti mezzi giocatori offensivi non ne fanno uno vero e non c’è bisogno di vedere e rivedere gli errori di Belotti, Kouamé e Ikoné, la fumosità di Nico Gonzalez, Barak, e Nzola, senza contare Beltran che ha giocato pochi minuti. Il discorso sugli attaccanti non deve far dimenticare la cattiva fase difensiva mostrata dalla Fiorentina per tutta la stagione, al di là di Atene: in Serie fra le squadre della prima metà della classifica nettamente la peggiore.

Poi il calcio è il calcio e non occorre essere italiani per osservare che il gol di El Kaabi, straordinario bomber di coppa ma dai viola cancellato per quasi 120 minuti, sarebbe stato annullato da molti arbitri anche al netto del mitologico arbitraggio internazionale che consiglia di non fischiare ogni volta in cui c’è qualcuno per terra. Il risultato non è tutto ma il risultato dice che l’Olympiacos è la prima squadra greca a vincere una coppa europea in 65 anni di partecipazioni, con l’unica ad andarci vicino che era stato il Panathinaikos allenato dall’immenso Ferenc Puskas, finalista nella Coppa dei Campioni 1970-71 e piegato 2-0 a Wembley dal grande Ajax di Michels e Cruijff dopo una partita a tratti violentissima. Ovviamente il più grande risultato di un club greco rimane quello del Pana, ma questo non toglie meriti all’Olympiacos attuale, che giocando più o meno così aveva eliminato altre favorite come Fenerbahce e Aston Villa, e al suo bomber trentunenne che

fino alla scorsa stagione era stato ben lontano dal grande calcio: l’anno scorso di questi tempi giocava in Qatar. Quanto a Mendilibar, seconda coppa europea in due stagioni dopo l’Europa League dell’anno scorso con il Siviglia in finale sulla Roma di Mourinho. L’età, 63 anni, la filosofia di gioco, ed una lunghissima storia di esoneri con la fortuna (sia al Siviglia sia all’Olympiacos è entrato in carica due mesi prima della grande vittoria) arrivata alla fine, impediscono anche agli esterofili più spinti di chiamarlo maestro. Le sue squadre, almeno nella loro versione europea, sono come quelle italiane di una volta.

Tornando alla Fiorentina, quale futuro per la squadra di Commisso che ripartirà quindi di nuovo dalla Conference League? Per il dispiacere del Torino, con Cairo ieri neotifoso viola (e del resto non è nemmeno tifoso del Torino), che per 116 minuti ha pensato di avere agganciato il treno europeo. In attesa dell’ufficialità della ‘decision’ di Italiano, con Palladino primo candidato alla successione, e delle prime mosse di Pradé e del nuovo direttore tecnico, Roberto Goretti, che prende il posto di Burdisso, qualche considerazione sulla rosa si può già fare. Quasi impossibile che i tanti prestiti (Belotti, Faraoni, Maxime Lopez, Arthur) vengano rinnovati o trasformati in qualcosa d’altro. In bilico la posizione di Bonaventura, a meno che non accetti un ridimensionamento finanziario adesso che non è scattata la clausola per il rinnovo automatico. Di base Kouamé dovrebbe rimanere, ma non è detto, mentre lo svincolato Duncan non ha avuto segnali ed infatti è in contatto con più club. Molto mercato ha Nico Gonzalez, che ha un contratto fino al 2028, ed è probabile che parta anche Martinez Quarta in modo da non perderlo a zero l’anno prossimo. Il recupero con l’Atalanta sarà una delle partite più tristi della storia viola recente.

Dalla Cina con furore


Pochi film hanno avuto un titolo italiano migliore dell'originale: Dalla Cina con furore, invece del cinese Jing Wu Men(la scuola di Jing Wu) e dell'inglese Fist of furystasera alle 21.20 su Cielo, è uno dei rari esempi. Questo uscito nel 1972 è il più famoso dei film di Bruce Lee, che in realtà ne fece da protagonista soltanto quattro, da non confondere con la sterminata produzione basata sul montaggio e sui quasi sosia, ed è a un primo livello la classica storia dell'allievo che vendica la morte del maestro, nel suo caso a colpi di kung fu. Ambientato nella Shangai del 1910, è interessante anche per il contesto storico, con Shangai città internazionale di fatto governata da Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Non che si vedano analisi alla Limes, beninteso. Proprio i giapponesi sono i cattivi della situazione, cosa rarissima al cinema tranne che nei film sulla Seconda Guerra Mondiale, fra razzismo e provocazioni. Al di là del fascino di Bruce Lee e della sua doppia anima, americana e honkonghese, consigliamo questo film per la forza ed i valori che esprime, anche se con gli occhi di oggi molti combattimenti risultano ridicoli. Di culto il modo in cui Chen punisce il cuoco traditore e l'uso del nunchaku, che avrebbe generato in Occidente tanti cattivi imitatori: in caserma, durante il servizio militare, il nostro vicino di branda si allenava in ogni momento libero generando una certa tensione. Ma Bruce Lee non aveva folgorato soltanto lui.

29 maggio 2024

Thiago Motta in carriera


 Bologna e il Bologna hanno preso davvero male l’addio di Thiago Motta. Con critiche, che ci possono stare, ed insulti che qualificano soprattutto chi li urla. Una situazione che costringe a ricordare che il prossimo allenatore della Juventus ha, dopo un anno non memorabile nelle giovanili del PSG, ha iniziato la carriera da allenatore di prima squadra nel 2019 con un esonero, dopo 10 partite, e che nessun tifoso del Genoa si è (giustamente) preoccupato per il suo futuro. Presa in mano la squadra da Andreazzoli a fine ottobre, non riuscì a festeggiare il Capodanno 2020 in panchina nonostante un buon inizio, vittoria con il Brescia ed onorevole sconfitta con la Juventus. Cacciato con la squadra ultima in classifica, che Preziosi affidò a Davide Nicola, che in quella stagione ricordata soprattutto per il Covid riuscì all’ultima giornata a strappare la permanenza in Serie A.

 

E lo stesso sarebbe accaduto anche a La Spezia, dopo un anno di disoccupazione, dove il predestinato (sulla fiducia, come molti predestinati) italo-brasiliano raccolse la difficile eredità di Italiano e fu più volte ad una partita dall’essere esonerato. E lo sarebbe stato prima di Natale, se non avesse vinto in trasferta contro il Napoli di Spalletti, senza fare un tiro in porta, grazie ad un autogol di testa Juan Jesus e ai miracoli di Provedel. Quella è stata la partita più importante della sua carriera di allenatore, subito dopo lo Spezia avrebbe cambiato marcia salvandosi brillantemente e Thiago Motta lo lasciò al momento giusto, senza avere niente in mano. Il resto è quasi storia di oggi, con il Bologna preso in mano a stagione iniziata, con l’aggravarsi delle condizioni di Mihajlovic, e tranquillo a centroclassifica, prima dell’exploit della stagione successiva, cioè questa.

 

Se invece di arrivare clamorosamente in Champions League, a 60 anni di distanza dall’ultima volta, fosse rimasto invischiato nella lotta per la retrocessione con un Bologna che ha giocatori pagati in totale circa 27 milioni di euro lordi (parliamo di ingaggi), meno di quelli delle retrocesse Sassuolo e Salernitana, in tanti avrebbero chiesto la sua testa. Insomma, è il solito discorso: il club e i tifosi pretendono di poter lasciare, se hanno opportunità migliori, ma non accettano di essere lasciati. Per fortuna non funziona così, nel calcio e nella vita, e chi ha potere contrattuale e immagine, come Thiago Motta in questo momento, fa benissimo a farsi rispettare perché la ruota gira. Chi gli augura di fare la fine di Maifredi, peraltro non una brutta fine, sta mettendo sul suo successore (con Italiano sarebbe proprio ruota che gira) al Bologna, senza Zirkzee e magari anche Calafiori, una pressione enorme. 

Mancino naturale

 È un peccato che Mancino naturale sia stasera alle 21.30 su Rai 1, perdendo molti appassionati di calcio che a quell'ora staranno guardando Fiorentina-Olympiacos, e le rispettive mogli, fuori di casa per un impegno di lavoro improvviso. Perché il film di Salvatore Allocca, uscito due anni fa, è un onestissimo film di genere, di quelli che ormai in pochi fanno, essendo i finanziamenti (una regione qua, una banca là, il tax credit, eccetera) del tutto svincolati dal gradimento del pubblico. È la storia, ambientata a Latina, di una madre vedova e nevrotica, un'ottima Claudia Gerini, che riversa tutte le aspettative sul figlio Paolo, chiamato così in onore di Paolo Rossi, bambino con un discreto talento calcistico. L'obbiettivo è farlo partecipare ad un torneo dove ci saranno i migliori talent scout italiani, situazione che fa entrare nel mirino di maneggioni che promettono provìni ovunque, dietro pagamento. Massimo Ranieri, pettinato quasi come Cuccia, è uno di questi, mentre Katia Ricciarelli è la nonna. Raccontato così (non spoileriamo la fine) sembra che il film sia ai confini del trash, invece è una commedia ben fatta, che porta molti di noi all'identificazione. Con il bambino presunto talento incompreso, con il parente che ci crede, con quello che non ci crede, con il genitore frustrato, con il rapporto spesso folle che le madri italiane hanno con i figli maschi, con una periferia dove quei pochi che sognano lo fanno in grande.

stefano@indiscreto.net


Donne o Trans?

Donne o trans? O meglio: gli uomini diventati (più o meno) donne devono poter competere con le donne nello sport? Il pretesto per parlarne a...